La legislazione antitrust per sua natura procede per strappi, sanzionando prima la responsabilità di uno squilibrio e poi regolandolo con una norma che ne impedisce la reiterazione del reato.
Lo abbiamo visto per tutto il 900’ quando le società liberali hanno dovuto prendere atto che il mercato produceva monopolio, naturalmente, e non concorrenza, con le sentenze esemplari , nei nascenti Stati Uniti d’America, prima contro i colossi ferroviari, poi contro i padroni del petrolio, infine nei confronti dei domini sulle telecomunicazioni di AT&T e IBM.
La multa miliardaria
Oggi il caso Amazon, con la sentenza miliardaria dall’Autority sulla concorrenza italiana, impone inevitabilmente di passare dal provvedimento esemplare ad una legislazione erga omnes.
L’accusa contro il multiforme gruppo di Jeff Bezos è del resto esplicita: posizione dominante che colpisce i concorrenti.
Ma di cosa stiamo parlando? Amazon, secondo l’Autorità italiana, avrebbe pesantemente penalizzato tutti i suoi competitori sul mercato della logistica, ossia della gestione e consegna delle merci, grazie alla capacità di attrazione sulla sua piattaforma della stragrande maggioranza di consumatori, ai quali veniva proposta come prioritaria la merce, che era gestita dalle consociate del gruppo.
La vera discrasia da regolare, il reato da impedire
Ma Amazon fa solo questo? No. In realtà la conglomerata del sorriso, come viene definita per il suo logo, esercita il suo vero dominio in ben altro modo: concentrando e comparando i dati sensibili di interi Stati, di larga parte di tutti i continenti. Amazon infatti è essenzialmente un’azienda di storage, di gestione delle memorie e dei data base che monopolizza le informazioni sensibili di gran parte dell’umanità. Solo nel nostro Paese i cloud della pubblica amministrazione , in ultima istanza, risalgono ad Amazon per circa il 70%. E l’imminente nuova architettura del cloud unico, a cui sta lavorando il ministro Colao, inevitabilmente si appoggerà per segmenti rilevanti, ancora su quella infrastruttura. Contemporaneamente Amazon combina le informazioni che custodisce nei suoi cloud con quelle che ricava dalla movimentazione di oltre sette miliardi di pacchi all’anno in tutto il mondo, ricavando una profilazione completa di decine di milioni di utenti. E’ questa la vera discrasia da regolare, il reato da impedire. E non riguarda solo Amazon, ma tutto il mercato digitale.
Le grandi piattaforme del capitalismo della sorveglianza, per dirla con Shoshanna Zuboff, si trovano in mano una potenza del tutto inedita e incontrollata per la storia del mercato: sanno, a volte prima ancora degli interessati, cosa vogliono e come lo vogliono, i propri clienti. Ed hanno gli strumenti per interferire su di loro.
IA e metadati danno a queste aziende il potere di discriminare i prezzi facendo pagare di più ai quei consumatori che hanno più bisogno di quella merce
In particolare il mercato viene distorto e squilibrato mediante il meccanismo del cosiddetto princing discriminatorio, come ha denunciato il premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, nel suo saggio Popolo, Potere e Profitti(Einaudi, 2019): “poiché l’intelligenza artificiale e i megadati consentono alle piattaforme di stabilire qual è il valore che ciascun individuo attribuisce ai diversi prodotti, e che quindi è disposto a pagare essi danno a queste aziende il potere di discriminare i prezzi facendo pagare di più ai quei consumatori che hanno più bisogno di quella merce o che hanno meno opzioni”.
Bisogna dunque organicamente bonificare lo scenario economico tagliando questi incroci incestuosi: non solo chi gestisce le reti logistiche non può essere lo stesso titolare dei market place, ma anche chi è proprietario di infrastrutture di dati e memorie non può diventare anche commerciante sulla base di quelle informazioni surrettiziamente raccolte.
Altro aspetto che la decisione dell’Autority italiana ha inevitabilmente posto riguarda il sistema degli algoritmi che si interfacciano con il singolo consumatore. Ancora Stiglitz nel suo saggio spiega che “Il Potere di mercato dei nuovi giganti della tecnologia si manifesta nella maniera più esplicita ogni volta che cambiano i propri algoritmi , ciò è il modo in cui decidono in quale ordine e con quali conseguenze i propri clienti vedono le merci in vendita”.
Siamo dunque ad uno snodo che non può certo limitarsi solo con la certezza della pena, ciò è costringere realmente Amazon a pagare la multa per la sua trasgressione. Bisogna rendere sostenibile e trasparente un aspetto fondamentale della nostra vita che non riguarda solo le modalità di consumo, ma direttamente il nostro libero arbitrio in tutti i campi della cittadinanza.
E’ questo un terreno, come ci ricordava un lontano pedagogo degli inizi dell’800, in una Francia in cui i principi erano strattonati ma le norme non erano altrettanto vincolanti, come Jean–Baptiste Henri Lacordaire, che “fra due soggetti diseguali, la legge libera, la libertà opprime”.