Recensione

Gomorra, c’è il rischio di normalizzazione del crimine?

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L’autore Roberto Saviano ed il produttore Riccardo Tozzi rispondono alle critiche sul deficit di senso morale della serie: l’epico prevale sull’etico?

Si tratta certamente di personaggi di fantasia, ma ricevere un invito – manifestato con simpatica aggressività – dai due protagonisti di una serie-mito qual è “Gomorra” sembra essere quasi un invito di quelli che non possono essere rifiutati (à la “Padrino”): ci è accaduto questo, oggi al Teatro Brancaccio di Roma, in occasione della presentazione della quinta ed ultima stagione della serie “Gomorra”, ideata da Roberto Saviano, prodotta dalla Cattleya di Riccardo Tozzi (che nell’ottobre del 2017 ha ceduto la maggioranza del pacchetto azionario ai britannici di Itv Studios), e finanziata da Sky Italia, che la classifica come suo “original” di punta.

Presentazione in pompa magna: al di là della bella “location”, gadget mirati (una caffettiera Bialetti “brandizzata” Gomorra!), a parte un “press-book” stampato su carta patinata ad alta grammatura, come se si trattasse di un libro d’arte… Elegante conduttore della mattinata Malcom Pagani, giornalista (già Vice Direttore di “Vanity Fair”), e produttore, da un anno (con la Tendercapital Productions Ltd).

Presenti, sul palco, molti “protagonisti” della serie, a parte ovviamente Roberto Saviano: Antonella d’Errico, Executive Vice President Programming Sky Italia; Nils Hartmann, Senior Director Original Productions Sky Italia; Riccardo Tozzi, fondatore e Ceo di Cattleya; Gina Gardini, produttrice; i registi Claudio Cupellini e Marco D’Amore (che è anche co-protagonista della serie);gli “head writer” Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli; il cast, nelle persone di Marco D’Amore, Salvatore Esposito, Ivana Lotito, Arturo Muselli…

Sono state presentate in anteprima le 2 prime puntate della novella stagione. La qualità narrativa e visiva e finanche iconica, è, ancora una volta, alta; la narrazione, avvincente; la trama, intrigante…

Procediamo, con ordine: come dire?! Prima… l’epico. Poi… l’etico.

Il primo fattore si conferma, ma purtroppo anche il secondo. Ovvero l’evidente deficit di approccio etico in questa affabulazione della contemporaneità.

Gomorra – Stagione finale” si pone come atto conclusivo della serie Sky Original prodotta da Cattleya in collaborazione con Beta Film, che verrà offerta in prima tv mondiale venerdì 19 novembre in Italia su Sky e in streaming su Now.

In verità, i primi due episodi sono stati già presentati in anteprima, fuori concorso, al “CanneSeries”, come evento di chiusura del festival dedicato al meglio della serialità da tutto il mondo.

Nata da un’idea di Roberto Saviano e tratta dal suo omonimo romanzo edito da Mondadori, la più famosa e apprezzata tra le serie italiane nel mondo (nella classifica de “The New York Times” al quinto posto fra le produzioni non americane più importanti del decennio 2010/2020), è stata venduta in più di 190 territori, ricevendo ovunque un’accoglienza entusiastica da parte di pubblico e critica, ottenendo numerosissimi premi.

Senza dubbio la serie ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire gli standard della serialità italiana, avendo rappresentato una sorta di “volano” per il rilancio internazionale della fiction “made in Italy”, che arrancava da anni, dopo “La Piovra” (andata in onda dal 1984 al 2001). 

I dieci nuovi episodi di “Gomorra – Stagione finale” (che portano il totale degli episodi delle cinque stagioni a 58), girati fra Napoli, Riga e Roma, sono scritti dagli “head writer” Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, che firmano anche il soggetto di serie con Roberto Saviano. Completano il team di scrittura Valerio Cilio e Gianluca Leoncini.

I primi 5 episodi e il nono sono diretti da Marco D’Amore, già regista di due episodi di “Gomorra 4” e del film “L’Immortale”, grande successo targato Cattleya e Vision Distribution, opera che fa da ponte narrativo fra la quarta e la quinta stagione, mentre gli episodi 6, 7, 8 e 10 sono diretti da Claudio Cupellini, al timone fin dagli esordi della serie. Entrambi sono anche supervisori artistici. Alla colonna sonora anche di questi ultimi dieci episodi i Mokadelic.

