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Democrazia Futura. Un post scriptum sui risultati delle elezioni tedesche

di Massimo De Angelis, scrittore, giornalista, si occupa di filosofia |

Quali scenari per il nuovo governo e con che riflessi sulle istituzioni europee.

Massimo De Angelis

Massimo De Angelis dopo essersi chiesto in una lunga analisi alla vigilia del voto, “Germania: transizione o svolta?”, quali sarebbero stato le prospettive generali del Paese alla luce dell’ordoliberalismo che ha segnato gli esecutivi della Repubblica Federale Tedesca a partire dalla sua nascita nel secondo dopoguerra, torna con “Un post scriptum sui risultati elettorali” chiedendosi “Quali saranno i scenari per il nuovo governo e con quali riflessi sulle istituzioni europee”.  Per De Angelis “cresce la frammentazione anche di quel sistema politico. Per la prima volta nessun partito raggiunge (e neanche si avvicina) al 30 per cento dei voti. Con quale effetto? Qui le letture sono due, apparentemente l’una quasi in contrasto con l’altra. Per un verso, infatti, il voto esprime una tendenza centripeta vedendo crescere nel loro complesso le quattro forze più centrali, ovvero destinate a esprimere il governo che nel loro complesso guadagnano 3 punti percentuali, nonostante la secca sconfitta dell’Unione mentre le due formazioni estreme hanno perso, messe in insieme, quasi un  terzo dei loro consensi. Per altro verso dal voto emerge un Bundestag spaccato a metà come una mela: sommando infatti i voti di un ipotetico centrodestra (Afd, Cdu-Csu e FDP e di un centrosinistra (Spd, Verdi, Linke) si ottiene rispettivamente 45,9 per il primo e 45,4 per il secondo.  Quali conseguenze di tutto ciò? Nell’immediato, proprio grazie al carattere centripeto dell’esito elettorale, sono numericamente possibili tre soluzioni. Tutte in grado di garantire il bene supremo della “stabilità”. La coalizione semaforo (Spd, Verdi, Fdp), quella Giamaica (con l’Unione al posto della Spd e, più sullo sfondo, la Grosse Koalition (Spd-Unione)”. Qualunque sia la formula che verrà prescelta per De Angelis rimarremo in presenza di “Un sistema politico diviso a metà governato ‘dal centro'”.

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Isondaggi elettorali stavolta avevano previsto abbastanza precisamente il voto reale. La Spd ha infatti vinto col 25,7 per cento (in crescita di 5,2 punti percentuali), seguita dall’Unione col 24,1 per cento (in calo di 8,8 punti), dai Verdi al 14,8 per cento (che beneficiano del maggiore aumento ossia di 5,9 punti in più), dall’Fdp all’11,5 (con un lieve aumento di 0,8 punti), con le ali estreme Afd e Linke in calo rispettivamente al 10,3 (- 2,3 punti) per cento e al 4,9 per cento (-4,3%). Quest’ultima, pur non superando la soglia del 5 per cento dei suffragi espressi nel secondo voto proporzionale, ha poi raccolto 39 seggi per aver superato il quorum dei tre mandati diretti conquistati nei collegi uninominali dei Laender che le hanno consentito di rimanere in Parlamento.

Alla luce di ciò risultano confermate molte delle valutazioni contenute nell’articolo pubblicato su queste colonne ai primi di settembre[1].

Le più immediate: cresce la frammentazione anche di quel sistema politico. Per la prima volta nessun partito raggiunge (e neanche si avvicina) al 30 per cento dei voti. Con quale effetto?

Qui le letture sono due, apparentemente l’una quasi in contrasto con l’altra. Per un verso, infatti, il voto esprime una tendenza centripeta vedendo crescere nel loro complesso le quattro forze più centrali, ovvero destinate a esprimere il governo che nel loro complesso guadagnano 3 punti percentuali, nonostante la secca sconfitta dell’Unione mentre le due formazioni estreme hanno perso, messe in insieme, quasi un  terzo dei loro consensi.

Per altro verso dal voto emerge un Bundestag spaccato a metà come una mela: sommando infatti i voti di un ipotetico centrodestra (Afd, Cdu-Csu e FDP e di un centrosinistra (Spd, Verdi, Linke) si ottiene rispettivamente 45,9 per il primo e 45,4 per il secondo.

Quali conseguenze di tutto ciò? Nell’immediato, proprio grazie al carattere centripeto dell’esito elettorale, sono numericamente possibili tre soluzioni. Tutte in grado di garantire il bene supremo della “stabilità”. La coalizione semaforo (Spd, Verdi, Fdp), quella Giamaica (con l’Unione al posto della Spd e, più sullo sfondo, la Grosse Koalition (Spd-Unione).

Tranne che nell’ultimo caso si tratterà (e anche questa è una prima volta) di una coalizione a tre e non a due. Tale dato, unito al fatto che la coalizione non sarà tra un grande partito e dei satelliti ma fra tre forze di medio-grandi dimensioni, fa sì che necessariamente il cosiddetto “spirito di coalizione” dovrà prevalere rispetto a quello di leadership. E già questo è un notevole cambiamento.

