In un post scriptum Severini conclude l’analisi del secondo semestre di Draghi al governo del Paese (agosto 2021-gennaio 2022 con un paragrafo intitolato “Obtorto colle” contenente alcune “Considerazione sulle conferme di Sergio Mattarella al Quirinale e di Mario Draghi a Palazzo Chigi”: “La settimana «di indecisioni, di tentennamenti, di strategie improvvisate» ha dato della politica un’immagine «sbiadita e lontana» dagli interessi della gente comune e sancito il secondo clamoroso fallimento dei partiti durante questa legislatura. L’impressione che i due blocchi raffigurassero un perfetto sistema politico bipolare e che potessero dunque presto trovare un accordo per individuare una personalità all’altezza, è presto svanita, dal momento che i due poli sono subito apparsi dilaniati da lotte intestine: ciò ha fatto sì che saltasse qualsiasi tentativo di accordo trasversale e che venissero bruciati presto una ventina di quirinabili. Ai partiti non è rimasto che alzare bandiera bianca, vedendosi costretti a rivolgersi all’inquilino uscente”. Severini constata come “Draghi rimasto a Palazzo Chigi ha già voltato pagina”: Mentre il nuovo mandato di Sergio Mattarella, garante della stabilità anomala tutta italiana nella turbolenta stagione del populismo europeo, durerà altri sette anni, – osserva lo storico marchigiano – all’Italia serve ora un Mario Draghi rafforzato capace di portare a compimento la complessa agenda in atto. Il premier ambiva al Quirinale, ma in Parlamento si è formato un asse trasversale alle forze politiche contrario alla sua candidatura; al primo Consiglio dei ministri, Draghi ha dato l’impressione di aver già voltato pagina: la breve soddisfazione per la rielezione di Mattarella e l’invito a tutti i ministri a tornare a concentrarsi sull’attività dell’esecutivo sono segnali palpabili”.
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Alle 20.19 di sabato 29 gennaio 2022 Sergio Mattarella veniva rieletto alla Presidenza della Repubblica: si era nel corso dell’ottava votazione e l’inquilino uscente del Quirinale conseguiva il quorum richiesto di 505 voti; seguivano quattro minuti di applausi che avrebbero potuto essere di più se non ci fossero state ancora da scrutinare quasi 300 schede[1]. Alla fine il presidente uscente si è fermato a 759 voti, più di Giorgio Napolitano (738) e meno solo di Sandro Pertini (832) il quale, nonostante i sedici scrutini richiesti, in considerazione del recente taglio dei parlamentari, resterà il presidente più votato dell’Italia repubblicana.
Una volta rieletto Mattarella rivolgeva al popolo italiano queste prime, significative parole:
I giorni difficili trascorsi con l’elezione alla presidenza della Repubblica, nel corso della grave emergenza che stiamo tutt’ora attraversando sul versante sanitario, su quello economico e su quello sociale, richiamano al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento. Queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati e naturalmente debbono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti, con l’impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini[2].
Ci ho visto l’eco del bestseller di Giuseppe Mazzini, uscito nel 1860, intitolato Dei doveri dell’uomo. Del più grande dei nostri padri della patria – perché, pur vivendo la maggior parte della vita in esilio, braccato e inseguito dalle gendarmerie del vecchio continente (ma in carcere è riuscito a portarlo solo lo Stato italiano nel 1870), ha saputo scorgere il destino repubblicano e democratico della nostra nazione – cade quest’anno il 150° anniversario della sua scomparsa.
Nessuno si illude che questa possa essere una ricorrenza capace di far riscoprire agli italiani il senso del proprio passato come è accaduto nel 2011, perché troppe, influenti persone hanno screditato Mazzini, lo hanno travisato e strumentalizzato, depoliticizzato e circondato di triti luoghi comuni: da Karl Marx a Antonio Gramsci, da Gaetano Salvemini a Giovanni Gentile, agli storici della seconda metà del Novecento, con l’eccezione ovviamene degli ultimi mazziniani esistenti. Speriamo sia almeno l’occasione di leggerlo e di studiarlo nella sua interezza, a partire appunto dai Doveri, un libro che inizia parlando di amore, che è dedicato agli operai e che si chiude parlando delle donne e della loro emancipazione, senza la quale non si sarebbe compiuta neanche quella degli operai[3].
Terminava così una votazione da cui la politica italiana è uscita, senza misure, a pezzi.
È stato il primo voto presidenziale in pandemia e per gli elettori positivi è stato predisposto all’esterno, su decreto del governo di venerdì 20 gennaio, un seggio apposito, non senza proteste. Dichiarazioni stucchevoli, uscite insopportabili, il continuo richiamo al caro-bollette e agli scenari di guerra in Ucraina, speciali e maratone presidiati dalle stesse, solite facce (perlopiù maschili: ma qualche donna è saltata da un programma all’altro per ripetere le stesse cose), retroscenisti eccitati perché finalmente era giunto il loro momento, dichiarazioni-fotocopia di politici all’aperto e al chiuso che dicevano poco o nulla.