Torna Salvatore Esposito nei panni di “Genny Savastano”, costretto alla latitanza, in un bunker, alla fine della quarta stagione. Accanto a lui, nel cast dell’ultima stagione anche il ritorno di Marco D’Amore, nuovamente protagonista nel ruolo di “Ciro Di Marzio”, creduto morto alla fine della terza stagione e (come svelato dal film L’immortale, vedi supra) clamorosamente tornato in scena, redivivo, in Lettonia.

Con loro ritornano anche Ivana Lotito nei panni di Azzurra, che, abbandonata da Genny farà di tutto per tenere il piccolo Pietro al sicuro, lontano da suo padre e da tutto ciò che rappresenta, e Arturo Muselli che torna a interpretare Enzo Sangue Blu, l’ex re di Forcella divorato dai sensi di colpa per aver visto troppi compagni morire per colpa sua..

Oltre agli ormai storici protagonisti della serie Sky, prossimi a uno “showdown” che appare sempre più inevitabile, la stagione finale del cult Sky Original vede anche diversi nuovi ingressi nel cast: Domenico “Mimmo” Borrelli (“5 è il numero perfetto”, “L’equilibrio”)è Don Angelo detto ‘O Maestrale, il feroce boss di Ponticelli che si rivelerà fondamentale per la guerra di Genny contro i Levante e per permettergli di riprendersi Secondigliano. Tania Garribba (Il Primo Re, Tutto il mio folle amore) interpreta invece Donna Luciana, la moglie di ‘O Maestrale, donna dal carattere feroce al pari del marito e un’intelligenza astuta e raffinata. Nei panni di ‘O Munaciello, uno dei “capipiazza” di Secondigliano, entra nel cast anche Carmine Paternoster (“Gomorra”, “L’intervallo”). E ancora Antonio Ferrante (Preferisco il rumore del mare, Tutti i soldi del mondo) e Nunzia Schiano (Dogman, Reality, Benvenuti al Sud), a interpretare rispettivamente Vincenzo Garignano detto ‘O Galantommo, anziano boss di un piccolo paese alle pendici del Vesuvio, e Nunzia, donna fiera e infaticabile, da quasi cinquant’anni sua devota moglie.

Chi cura questa rubrica “ilprincipenudo” è al contempo un ricercatore specializzato ed un giornalista investigativo, e – tra le proprie attività professionali – si diletta anche di analisi critica delle ricadute psico-sociologiche dei prodotti dell’industria culturale.

Ma “Gomorra” è benefica per l’immaginario collettivo di una comunità sana?! Della banalizzazione del male e della normalizzazione della criminalità…

La domanda essenziale è: una serie televisiva come “Gomorra” è benefica per la costruzione di un immaginario collettivo che non ritenga la criminalità un comportamento “normale”, magari da condannare ma in fondo da sopportare?!

Questo è il quesito basilare, che, in forma cortese seppur polemica, abbiamo posto questa mattina anzitutto all’autore Saviano ed al produttore Tozzi.

Il nostro pensiero (critico) in materia è noto da anni: siamo molto, ma molto perplessi e parteggiamo per coloro che hanno un approccio negativo rispetto a questa serie. Si veda, tra l’altro, “Key4biz” del 9 maggio 2016, in occasione della presentazione della seconda stagione: “Ilprincipenudo. Sky presenta ‘Gomorra 2’”. Si scriveva allora, nel sottotitolo dell’articolo, “Perplessità sull’“affrancamento dalla morale” teorizzato da Saviano in nome della libertà dell’arte”.

Tra i perplessi, annoveriamo certamente i colleghi del quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana (Cei) “Avvenire”, da sempre critico nei confronti della serie, ma anche esponenti delle istituzioni che lottano in prima linea contro la criminalità, per affermare il senso dello Stato.

Abbiamo quindi posto questa domanda: “al di là della indubbia qualità narrativa, della indubbia capacità iconica, dell’indubbio successo internazionale… non credono l’autore primo della serie ed il suo produttore che l’opera abbia contribuito e contribuisca alla normalizzazione psico-sociologica della cultura criminale, ovvero ad una sorta di banalizzazione del male (per parafrasare Hann Arendt)?”.

