COP26: un documento finale debole, che tradisce le attese
Si poteva fare meglio e di più, non c’è dubbio. La Conferenza sul clima di Glasgow, la COP26, ha lasciato in molti con l’amaro in bocca, soprattutto per un accordo fortemente ridimensionato e che non risolve le principali criticità sulle tematiche green più sensibili, come clima, emissioni inquinanti e riscaldamento globale.
A parte la soddisfazione ostentata dal Premier britannico Boris Johnson, che in veste di padrone di casa ha cercato di nascondere la polvere sotto il tappeto, definendo i risultati raggiunti nelle ultime ore come “un accordo storico”, la maggioranza degli osservatori e delle organizzazioni ambientaliste ha bollato la Conferenza come fallimentare o quasi.
I combustibili fossili continueranno a bruciare ed emettere gas serra, tra cui CO2 e metano, con l’ovvia conseguenza che le concentrazioni degli inquinanti in atmosfera aumenteranno ulteriormente e con essi la temperatura media del pianeta.
Fissati i nuovi obiettivi green
Il documento finale riporta un vago impegno a mantenere tale aumento di temperatura sotto i +1,5°C (un passo in avanti, secondo molti, rispetto al tetto dei +2°C deciso nella COP21), fissando, entro il 2030, l’obiettivo del taglio delle emissioni di CO2 del 45% (rispetto al dato del 2010) e la riduzione a zero entro il 2050.
Il prossimo anno, inoltre, i Paesi firmatari del documento dovranno rivedere i propri piani di decarbonizzazione in base alle decisioni prese a Glagsow (sotanzialmente, la decisione è rimandata al prossimo anno se non al 2023).
Per i Paesi più poveri, infine, stabilito un fondo da 100 miliardi di dollari annui, che poi saranno portati a 600 miliardi entro il 2025, ma rimane il dubbio: chi ce li mette?
Un risultato che scontenta molti, soprattutto l’opinione pubblica, che si aspettava molto di più da questa COP26.
India e Cina puntano i piedi sui combustibili fossili
Secondo gli organi di stampa e i media di mezzo mondo la responsabilità di questa occasione persa è tutta sulle spalle di Cina e India, che non hanno permesso che nel documento finale venisse indicato come obiettivo prioritario lo stop ai combustibili fossili e alle centrali a carbone (invece di “eliminazione graduale” è stato inserito il termine “riduzione graduale”).
Altro punto irrisolto è il sostegno pubblico all’industria dei combustibili fossili, che così continueranno a godere di centinaia di miliardi di dollari di sussidi, che potevano essere dirottati sulle fonti rinnovabili, l’efficienza energetica e le tecnologie per l’ambiente ed il clima.
Pechino e Nuova Delhi hanno inoltre puntato i piedi su petrolio, gas e carbone, rivendicando il loro spazio atmosferico e il loro diritto ad una quota equa di emissioni di CO2.
COP26, fallimento o successo? Follow the money … il mondo investirà sempre di più nella green economy
Spesso si dice, se vuoi scoprire il futuro segui i soldi. Anche per i cambiamenti climatici potrebbe valere la stessa regola. Se la COP26 sia o meno un successo o un fallimento, lo scopriremo solo vivendo, ma è certo che i mercati finanziari e i gruppi bancari hanno già deciso di investire massicciamente nella green economy.
Secondo un’analisi di Bloomberg, ripresa dal quotidiano La Repubblica, entro il 2025 banche, fondi di investimento, enti pubblici, industria e multinazionali potrebbero investire più di 53 trilioni di dollari nell’economia verde, nelle soluzioni per ambiente e clima, ma anche per il contrasto all’inquinamento.
Ad esempio, dal 2015 ad oggi sono stati investiti più di 2,2 trilioni di dollari per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e nell’industria delle batterie, quindi a favore della mobilità elettrica.
È la stessa “base” a sostenere questo trend finanziario orientato agli investimenti responsabili verso l’ambiente, perché fondi pensione, assicurazioni e piccoli investitori offrono sempre più denaro ai soggetti sopra menzionati per sostenere progetti e attività green in tutto il mondo.
Servono risorse per la transizione ecologica, ma attenzione al greenwashing
Un argomento questo della finanza verde che non va ne sottovalutato, ne sopravvalutato, perchè gli investimenti in questo settore potrebbero essere cannibalizzati da attività di greenwashing, cioè da imprese che fanno tanto marketing sulla sostenibilità, continuando ad inquinare.
Secondo l’inviato per il clima delle Nazioni Unite, Mark Carney, rispettare gli impegni annunciati e in parte presi alla COP26 in corso a Glasgow costerà al mondo 100 trilioni di dollari (87 trilioni di euro), da qui al 2050, aggiungendo che proprio il settore finanziario potrebbe dare un grande aiuto.