ICT: l’Italia continua a perdere posizioni. Non ci aiuta più neanche l’entusiasmo per i telefonini, serve una vision pubblica più ambiziosa

di Alessandra Talarico |

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Come ogni anno, arriva puntuale anche quest’anno la classifica stilata da Economist Intelligence Unit – che quest’anno ha però cambiato nome da “e-readiness rankings” in “digital economy rankings” – per fornire una panoramica a livello mondiale sulla ricettività dei mercati nei confronti delle opportunità legate a internet e alle tecnologie digitali di comunicazione.

E come ogni anno, l’Italia perde posizioni, passando dal 26esimo al 27esimo posto su 70 Paesi, con un punteggio di 6.92 rispetto ai 7.09 della scorsa edizione, penalizzata dal ritardo nello sviluppo della rete di nuova generazione e da policy pubbliche poco lungimiranti.

 

La classifica – costruita sulla base di oltre 100 criteri quantitativi e qualitativi organizzati intorno a 6 categorie – evidenzia i fattori che guidano oppure ostacolano i paesi nell’adottare i modelli e le opportunità legate a internet e alle tecnologie digitali e nel favorire lo sviluppo economico e sociale di un paese ed è, come sempre, guidata dai Paesi nordeuropei. Quest’anno a primeggiare non è più, però, la Danimarca, ma la Svezia, sebbene con un margine estremamente ridotto.

Nella top ten, oltre a questi due paesi, compaiono gli Usa, la Finlandia, i Paesi Bassi, la Norvegia, Hong Kong, Singapore, Australia e Nuova Zelanda.

  

Secondo Denis McCauley, direttore della Global Technology Research di Economist Intelligence Unit, “un forte sviluppo digitale richiede azioni concertate  e progresso su molti fronti”. La Svezia, che guida la classifica, e la maggior parte dei paesi nelle prime posizioni, vanta, oltre a un alto livello di connettività, anche un ambiente legale e di business stabile, forti driver educativi e culturali, policy pubbliche a supporto dell’ICT e un uso attivo, da parte della popolazione dei servizi digitali.

Mettendo a confronto Svezia e Italia sui diversi criteri valutati per stilare la classifica, ad esempio, si nota che: riguardo il livello di connettività, la Svezia ottiene un punteggio di 8.20, contro il 6.45 dell’Italia. Sull’ambiente business, la Svezia segna 8.13 e l’Italia 6.32. L’ambiente sociale e culturale vale al leader della classifica un punteggio di 8.53 contro i 7.60 del Bel Paese, che fa un po’ meglio relativamente al contesto legale, per il quale la Svezia ha un punteggio di 8.25 e l’Italia di 8.45. Crolliamo, invece, per quanto riguarda la ‘visione e le policy del governo’: indicatore in cui la Svezia segna un punteggio di 8.90 contro i 6.55 dell’Italia. Riguardo, infine, il livello di adozione tra i consumatori e le aziende, la Svezia segna 8.75, contro il 6.88 dell’Italia.

 

Lo studio sottolinea come ormai individui e aziende, pressoché in tutto il mondo, si connettano regolarmente a internet e alle reti di telecomunicazione e come la ‘connettività’ non sia più un lusso esclusivo dei paesi più ricchi.

La priorità, come emerge anche dal nuovo titolo dello studio, non è più quella di garantire le tecnologie ICT alla popolazione, quanto di massimizzarne l’uso per trarne vantaggi economici e sociali.

 

Tra i risultati dello studio, emerge che la banda larga sta diventando sempre più accessibile, soprattutto nei paesi in via di sviluppo: in 49 dei 70 paesi presi in esame, i costi per un abbonamento alla banda larga rappresentano meno del 2% del reddito medio mensile nel 2009, rispetto ai 42 paesi nel 2008 e i 33 del 2007.

 

Per poter usare al meglio la miriade di nuove applicazioni e servizi, serve tuttavia una connessione di alta qualità e, per questo, la classifica valuta ora anche la qualità delle reti a banda larga e di quelle mobili oltre che la loro prevalenza: un criterio di valutazione che ha intaccato – dicono i curatori della ricerca – “le fortune dei paesi che negli anni precedenti occupavano i posti più alti del ranking”.

Molti paesi europei e americani, infatti, hanno perso punti e anche posizioni per lo scarso sviluppo delle reti a banda ultra larga, mentre i paesi asiatici come Taiwan, Giappone e Corea del Sud, che hanno investito pesantemente nella fibra ottica, hanno scalato la classifica.

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