Così la pensano magistrati di calibro, che si espressero assai criticamente in occasione della presentazione della terza stagione, nel dicembre del 2017: “la rappresentazione del crimine organizzato che viene data in Gomorra è folcloristica… Gomorra è sufficiente a spiegare il fenomeno o è una rappresentazione tranquillizzante che limita la nostra percezione del fenomeno mafioso?”, ha sostenuto l’allora Procuratore aggiunto Antimafia Giuseppe Borrelli, Capo della Dda di Napoli… Nicola Gratteri, dal 2016 Procuratore della Repubblica di Catanzaro, ha sostenuto che la fiction consegna un’immagine tutto sommato positiva della criminalità, che i suoi personaggi siano “troppo simpatici” tra la gente e che questo rappresenterebbe un danno per la lotta alle cosche… Nel marzo del 2018, il Procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho (che aveva già sostenuto che la serie “umanizza i boss”) ha dichiarato: “in ‘Gomorra’, vediamo i camorristi che esercitano il potere della camorra e della violenza ma non si vede mai lo Stato che interviene, che reagisce e reprime. Non si vede mai un professore né un alunno, qualcuno che si impegna, non si vedono le associazioni. Ma che realtà è quella? È una realtà che dimostra effettivamente quello che avviene sui territori o è solo un settore per far conoscere cosa è la camorra? Ma se così è, quel settore deve necessariamente integrarsi con tutti gli altri settori: cultura, repressione, prevenzione, associazionismo, della scuola”…

Stavamo concludendo la nostra domanda (citando giustappunto i magistrati), ed ha preso d’impeto il microfono Marco D’Amore (co-protagonista e poi regista di alcune puntate della serie), che ci ha risposto: “anzitutto, vorrei dire che tutti possiamo sbagliare, e forse anche De Raho e Gratteri possono sbagliare… e poi vorrei veramente liberarmi di questa visione, sbagliata, della serie, che mi perseguita da anni… Se lei è un giornalista serio, dovrebbe prima venire a Scampia, per capire che la realtà è peggiore di quella rappresentata dalla serie. Anzi, la invito, la invitiamo – assieme a Salvatore Esposito, nei panni di “Genny Savastano” – a venire in visita da noi, e si ricrederà…”.

Come dire?! Un invito che (non) possiamo rifiutare… Ma non credo che ci ricrederemo.

Chi redige queste note è stato peraltro, seppur “turisticamente” a Scampia (ma ha studiato a fondo una realtà certamente diversa – non criminale – ma periferica assai come Corviale a Roma), ed ha semplicemente cercato di riaffermare, durante la conferenza stampa, il concetto di rischio di “normalizzazione”, ma a quel punto è intervenuto “Savastano”, che ha sostenuto che non è vero che la serie produca “emulazione”, perché “i veri camorristi sorridono quando vedono la serie in tv”,

Siamo stati accusati da D’Amore di “acredine”, nel tono della nostra domanda.

Acredine, certamente no, ma rabbia sì: rabbia civile, ideologica, spirituale, per una serie troppo esaltata dai media “mainstream”, senza che i più si rendano conto delle conseguenze delle sue negatività nel tessuto psico-sociale. E ben oltre Scampia.

La domanda che abbiamo posto ha provocato anche una risposta difensiva del produttore Riccardo Tozzi (già Presidente dell’Anica dal 2011 al 2016), che si è fatto vanto dell’“ancoraggio ineludibile alla realtà e al tempo stesso il rigore nell’applicare i codici di genere, la coerenza nell’esplorare il negativo senza annacquare moralisticamente il racconto con l’equivalenza del positivo. La ricerca di un cast totalmente autentico, nell’esclusione del divismo, la pratica di una lingua viva e vera, la fisicità autentica dei luoghi”.

Ci permettiamo di osservare che si può avere un approccio “morale” alle cose, senza necessariamente degenerare nel “moralismo”. Chi lavora nell’industria dell’immaginario, riteniamo dovrebbe sempre tenerlo a mente.