E ora: quale tra coalizione Semaforo e Giamaica è la più probabile? Senz’altro la prima.

Sarebbe un’alleanza tra i partiti che hanno ottenuto il segno + e il cancelliere sarebbe Olaf Scholz e cioè il candidato che ha ottenuto più voti ma anche più preferenze anche trasversali nei sondaggi. Attenzione però. Sul piano dei programmi forse questa alleanza contiene più spine rispetto a quella Giamaica. Tra l’altro, essendo che sino al cuore dell’estate era quest’ultima la coalizione prevista vincente, i programmi reciproci erano stati già meglio commisurati.

In definitiva Scholz è chiamato a una straordinaria capacità di mediazione politica e programmatica (con relativa assegnazione di posti) per varare il suo esecutivo. Particolarmente nei confronti della Fdp che senz’altro porrà come ineludibile la guida del ministero delle Finanze mentre i Verdi vorranno guidare la transizione ecologica. Se Scholz accettasse queste richieste e insieme mediare tra Fdp e Verdi, dovrebbe farcela.

L’altra coalizione, la Giamaica avrebbe un certo vantaggio programmatico dalla sua ma ha l’indubbio difetto che sarebbe guidata dalla forza che ha subìto un vero smottamento e che è perciò comprensibilmente in confusione.   

Tutti escludono il ritorno a una Grosse Koalition ed essa è, in effetti non desiderata da tutti i partiti e costituirebbe un disconoscimento delle novità che si sono espresse nel voto. D’altra parte la coalizione del governo uscente ha perso ma non moltissimo. Meno di quattro punti e va tenuta in conto l’uscita di scena di Angela Merkel. Perciò la grande coalizione resta una ipotesi B, remota ma infine concreta in caso di impasse.

Essa potrebbe essere per un verso un ritorno del vecchio ma, paradossalmente, l’effetto del secondo aspetto del voto richiamato all’inizio: quello del sistema diviso a metà.

Un sistema politico diviso a metà governato “dal centro”

E qui veniamo ad analizzare rapidamente proprio questo secondo aspetto del voto.

La Merkel ha sempre e solo governato “dal centro”. Così facendo ha “costretto” la Spd ad attenuare la sua fisionomia più di sinistra che è però ben presente in quel partito; per altro verso e soprattutto ha in certo senso svuotato di identità l’Unione e soprattutto la Cdu facendone appunto quello che noi italiani chiamavamo partito doroteo.

Una forte discussione si è già aperta in quella forza politica. Si noti, in proposito, che la Csu, proporzionalmente, ha ottenuto risultati migliori della sua consorella, e che l’Unione è forza di maggioranza praticamente solo nel sud, ossia nella Baviera rappresentata dalla Csu:  un riequilibrio in seno all’Unione si renderà anche in questo caso quindi necessario.

Specie se l’Unione andrà all’opposizione come è probabile si aprirà un grande dibattito strategico che potrebbe portare a un suo riposizionamento più moderato.

Questo potrebbe aprire un altro capitolo spinoso. Se il sistema politico è oggi centripeto ma se, come noi affermiamo, ha dentro di sé una dinamica polarizzante dovuta alla “mela spaccata a metà” è probabile che si possa aprire in futuro un problema di legittimazione della Afd al governo almeno a livello regionale. E’ a questo livello, infatti, che l’Unione può cercare in tempi brevi la rivincita elettorale ma è assai difficile possa ottenerla senza coinvolgere almeno all’Est la Afd. Questo potrebbe aprire un nuovo capitolo nella politica tedesca e può forse far scattare un rovello anche nella testa di Scholz: meglio una Unione all’opposizione che vira a destra o una Grosse Koalition che la tiene ancorata al centro?  Vedremo.

Ultimo capitolo l’Europa. Nell’immediato non si dovrebbe produrre nessuno scossone. Poi, specie se si formerà la coalizione semaforo (ma a ben vedere anche con la Giamaica) la Fdp alla guida del ministero delle finanze potrebbe essere per il governo il vincolo (per Scholz forse anche l’alibi) a frenare sui processi di unificazione della politica economica e soprattutto sulla messa in comune del debito.

Sarà questo il perno su cui tutto il resto ruoterà. O quasi. Questo sul piano del Consiglio intergovernativo e della Commissione.

Sul piano parlamentare, invece, dovrebbero sentirsi gli effetti della ricollocazione dell’Unione che potrebbe mettere in una qualche tensione l’asse popolari-socialisti che è stato il punto di equilibrio fondamentale delle ultime Assemblee europee. Tutto ciò avrà un punto di caduta quando si dovrà eleggere il nuovo presidente del Parlamento e soprattutto allorché si comincerà  a pensare al nuovo Presidente della Commissione. Una conferma di Ursula von der Leyen rafforzerebbe l’asse attuale, se, viceversa, Olaf Scholz desse l’impressione di puntare su un candidato socialista molte cose potrebbero essere messe in discussione.


[1] Massimo De Angelis, “Germania: transizione o svolta?”, Key4biz, 9 settembre 2021. https://www.key4biz.it/democrazia-futura-germania-transizione-o-svolta/373080/

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