Mi sono svegliato tardi stamattina. Me ne sto nel mio rifugio, nell’abbraccio delle querce, colpito e affondato dal raffreddore. Con le basse vie aeree – come dicono i medici – piene di spilli pungenti. E con il naso che mi ricorda la teoria (in gran parte fasulla) del gocciolamento (trickle-down), che secondo certi economisti consentirebbe alla ricchezza prodotta dai ceti più abbienti, attraverso l’alleggerimento fiscale, di scivolare, come da uno scolapasta, alle classi medie ed ai poveri. Sono al tappeto, nonostante tutti i vaccini del mondo fatti, terza dose ed antinfluenzale compresi. Guardo il sole che splende sulle montagne e penso che oggi avrei certamente camminato nella neve. Prudenzialmente, ieri, ho fatto il tampone: negativo. Non per me: ho già avuto la malattia innominabile e ieri ero certo di avere un semplice raffreddore; quanto per i miei collaboratori, i familiari.
Confesso che ho avuto vergogna per quella gente in fila che attendeva il suo turno in farmacia, trattata, in tv, sui giornali e sui social, come si trattavano gli untori nel medioevo e considerata la causa unica e sola del protrarsi della pandemia. Li chiamano indistintamente e spregiativamente “no-vax”. Li deridono e urlano loro in faccia i peggiori improperi. E da qualche tempo li bollano col marchio infamante dell’egoismo. Volendo dire, per converso, che noi vaccinati saremmo tutti dei filantropi. Strano: la colpa è degli untori e non delle politiche sanitarie che ancora oggi affossano la ricerca scientifica indipendente, che distruggono gli ospedali pubblici. La colpa è degli untori e non di chi – in un modo o in un altro – ha prodotto il pasticcio della pandemia ben sapendo, da decenni che le zoonosi erano in agguato. La colpa è degli untori e non di chi ha lasciato medici e infermieri a mani nude per mesi a combattere nelle corsie degli ospedali. La colpa è degli untori e non di chi crede che l’ingegno dell’uomo non abbia limite, possa vincere qualunque cosa, anche la morte.
Si, lo so che vi sto annoiando con le mie elucubrazioni da naso che cola. Lo so che annoio proprio voi, amici, anche a me cari, che la pensate come quei giornalisti col doppio stipendio; anche se a voi l’altro stipendio non ve lo darà proprio nessuno. Vi leggo, sapete, quando sui social vomitate, sardonici e spietati, su quelle file di persone fuori dalle farmacie in cui sono capitato anch’io. E però avete dimenticato la lezione di tanta letteratura distopica che ci raccontava come un giorno ci avrebbero fatto accettare la nostra schiavitù senza bisogno di instaurare dittature (Huxley in una lettera ad Orwell nel 1949). E avete dimenticato quando manifestavate nelle piazze contro lo strapotere della globalizzazione e delle multinazionali e la polizia vi manganellava indifferentemente, foste o non foste black-block. E poi scusate: fate tutto questo casino per il 10/15% di non vaccinati che alla fine della fiera sarà lo zoccolo duro dei contrari al trattamento in Occidente, qualunque obbligo imponessero i governi, e non uno di voi che pensi e dica qualcosa sui miliardi di persone che nessuno tratterà nel Terzo Mondo, perché quei paesi sono così poveri e corrotti da non poter comprare i vaccini (solo Papa Francesco, vox clamantis in deserto, ne parla tutti i giorni, e non perché stia dalla parte di big-pharma). Inneggiate a società multietniche, variopinte, arcobaleno, transgender e invece state tutto il tempo a rosicare perché c’è una minoranza che non vuol farsi la puntura. Trattate ‘sti poveracci, che per gran parte hanno solo paura (“paura”: ve lo ricordate che esiste ancora la paura?) come degli indemoniati e non vi accorgete che i demoni – quelli veri – ci stanno apparecchiando la più grande deregulation economica della storia con la scusa della pandemia.
E godete, con orgasmi degni di miglior causa, quando qualche idiota esibizionista no-vax viene invitato nei talk appositamente per sparare cazzate e ad essere sbeffeggiato da giornalisti tuttologi e scienziati alla “lei stia zitto perché non ha i titoli”.
Beh, ora che mi sono sfogato, mi sento un po’ più leggero. E allora vado a riguardarmi – a titolo consolatorio – le foto di qualche bella passeggiata nella neve sulle mie amate montagne. E così ne metto qualcuna sui miei profili social per vostro piacere. Ma forse non solo per questo. La neve è in fondo una metafora di tutto quel che ho appena detto: non è solo bella, non ci si può solo camminare, sciare, ciaspolare, ramponare sopra; è anche fredda, molto fredda! E ci sono decine di milioni di profughi (leggete i dati Oxfam) che nella neve ci stanno mesi interi a battere i denti per colpa dei signori della guerra, della politica e dell’economia. Pensiamo anche a loro, ogni tanto, quando siamo tentati di guardare ai privilegi del nostro orticello di fortunati e vaccinati. E non giudichiamo, sempre, la paura altrui, dall’alto del nostro “coraggio”.