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La pubblicità aumenta il numero di articoli dedicati a un’azienda. E’ quanto emerge da una ricerca sul rapporto tra pubblicità e copertura giornalistica condotta da Marco Gambaro, professore di Economia della comunicazione al dipartimento di Scienze economiche, aziendali e statistiche della Statale di Milano, e Riccardo Puglisi, ricercatore dell’Università di Pavia. Lo studio prende in esame gli articoli pubblicati ogni giorno, per un periodo di due anni, da 6 quotidiani italiani su 13 società quotate (circa 56 mila articoli in totale) e li confronta sia con i comunicati stampa diffusi che con gli investimenti pubblicitari delle società stesse.
La stima del modello econometrico mostra come la probabilità che un comunicato stampa diventi un articolo aumenta in proporzione agli investimenti pubblicitari dell’azienda su ogni singola testata. Questo rapporto esiste in presenza non solo di notizie positive ma anche di quelle negative.
“Il nostro studio – ha commentato Gambaro – mostra come l’acquisto di advertising faccia una differenza per l’ampiezza della copertura. E’ difficile dire se la distorsione evidenziata è una scelta consapevole. Quel che è sicuro è che la distorsione esiste”.
“La pubblicità è una componente di sopravvivenza per i quotidiani e offre informazioni ai lettori – ha spiegato Gambaro – ma se influenza troppo gli articoli può ridurre la fiducia dei lettori e distorcere il funzionamento della concorrenza nei mercati dei beni e in quelli finanziari”.
Secondo lo studio, infatti, la pubblicità può influenzare l’andamento del mercato spingendo i lettori/investitori ad acquistare più facilmente azioni di società che godono di una copertura pubblicitaria maggiore e di cui hanno letto un articolo il giorno precedente.
“Quando una società compra spazi sui giornali, compra anche una attenzione maggiore da parte di quei giornali per eventi degni di essere raccontati che possono portare i lettori a comprare azioni di quella società”, osserva lo studio, ravvisando un possibile impatto della pubblicità anche sui mercati finanziari.
Le testate analizzate sono: Corriere della Sera, Repubblica, Stampa, Resto del Carlino, Tirreno e Mattino di Padova. Le aziende prese a campione: Campari, Edison, Enel, Eni, Fiat, Finmeccanica, Geox, Indesit, Luxottica, Mediolanum, Telecom Italia, Tiscali e Tod’s.
Quel che la pubblicità compra è un certo interesse verso il gruppo che nel caso di un giornale spesso significa una chance più alta di essere sotto i riflettori. Se la pubblicità fa aumentare il numero di articoli pubblicati, le storie vengono scritte solo quando ci sono novità, non importa se buone o cattive.
La distorsione evidenziata dallo studio ha comunque un impatto sulle azioni e sui debiti della società, dal momento che potrebbe convincere gli investitori a comprare o vendere azioni o ad incrementare o diminuire i loro prestiti alla società.
I lettori infatti ritengono più affidabili le opinioni di un giornalista rispetto a una semplice pubblicità.
Un ulteriore effetto è quello che deriva dalla proprietà dei quotidiani. Per il Corriere della Sera e La Stampa le spese in pubblicità da parte di un gruppo che è anche azionista hanno infatti un effetto ancora più incisivo. Questo soprattutto su La Stampa. “Il legame tra la Stampa e Fiat è circa doppio di quello che sembra esistere tra Fiat e Il Corriere della Sera“, per gli autori dello studio. Rcs vede fra i principali azionisti Mediobanca, Fiat, Della Valle, Pirelli, la famiglia Benetton e Intesa SanPaolo. La Stampa è di proprietà di Fiat.