L'analisi

Democrazia Futura. G20/Cop26/Vertice Usa-Cina: i 15 giorni che illusero il Mondo

di Giampiero Gramaglia, giornalista, co-fondatore di Democrazia futura, presidente uscente di Infocivica |

Giampiero Gramaglia racconta delle due settimane di slalom diplomatico ai massimi livelli, dal G20 di Roma, del 30 e 31 ottobre, alla Cop26 a Glasgow, terminata domenica 14, fino al vertice virtuale Usa-Cina.

Giampiero Gramaglia

Con un intervento dedicato agli ultimi eventi sulla scena diplomatica internazionale del co-fondatore di Democrazia futura Giampiero Gramaglia che ringraziamo per il contributo dato in questo primo anno di avvio della rivista, riprende la collaborazione con Key4biz per la pubblicazione in anteprima degli articoli del quarto fascicolo autunnale del nostro trimestrale. A parere di Gramaglia  “Due settimane abbondanti di slalom diplomatico ai massimi livelli, il G20 a Roma il 30 e 31 ottobre, la Cop26 a Glasgow fino a domenica 14, infine il vertice virtuale Usa-Cina nella nostra notte tra lunedì e martedì hanno sortito “parole, parole, parole”, come dicevano Mina e Alberto Lupo nel 1972, oppure un “blablabla”, come dice più terraterra Greta Thunberg oggi”.

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Chi s’era illuso che sarebbero stati i 15 giorni “che sconvolsero il Mondo”, parafrasando il titolo del bel libro di John Reed sulla Rivoluzione bolscevica, ci sarà rimasto male. Due settimane abbondanti di slalom diplomatico ai massimi livelli, il G20 a Roma il 30 e 31 ottobre, la Cop26 a Glasgow fino a domenica 14, infine il vertice virtuale Usa-Cina nella nostra notte tra lunedì e martedì hanno sortito “parole, parole, parole”, come dicevano Mina e Alberto Lupo nel 1972, oppure un “blablabla”, come dice più terraterra Greta Thunberg oggi.

Chi contava che ne sarebbe uscito un Mondo migliore, più coeso e solidale nella lotta contro la pandemia e più sicuro e meno ‘caldo’ sul fronte clima, avrà ormai rinfoderato le speranze, in parte alimentate dalle trionfalistiche e partigiane letture italiane del G20 ‘in casa’: Draghi sarà pure un ‘Super-Mario’, ma non fa la primavera del pianeta – e neppure trasforma in fatti gli impegni sempre labili di una dichiarazione congiunta -.

L’incontro virtuale tra i presidenti Usa Joe Biden e cinese Xi Jinping è stato lungo – ben tre ore, con una pausa -, ma s’era fatto pure attendere a lungo: 11 mesi, il tempo passato da Biden alla Casa Bianca senza incontrare l’omologo cinese, in un crescendo di screzi e di tensioni. Il presidente russo Vladimir Putin, Biden lo aveva visto a Ginevra a metà giugno – un colloquio, per altro, senza sviluppi concreti e senza ulteriori seguiti -.

A parte il gesto non protocollare di Xi, che ha fatto ciao con la mano al “vecchio amico” – i due si erano già incontrati più volte, la prima quando Xi era ancora vice-presidente -, il vertice Usa-Cina ha prodotto solo una generica promessa a migliorare la cooperazione – del resto, fare peggio vuol dire litigare di brutto, se non farsi la guerra – e a mantenere le linee di dialogo aperte. Ma sui temi caldi, questioni commerciali, cyber-sicurezza, Taiwan, diritti umani, non ci sono stati passi avanti, mentre le due Super-Potenze navigano entrambe in acque perigliose, tra rallentamenti della crescita e aumento dell’inflazione.

Lo stesso patto sul clima tra Washington e Pechino, annunciato a Glasgow con enfasi, e letto con superficiale entusiasmo dai media di mezzo mondo, rivela una disponibilità alla collaborazione positiva, ma non indica obiettivi precisi. Tant’è vero che non è servito a dare mordente alle conclusioni della Cop26, dove Usa e Cina si sono arresi senza troppa resistenza alle pretese dell’India sul carbone e alle reticenze di molti altri Paesi – che, in fondo, facevano comodo pure a loro -.