Roberto Saviano ha così commentato (ben segnalando che quella che abbiamo posto questa mattina è una delle più “ricorrenti critiche” rivolte in questi anni alla serie): “nessuno diventa criminale perché ha visto Gomorra”. Ed ha spiegato meglio: “il conflitto prima veniva visto dal punto di vista dello spettatore, qui dal punto di vista del potere che si racconta. Nessuno è diventato criminale perché ha visto Gomorra, così come nessuno è diventato trafficante vedendo ‘Breaking Bad’. Moltissimi ragazzi nel mondo si riconoscono in Tony Montana di ‘Scarface’, perché vedono ogni giorno quel tipo di figura e ci si specchiano. Noi quel mondo lo abbiamo visto, chi si ispira a una serialità per fare un atto criminale in realtà è già in quel mondo e ci si sta solo specchiando”, sostiene lo scrittore.

In altre parole, “l’arte” rispecchia “la realtà”, ma non stimola la deriva criminale.

Non abbiamo le certezze di Saviano, di cui pure rispettiamo l’impegno civile e la qualità narrativa.

Crediamo che una serie come “Gomorra” possa invece purtroppo stimolare emulazione in coloro che sono già “predisposti” alla criminalità, e possa provocare un sentimento di rassegnata normalizzazione in chi è “dall’altra parte” (la giustizia, lo Stato).

Per Roberto Saviano, la realtà di Napoli non è molto lontana da quanto viene raccontato nella serie: anzi, la camorra uccide nell’indifferenza delle istituzioni. “il crime, così come la rappresentazione, attira molta attenzione nel pubblico, mentre la cronaca no. Questo perché è un tema politicamente centrale, ma anche complicatissimo e, soprattutto, c’è distrazione. Lo Stato è come se non avvertisse la priorità di questo problema, è come se la priorità fosse altro e invece non è così”, ha poi dichiarato lo scrittore-giornalista all’agenzia stampa LaPresse. Ed ha rivendicato le ricadute positive della sua iniziativa: “Gomorra a Napoli ha generato lavoro, creatività, talento. Non si dà mai abbastanza luce a questo aspetto. È da Napoli che è arrivata la possibilità di far lavorare molte persone e la possibilità di far emergere talenti straordinari che altrimenti sarebbero stati costretti ad altri tipi di lavoro. E da Napoli è partito un nuovo modo di scrivere serie crime che ha ispirato tutti. E questo è incredibile e non passerà”.

Abbiamo segnalato che nella serie si osserva una sorta di “assenza dello Stato”, e ci è stato risposto che non è vero perché, nella trama, la mano pubblica (la polizia, la magistratura…) talvolta interviene, colpisce e punisce.

È vero, ma quel che passa nell’immaginario dello spettatore, è che la camorra sopravvive, anzi si sviluppa. Come se fosse un fenomeno giustappunto normale, fisiologico.

C’è assenza di presa di posizione, si annulla narrativamente lo scontro tra “il bene” e “il male”: in nome del relativismo della complessità (o complessificazione?!), si riduce il senso etico.

Abbiamo citato il bel Fabrizio De Andrè de “Nella mia ora di libertà”: è come se Saviano & Co. sostenessero che “non ci sono poteri buoni”. Saviano ha infatti rivendicato che la sua opera non è concentrata sul “crimine”, ma sul “potere” in senso lato. È quindi una visione – la sua – che finisce per paradossalmente peccare di eticità, e confonde il nero con il bianco, in nome di una visione chiaroscurale dell’esistenza umana.

Tra “eterodirezionalità”, “eterogenesi dei fini”, “esternalità negativa”…

Crediamo, forti di un qualche studio sociologico (e di trent’anni di ricerca nel settore culturologico e mediologico), che quando operazioni di questo tipo divengono vere e proprie “icone”, esse vanno ben oltre le intenzioni degli autori: Saviano ha evocato “il diritto dello spettatore alla complessità”, ovvero a non vedere rappresentazioni del mondo che siano divise manicheisticamente tra “il bene” ed “il male”, ma crediamo che con operazioni semantiche e narrative come queste, così complesse, si corra il rischio di attivare – involontariamente – processi di “eterodirezionalità” ed al contempo di “eterogenesi dei fini”…

In sociologia, il concetto di “eterodirezione” sta ad indicare un tipo di controllo sociale proprio della civiltà di massa, per cui l’individuo è variamente sollecitato e persuaso a determinati comportamenti da coloro che vivono vicino a lui o da coloro che i mezzi di comunicazione di massa (ed ormai i “social media”) presentano come tipi esemplari.

