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I primi violini di Antonio Stradivari si chiamavano “amatizzati” e, a dispetto del nome, non era in ballo l’amore; al tempo il giovane viveva sotto l’ombra del suo maestro Nicola Amati. Solo alla sua morte i violini potranno essere firmati con “Antonius Stradivarius Cremonensis Faciebat”, la famosa dicitura che ancora oggi ne decreta il valore.
Di un amore ambiguo era anche il legame di Mozart con il violino: era lo strumento del padre, ma tra i due il rapporto non era idilliaco. Nella “Sinfonia concertante per violino, viola e orchestra”, Mozart si raccomanda di accordare la viola mezzotono sopra, lasciando il secondo in bemolle (quindi un mezzotono più basso); questo, forse, vale più di ogni razionale spiegazione.
E cosa dire del ‘900, quando Man Ray trasforma il corpo della sua amata Kiki in un violino?. Fece questo semplicemente disegnando sulla schiena della giovane quelle due “f”, introdotte proprio da Stradivari. Pare però che sempre di amore si trattasse: per Ingres (il pittore a cui è intitolata la fotografia), non c’era infatti cosa più grande del suo rapporto con questo strumento.
Ma se la memoria non ci inganna, il primo verbo del Surrealismo è proprio l’ambiguo. Che, però, continua ad avere fascino per il suo esser non rettilineo: proprio come gli strumenti che compongono il nostro violino.