Così, la conferenza s’è chiusa con l’ennesimo rinvio all’anno prossimo – la Cop27 sarà in Egitto -, con la ovvia promessa di fare di più per contenere il riscaldamento globale (entro 1,5 gradi rispetto all’era pre-industriale) e per aiutare le nazioni più vulnerabili, per contrastare la deforestazione e incrementare le fonti alternative, ma lasciando irrisolte questioni cruciali, tipo di quanto e quanto rapidamente ciascun Paese debba ridurre le sue emissioni in questo decennio.

Ne deriva una profonda contraddizione. L’insieme delle misure annunciate a Glasgow – e resta da vedere se attuate – non garantisce il contenimento del riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi. Una prova chiara e lampante che lo slancio del G20 non era sufficiente. Ma i diplomatici degli oltre 200 Paesi ed enti internazionali partecipanti alla Cop26 si soddisfano del fatto che esse costituiscano “un significativo passo sul percorso verso un futuro più sicuro”: un’intesa “imperfetta, ma essenziale”. Greta e i suoi giovani dei Fridays for Future’ sono meno compiacenti: i risultati di Glasgow sono “ancora più vaghi del solito … Sono riusciti ad annacquare il ‘blablabla’ … Ci sono tanti piccoli passi avanti, ma il documento è molto, molto, molto generico“.

E sul fronte del clima c’è un ostacolo analogo a quello emerso sul fronte della pandemia negli ultimi 18 mesi: la polarizzazione politica degli schieramenti, con la vecchia destra che, invocando la libertà, s’abbarbica a letture revisioniste e negazioniste di fatti e dati naturali e scientifici. Lo conferma un sondaggio negli Usa per conto di Abc e WP: c’è una maggioranza di statunitensi che pensa che il riscaldamento globale è un problema serio e grave; ma fra i democratici la percentuale è salita di 10 punti negli ultimi anni, fino al 95 per cento, mentre fra i repubblicani è scesa di 10 punti nello stesso periodo, al 39 per cento. Effetto Trump?, o forse, Trump è un effetto di questa tendenza?

L’alleanza climatica fra Usa e Cina riuscirà a consolidare i risultati della Cop26, dando loro sostanza? La speranza c’è, nonostante il Vertice tra Biden e Xi proietti più ombre che luci. Certo, non bisogna sopravvalutare il fatto che l’incontro sia stato solo virtuale e non in presenza: Xi non ha mai lasciato la Cina dallo scoppio della pandemia ed è pure stato assente dal G20 e dalla Cop26, esponendosi a molte critiche proprio perché la Cina è la maggiore produttrice di gas da effetto serra.

Ma è vero che Usa e Cina danno l’impressione di gettarsi a vicenda granelli di sabbia, anzi bastoni, tra le ruote: Washington solleva, a ragione, la questione del (mancato) rispetto dei diritti umani nello Xinjiang, in Tibet, a Hong-Kong. Pechino torna a evocare la riunificazione di Taiwan alla Madre Patria. Entrambe alzano il livello del confronto militare e strategico nel Mar cinese meridionale.

E il Vertice è stata solo una parentesi fra le punture di spillo. Poche ore dopo l’incontro fra i due leader, aerei cinesi sorvolavano lo spazio aereo di Taiwan – un rito ormai consueto -, mentre a Washington iniziava a circolare con insistenza l’ipotesi che gli Usa boicottino diplomaticamente le Olimpiadi d’Inverno a Pechino l’anno prossimo.

C’è un po’ l’impressione che Biden e Xi usino la loro fermezza reciproca per puntellare posizioni non fortissime in patria in questo momento: il cinese deve rilanciare un’economia che rallenta; l’americano è al minimo storico dei suoi consensi perché l’inflazione galoppa e la crescita è inferiore alle attese. I cittadini statunitensi approvano, in maggioranza, l’approccio ‘rooseveltiano’ di Biden, investimenti pubblici a sostegno della ripresa, nella sanità e nel sociale, nell’energia e nelle infrastrutture fisiche e virtuali; ma non ne vedono ancora i risultati. I tempi dell’economia non sono spesso compatibili con quelli delle elezioni.

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