In filosofia e diritto, “eterogenesi dei fini” sta ad indicare il principio secondo il quale le azioni umane possono riuscire a fini diversi da quelli che sono perseguiti dal soggetto che compie l’azione; in particolare, ciò avverrebbe per il sommarsi delle conseguenze e degli effetti secondari dell’agire, che modificherebbe gli scopi originari, o farebbe nascere nuove motivazioni, di carattere non intenzionale. Temiamo che Saviano e Tozzi non abbiano compreso forse appieno le conseguenze involontarie della loro intrapresa culturale.

Non abbiamo dubbio alcuno che nelle intenzioni di Roberto Saviano vi fossero e vi siano intenzioni positive, benefiche, morali, etiche.

La serie televisiva tratta dalla sua opera letteraria presenta però quelle che definiremmo, in economia, “esternalità negative”: soggetti terzi sono danneggiati dall’azione pur positiva in sé; in altri termini, la produzione e consumo di certi beni (anche un’opera audiovisiva) finisce per determinare un peggioramento del benessere sociale. Anche se – ci contesterebbe Saviano – si stimola un incremento della coscienza dello spettatore…

Tra l’epico e l’etico… c’è di mezzo il mare

Molto orgogliosa, Antonella D’Errico (Executive Vice President Programming Sky Italia), che ha sostenuto che “la serie è l’archetipo della serialità di Sky, anche nella ricerca di talenti, è una serie che ha permesso a Sky di esprimere appieno il suo Dna, fatto di contemporaneità, qualità, rilevanza e ricerca del talento. La prima grande serie italiana dal respiro internazionale, che pur raccontando una storia ‘locale’ è stata in grado di farne racconto universale, superando i confini e proiettandola sui mercati di tutto il mondo”.

Senza minimamente affrontare gli aspetti etici, la manager di Sky Italia ha rivendicato che si è trattato di “una sfida enorme: scritta in Italia, diretta da talenti italiani, prodotta nel nostro Paese e recitata in napoletano da un cast di quasi esordienti. In pochi avrebbero scommesso che, in breve, sarebbe diventato un cult assoluto in tutto il mondo. Un racconto epico ma connotato da fortissimi elementi di realismo”. Una storia “nerissima e universale, su temi contemporanei eppure antichi come l’uomo. Dove, come in una tragedia greca, non c’è spazio per la dicotomia classica tra bene e male, non c’è consolazione possibile… Il male è il tema di cui l’uomo ha più parlato nella sua storia…”.

Non meno autocompiaciuto Nils Hartmann, Senior Director Original Productions Sky Italia, che ha sostenuto che la serie ha modificato la struttura dell’industria audiovisiva italiana: ha modificato “l’industria dell’entertainment italiana, ‘Gomorra’ ha cambiato il corso delle cose. Portando il sistema a un’apertura internazionale senza precedenti. E forse anche e lo sosteniamo con il massimo rispetto per altre grandi serie, che già c’erano verso un cambio di passo stilistico ed editoriale. Una svolta di modernità nel linguaggio”. Hartmann ha evidenziato che su questa svolta, “si è praticamente costruito un sistema industriale. La serie ha generato la sua propria filiera. Ha assorbito una legione di attori, caratteristi, talenti, maestranze; tanta occupazione, tanto lavoro, tanti volti nuovi e forze fresche”.

Nessuno dubita che l’impatto della serie – a livello nazionale ed internazionale – sia stato e resti importante.

Il tema che qui affrontiamo è altro: è una serie televisiva caratterizzata da un approccio morale ed etico?!

La risposta è negativa, almeno dal nostro punto di vista. Anche se Roberto Saviano, concludendo la conferenza stampa, ha avuto il coraggio di sostenere che “ho fatto un lavoro pedagogico”. Addirittura… pedagogico?!