La politica italiana si è fatta trovare ancora una volta impreparata quando invece le si chiedeva una prova compatta. A fronte di un Parlamento di minoranze, di divisioni, di contrapposizioni incapace di pervenire a un accordo, i principali network televisivi hanno pensato bene di mandare i loro inviati in via Libertà a Palermo per monitorare il trasferimento del mobilio.
In un Paese succube di un’anglicizzazione pervasiva, il lessico politico italiano ha preferito kingmaker ad altri termini, ripescando dal XV secolo il ricco e influente Richard Neville, conte di Warwick, così soprannominato per via del fatto che, non avendo alcuna possibilità di aspirare al trono, esercitò la sua enorme influenza in maniera indiretta, riuscendo a manipolare e infine detronizzare due re inglesi all’epoca della Guerra delle due Rose (4).
Ma di kingmakers se ne sono visti anche troppi, improvvisati e fallimentari, tanto che qualcuno ha indicato nel caos il vero regista della situazione (5).
Dopo aver vissuto le ultime settimane in silenzio e il più possibile defilato, Mattarella ha seguito «il tormento» delle votazioni che sono andate avanti per sei giorni tra azzardi e dilettantismo, prove di forza e veti, accordi infranti, «sgangheratezze, inerzie, mosse cannibalistiche, passi falsi, tatticismi, rincorse di tweet sui social, invenzioni notturne e roghi di candidature», mentre, come detto, il suo nome cresceva progressivamente. Il Capo dello Stato è tornato subito a lavorare, seguendo tre obiettivi sostanziali: l’uscita dalla pandemia, la tutela del Piano di ripresa e resilienza da cui dipende la rinascita economica e sociale del Paese e, infine ma è meglio dire soprattutto, il potenziamento dell’unità istituzionale e morale della cittadinanza, del suo patriottismo (6).
La settimana «di indecisioni, di tentennamenti, di strategie improvvisate» ha dato della politica una immagine «sbiadita e lontana» dagli interessi della gente comune e sancito il secondo clamoroso fallimento dei partiti durante questa legislatura (7).
L’impressione che i due blocchi raffigurassero un perfetto sistema politico bipolare e che potessero dunque presto trovare un accordo per individuare una personalità all’altezza, è presto svanita, dal momento che i due poli sono subito apparsi dilaniati da lotte intestine: ciò ha fatto sì che saltasse qualsiasi tentativo di accordo trasversale e che venissero bruciati presto una ventina di quirinabili. Ai partiti non è rimasto che alzare bandiera bianca, vedendosi costretti a rivolgersi all’inquilino uscente (8).
Draghi rimasto a Palazzo Chigi ha già voltato pagina
Mentre il nuovo mandato di Sergio Mattarella, garante della stabilità anomala tutta italiana nella turbolenta stagione del populismo europeo (9), durerà altri sette anni, all’Italia serve ora un Mario Draghi rafforzato capace di portare a compimento la complessa agenda in atto (10). Il premier ambiva al Quirinale, ma in Parlamento si è formato un asse trasversale alle forze politiche contrario alla sua candidatura; al primo Consiglio dei ministri, Draghi ha dato l’impressione di aver già voltato pagina: la breve soddisfazione per la rielezione di Mattarella e l’invito a tutti i ministri a tornare a concentrarsi sull’attività dell’esecutivo sono segnali palpabili (11).
L’elezione-bis di Sergio Mattarella attesta una serie di fattori:
- lo spappolamento delle coalizioni politiche che porta alcune forze a reclamare un’urgente riforma elettorale in senso proporzionale;
- il fallimento politico della generazione dei quarantenni (Matteo Salvini, Giorgia Meloni) incappata in forzature che non hanno prodotto nulla;
- l’’incapacità di Salvini di fare con la sua leadership un salto di qualità;
- le difficoltà lampanti emerse in seno a Forza Italia, passato dalla candidatura di Silvio Berlusconi alle divisioni appariscenti durante le ultime votazioni;
- la tenuta politica del Pd – che ha deciso di giocare in difesa sostenendo l’idea di un “conclave” difficilmente realizzabile di fronte all’attivismo delle forze di destra –;
- le difficoltà, continuamente mascherate dalle dichiarazioni ufficiali di un M5S fermo, imploso, dilaniato dalle divisioni (12), con esponenti attratti da tentazioni centriste – in pieno revival da scudo crociato (13) – pur di non scomparire e implodere a loro volta.
