Italia
E’ scontro tra industria discografica italiana e radio sulla questione dei diritti legati all’uso delle registrazioni: dieci network aderenti a RNA (Radio nazionali associate) hanno deciso di sospendere la programmazione dei nuovi singoli pubblicati dalle case discografiche aderenti a SCF dopo che il consorzio, che rappresenta oltre il 95% del repertorio pubblicato in Italia, ha chiesto di alzare i diritti rispetto all’1% corrisposto.
A ricostruire le tappe della vicenda è stato Saverio Lupica, presidente di SCF, insieme ai presidenti delle principali case discografiche, e di FIMI (Federazione industria musicale italiana) e PMI (Produttori musicali indipendenti). Alla conferenza stampa Emi, Warner, Universal, Sony e Gruppo Sugar si sono presentate compatte.
La trattativa va avanti dal 2006, quando è scaduto il vecchio accordo e le radio hanno respinto la richiesta di adeguamento dei compensi dovuti agli artisti e ai produttori per l’uso della musica nella loro programmazione.
A dicembre 2008 la rottura. SCF si è rivolta al giudice nei confronti dei dieci network, che dal 7 maggio hanno deciso di non trasmettere i nuovi singoli in uscita: Radio RTL 102.5, Radio 105, RDS, Radio Monte Carlo, Virgin Radio, Radio DeeJay, Radio Capital, M2O, Radio 101, Radio Italia.
“Il nostro approccio – precisa Lupica – è sempre stato di estrema disponibilità, anche a un adeguamento graduale mentre l’atteggiamento dei network è stato di ferma chiusura. Se le radio sono disposte al confronto siamo qui, ma devono adeguare i compensi. Il minimo è il 2%, che paghino almeno quello, oltre agli arretrati. Ci devono quasi tre anni, ossia più di 5 milioni di euro”.
Le radio hanno chiesto una liberatoria per trasmettere le novità discografiche, richiesta definita “incomprensibile e ingiustificata“, un vero e proprio “ricatto” secondo Alessandro Massara, presidente di Universal Music Italia.
Nei principali Paesi europei, chiariscono gli aderenti al consorzio, i diritti riconosciuti dalle radio, calcolati sui ricavi lordi, variano dal 2% circa della Spagna a oltre il 4% di Francia e Gran Bretagna sino al 5,6% della Germania. “Ma l’uso di musica nei palinsesti – precisa Lupica – è superiore al 50%, per 12.15 ore al giorno”.
Il parere unanime delle case discografiche è che l’atteggiamento delle radio “penalizza il pubblico, gli artisti e i produttori”.
“Il fronte dell’industria musicale è unito“, dice Enzo Mazza, presidente di FIMI. “Il topolino è accusato di schiacciare l’elefante: le radio sono delle imprese che fanno fatturato tramite gli introiti pubblicitari, pagano di più di energia elettrica che di diritti alle case discografiche”.
“La musica non ha bisogno di battaglie tra noi – commenta Filippo Sugar, presidente del gruppo omonimo – non è una battaglia ma una negoziazione per il futuro della musica italiana” e ricorda che ‘il fatturato aggregato delle dieci radio nazionali con cui ci stiamo confrontando è superiore di quasi il 50% al fatturato globale dell’industria discografica italiana”.
Per Mario Limongelli, presidente Pmi, “Il ricatto non è civile” e invita le radio a “ritirare questa azione. E’ un atteggiamento inaccettabile”.
Parole condivise da Marco Alboni, presidente di Emi: “Le radio sembrano aver perso il senno: ci hanno dato notizia che o rinunciamo ai diritti o non trasmetteranno i nuovi brani“.
Massimo Giuliano, presidente di Warner Music Italia, dichiara che “Non trasmettere in radio novità discografiche come stanno facendo in questi giorni alcuni network non risolve il problema e contribuisce a creare un’ulteriore situazione di tensione e disagio tra le parti“.
Il tema dei diritti connessi “è fondamentale -spiega spiega Andrea Rosi, presidente di Sony Music Italia – per la nostra industria in uno scenario dove la tecnologia ha cambiato radicalmente il modo di fruizione della musica. Anche le radio devono adeguarsi a questa nuova situazione di mercato e capire che il loro ruolo non è più solamente di partner promozionale ma anche di piattaforma di utilizzo dei nostri contenuti”.