Contrapposte tesi: Luigi De Magistris (ex Sindaco di Napoli) “droga mediatica artificiale”; Gaetano Manfredi (neo Sindaco) “la serie ha contribuito alla rigenerazione di Scampia”

Da segnalare anche che il produttore Riccardo Tozzi ha citato il neo Sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi (ex rettore dell’Università Federico II, docente di ingegneria, Ministro dell’Università nel Governo Conte 2, eletto al primo turno con il 63 %), che ha manifestato una decina di giorni fa (in un’intervista a “Il Venerdì” de “La Repubblica”) un esplicito apprezzamento per “Gomorra”, sostenendo che “Gomorra ha rappresentato una faccia della città in una determinata fase storica, che in parte è alle nostre spalle. Per un periodo, Napoli è stata identificata totalmente con la fiction. Scampia oggi è un quartiere molto diverso anche grazie all’attenzione determinata da Gomorra, che ha fatto da sponda per la parte sana, ha contribuito alla rigenerazione sociale denunciando i problemi”. Sarà…

Invece oltre due anni fa, il suo predecessore aveva denunciato la serie, definendola “droga mediatica artificiale”, sostenendo che “quando va in onda, aumenta la violenza”: a conclusione della quarta stagione, Luigi De Magistris (sindaco partenopeo dal gennaio 2015 all’ottobre 2021, eletto con il 65 % dei consensi) aveva infatti scritto, in un lungo post del 6 maggio 2019, che si tratta di “una droga mediatico-comunicativo-artificiale che rischia di corrodere cervello, anima e cuore di centinaia di giovanissimi”.

Siamo dell’idea che abbia ragione De Magistris, e comunque crediamo che, in un Paese serio e coscienzioso, la ricerca – accademica ed istituzionale – avrebbe dovuto e dovrebbe studiare seriamente il fenomeno nelle sue ricadute psico-sociali, senza fermarsi alle soggettività dell’una parte o dell’altra…

Addenda per i fan della serie

A livello di trama, in sintesi la quinta stagione di “Gomorra” rappresenta una sorta di “resa dei conti”, si pone come crepuscolo di clan e figure di camorra astuti nelle strategie per fare business, e feroci nell’azione per poter allargare quegli appetiti e conquistare fette di territorio anche oltreconfine. Viene messo in scena lo scontro finale tra Ciro “l’immortale” e Genny Savastano, ma anche tra e con altri esponenti dei vari clan che via via si sono affacciati con forza sulla scena del narcotraffico e altri affari…

Per i cultori della serie, questa la sinossi delle due puntate della quinta stagione: Gennaro aveva provato davvero a ripulirsi e a costruire una vita onesta per sé e per la sua famiglia. Ciro si è sacrificato per permetterglielo e quel sacrificio andava onorato. E c’era quasi riuscito: da narcotrafficante si era trasformato in imprenditore occulto riuscendo a realizzare il secondo polo aeroportuale campano. Ma poi è crollato tutto. La guerra scoppiata tra Patrizia e i Levante stava riducendo Secondigliano e Napoli intera ad un cumulo di macerie. Genny non poteva permetterlo ed è dovuto scendere di nuovo in campo per riportare l’ordine. Ha ucciso Patrizia, ha ucciso Gerlando. Ma ha pagato un prezzo altissimo: abbandonare Azzurra e Pietrino nel cuore della notte per garantire loro una vita migliore. E adesso è rinchiuso in un bunker di tre metri per tre, mentre fuori tutta la polizia di Napoli lo sta cercando, pieno di rabbia verso coloro che l’hanno costretto in quella condizione. Il suo unico alleato è ‘O Maestrale, il violento boss di Ponticelli, che vede nell’associazione con un Savastano la propria occasione di rivalsa dopo vent’anni passati in carcere. E proprio insieme a lui, Genny si appresta a condurre l’ultima battaglia contro i nemici ancora in piedi: Ciccio, Saro e Grazia Levante vanno eliminati. Ma i tre fratelli non sono gli unici ancora vivi, e tra i vivi c’è qualcuno che ha un’informazione che può sconvolgere Genny e gli equilibri in campo per sempre. Ciro è vivo, a Riga. È stato Don Aniello a mandarcelo, dopo averlo salvato quella notte in mezzo al golfo. Genny è sconvolto da quella notizia e parte subito per la Lettonia alla ricerca di risposte. Ed è lì che lo ritrova, Ciro. Dopo un anno di silenzio, i due sono di nuovo faccia a faccia, pronti finalmente a dirsi quello che non sono mai riusciti a dirsi prima. Per entrambi tutto sta per cambiare, perché pur lontani migliaia di chilometri dalla loro terra, adesso che sono insieme sentono forte il richiamo di Napoli. Napoli che ora è senza un re e solo nuove guerre e nuovo sangue sanciranno chi si siederà di nuovo sul trono

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