Lo scontro fra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio è finito sui social (14) e questa nuova diatriba pone un’incertezza sulla guida del movimento nel quale manca la definizione di una cultura politica unificante e si avverte sempre più il declino del consenso, con forti dubbi sul futuro; quest’ultimo “modo” coinvolge lo stesso Pd – al di là delle dichiarazioni di rito: Enrico Letta è convinto che il governo si sia rafforzato – dal momento che rende incerta l’alleanza tra le due forze, nelle cui crepe è tornato a inserirsi Matteo Renzi, capace di commettere errori madornali quando era premier quanto di rilanciarsi con stoccate decisive nell’ultimo triennio; quanto alla Meloni, stizzita e sfiduciata, che non ha votato il bis facendo convergere i voti sull’ex magistrato Carlo Nordio (che ha ottenuto 90 voti) riprenderà la sua battaglia per la riforma delle elezione del Capo dello Stato in senso presidenziale, cercherà di capitalizzare al massimo la sua opposizione e avvierà l’assalto alla leadership di un centrodestra maciullato e forse inesistente (15); la leader di Fratelli d’Italia ha però sbagliato affermando – subito dopo la disponibilità concessa da Mattarella – che il bis rappresenta un’anomalia costituzionale, da applicare solo di fronte «a una emergenza».
Infatti, non c’è emergenza più grande, in una democrazia parlamentare, se non quella di un Parlamento incapace, bloccato, capace solo di incartarsi su sé stesso.
Gli errori commessi da Matteo Salvini hanno spaccato il centrodestra e sollevato molti malumori in seno alla Lega: il leader ha cercato di rimescolare le carte, lanciando l’idea di una federazione repubblicana sul modello americano (16), ma le sue difficoltà sono sotto gli occhi di tutti: sulla sua leadership, alla vigilia del Consiglio federale, soffia un «vento freddo» proveniente dalla base del partito e dai territori, in particolare dal Nord Est dove, dopo la rielezione di Mattarella, sono comparse scritte contro Salvini sui «jersey di cemento» delle rotonde che da Ponzano Veneto conducono a Treviso, «messaggi rabbiosi» sulle chat dei militanti, insulti e frasi sulle pagine Facebook degli eletti (17).
L’elezione-bis ha pure infranto vecchie promesse: Eugenio Scalfari, che all’epoca della prima investitura aveva definito Mattarella «un antico democristiano di sinistra», ha derogato dall’impegno preso con i lettori di non trattare più «temi di stretta attualità»; così il fondatore di Repubblica ha scritto che sabato 29 gennaio 2022 è stata «una grande giornata politica» che ha confermato alla principale carica dello Stato un uomo in grado di assicurare un doppio ruolo cruciale, quello di arbitro fra i tre poteri costituzionali e fra le parti politiche e quello di garante di una Costituzione che può essere emendata «nelle leggi di attuazione, ma non nei principi»; al contempo, la rielezione di Mattarella deve rilanciare Draghi nel rafforzare la sua presa sulla maggioranza e nel portare efficacemente a termine i compiti per cui è stato chiamato a Palazzo Chigi (18).
È stata la pancia del Paese a spingere i peones del Parlamento: l’Italia voleva Mattarella ed è stata accontentata, alla faccia delle trame fatiscenti e della mancanza di strategie del duo Salvini-Conte che si sono comportati come se dovessero eleggere «il presidente di una polisportiva».
Certo, i peones hanno pure salvato il posto e dunque il proprio stipendio. Ma non è vero che la «società è migliore del Parlamento», poiché l’uno è parte dell’altra (19).
La partita nata male e «giocata peggio», è finita bene, nel senso che ha confermato «un galantuomo di sicura fedeltà democratica e costituzionale» al Quirinale e al governo un uomo che il Parlamento, ancora prima dei leader partitici, non ha voluto sul Colle più alto: Draghi è chiamato a confermare la sua «perizia tecnica» nelle due emergenze da fronteggiare (pandemia e utilizzo dei fondi europei) (20).
Non esistono problemi di poco conto per i governanti italiani: l’inflazione galoppante, il carobollette, la crisi energetica, i venti di guerra tra Russia e Ucraina si innestano in una più evidente crisi del sistema politico nazionale. C’è un evidente bisogno di rinnovare la classe dirigente, cominciando dalle periferie dove il malcostume, l’immobilismo, l’autoreferenzialità, che sfocia spesso in derive egoistiche e autoritarie e lo scollamento della popolazione dalla partecipazione politica e civile costituiscono problemi serissimi (21).
[1] “Un applauso di 4 minuti E l’Aula si riprende il ruolo da protagonista”, La Repubblica, 30 gennaio 2022.
[2] Marzio Breda, “Mattarella presidente della Repubblica: «Le condizioni lo impongono. Il dovere prevale sulle attese personali»”, Corriere della Sera, 30 gennaio 2022.
[3] Sia consentito rinviare a Centro Cooperativo Mazziniano “Pensiero e Azione”, Giuseppe Mazzini Dei doveri dell’uomo, a cura e con introduzione di Marco Severini, Fano, Aras, 2022, 204 p.