Nuovi piani di estrazione
La transizione energetica è in corso, è reale e riguarderà non solo le industrie e le imprese, ma anche noi cittadini. Solo che non avviene in maniera omogenea in tutti i Paesi, non nello stesso tempo, non nella stessa maniera, con nuovi progetti estrattivi e infrastrutturali per il petrolio, il carbone e il gas naturale.
Quindi ulteriori emissioni di gas serra e un incremento di concentrazione atmosferica dei principali inquinanti, tra cui la CO2, che di fatto renderanno praticamente inefficaci tutti i progetti di decarbonizzazione annunciati e poi avviati dalle principali economie globali.
Due distinte ricerche a livello mondiale confermano i piani di realizzazione di nuovi pozzi e giacimenti per l’estrazione di petrolio e gas naturale, e le attività estrattive del carbone in diverse parti del mondo che non sono mai cessate, nonostante i roboanti annunci di un’imminente fine dell’era dei combustibili fossili.
Le mani sul petrolio
Per il petrolio e il gas naturale, infatti, sembra da qui al 2030 si continueranno a spendere molte risorse finanziarie, valutate attorno a 1.700 miliardi di dollari, secondo un nuovo studio condotto da Rystad Energy.
I principali investitori sono PetroChina, che potrebbe arrivare a spendere 120 miliardi di dollari entro il prossimo decennio, seguita da SaudiAramco e la russa Rosneft, 70 miliardi di dollari ciascuna.
Saranno avviati i lavori per aprire altri 600 mila pozzi di greggio tra il 2021 ed il 2030, di cui 170 mila in mano cinese.
Il carbone che non finisce mai
In un altro Rapporto pubblicato da Sustainable Energy for All (SEforALL) e Climate Policy Initiative (CPI), invece, si stima che dal 2013 al 2019 sono stati spesi in infrastrutture per l’estrazione, il trasporto e il trattamento del carbone 42 miliardi di dollari in 18 Paesi di tutto il mondo.
Tra questi Bangladesh, India e Pakistan hanno investito in nuove centrali, mentre Madagascar, Mozambico, Malawi, Nigeria e Tanzania hanno ampliato e innovato i vecchi impianti.
Il 40% della spesa è stata effettuata tramite fondi di investimenti cinesi. Pechino, a differenza di Corea del Sud e Giappone, non ha mai annunciato il blocco degli investimenti esteri nell’economia del carbone (confermando invece gli obiettivi green nazionali, di picco delle emissioni per il 2030 e di neutralità climatica entro il 2060).
Ma non c’è solo la Cina, perché sono 38 le banche di tutto il mondo che hanno investito nell’economia del carbone globale più di 52 miliardi di dollari tra il 2016 ed il 2020.