Iniziamo oggi le pubblicazioni del numero primaverile di Democrazia futura (aprile-giugno 2021) con l’editoriale di Giampiero Gramaglia “La forza tranquilla di Biden il moderato, che prova a rottamare Reagan” in cui il direttore della rivista presenta un bilancio dei “cento giorni che ridefinirono l’America” nel nome di un ritorno a Roosevelt. Gramaglia descrive un Biden “double face”: l’uno è l’Uncle Joe che t’aspetti, quello che combatte la pandemia a colpi di vaccini – più del doppio dei cento milioni in cento giorni promessi – e di fondi per rilanciare l’economia…. L’altro è il Tiger Joe che non t’aspetti, quello che tratta a muso duro Russia e Cina su diritti umani e valori fondamentali, più che sull’economia e la sicurezza, e chiama i partner europei a impegnarsi sulla stessa linea, nel nome di un’alleanza rinvigorita – e non più ‘picconata’. Due gli obiettivi presentati nel suo discorso al Congresso: traghettare l’economia oltre la pandemia ed estendere la rete di protezione sociale, nel segno della riduzione delle diseguaglianze, sociali, etniche, di genere.
Biden prova a portare gli Usa nel ‘dopo Reagan’, giocando l’alleanza con l’Europa contro Cina e Russia
Joe Biden, l’acqua cheta che ha battuto Donald Trump e lo ha estromesso dalla Casa Bianca, prova, ora, a smantellare 40 anni di aggressivo neo-liberismo e a mandare in soffitta il lascito di un’icona dell’America conservatrice, Ronald Reagan. Così, i media americani sintetizzano i primi 100 giorni di colui che doveva essere Sleepy Joe e che s’è invece rivelato Tiger Joe e interpretano il messaggio al Congresso contenuto nel primo discorso a Camere riunite, il 28 aprile 2021.
Scrive sul New York Times Lisa Lerer: “Quarant’ anni fa, Ronald Reagan, un nuovo presidente, parlando davanti al Congresso in sessione congiunta, trasmise un messaggio semplice: ‘Il nostro governo è troppo grande, e spende troppo’”. Lo stesso messaggio che Margareth Thatcher ripeteva, fin dal 1979, alla Gran Bretagna e con cui contagiava tutta l’Europa. “Adesso, Biden ci dice: ‘E’ ora di ricordare che ‘We the People’ siamo il governo, voi ed io, non qualche forza misteriosa ed esoterica in una lontana capitale’”.
Nel 1981, ad ascoltare Reagan c’era, nell’aula del Congresso, un giovane Biden, senatore ancora junior del Delaware, inconsapevole, come molti, forse lo stesso Reagan, che quelle parole avrebbero definito la politica per generazioni. Da allora Biden e la maggior parte del suo partito, che pure doveva essere l’antagonista del partito neo-liberista, hanno agito nell’ombra di Reagan, convinti che la scelta del ‘big government’, più spesa pubblica, sarebbe stata una iattura politica. Così, Biden il moderato fu partecipe degli sforzi per ridurre il deficit, contenere la spesa pubblica e andò alla ricerca di misure capaci di attrarre sostegno bipartisan, rinunciando allo spessore sociale delle proprie iniziative.
Poi venne Trump, che alle scelte bipartisan antepose quelle partigiane, profondamente divisive, giocando sulla contrapposizione più che sulla concordia, sulla menzogna più che sulla verità. E venne la pandemia, che innescò una crisi sanitaria planetaria che s’è tradotta in crisi economica e sociale. Per prima, l’Unione europea di Ursula von der Layen, ma tuttora anche di Angela Merkel e di Emmanuel Macron, cui s’è recentemente aggiunto Mario Draghi, s’è dimenticata della Thatcher, favorita pure dal fatto che i britannici hanno nel frattempo deciso di fare per conto loro. E, adesso, gli Stati Uniti di Biden provano a cancellare Reagan e a riproporre il colpo di reni che riuscì loro dopo la Grande Depressione, con il New Deal di Franklyn Delano Roosevelt.
“Biden – scrive la Lerer – prospetta un approccio che storici, politologi e strateghi di entrambi i partiti ritengono possa segnare la fine della visione finanziaria ed economica neo-liberista della politica e della società … Biden tratteggia un’agenda densa d’investimenti pubblici le cui dimensioni sono da ‘una volta in una generazione’ e che possono essere una svolta in ogni aspetto della vita americana, dalla ricerca sul cancro alla cura dei bambini al cambiamento climatico”.
Una visione e un progetto che, in questo momento, restringono l’Atlantico, perché avvicinano Usa e Ue, impegnati in uno sforzo analogo di ricostruzione e di solidarietà, e allargano il Pacifico, perché allontana Usa e Cina, con il gigante comunista ancora dentro la logica di una crescita senza pastoie etiche e sociali – il regime politico non democratico glielo consente -, mentre la Russia, nonostante il crollo del comunismo e lo smembramento dell’Urss, non è mai uscita dalle tentazioni dell’autoritarismo e dalla logica della contrapposizione fra Super-Potenze.
Le domande – non mie, ma di tutti i media statunitensi – sono due. La prima, se tutto ciò e vero, perché Biden il moderato indossa, ora che è presidente, panni che piacciono alla sinistra del suo partito e usa toni e passaggi che potrebbero essere stati scritti dal ‘socialista del Vermont’ Bernie Sanders o dalla ‘egeria di Occupy Wall Street’ Elizabeth Warren e che potrebbero essere letti dalla suffragetta dei progressisti Alexandria Ocasio-Cortez. La seconda è se ce la farà, con una maggioranza risicata alla Camera e risicatissima al Senato e con solo 18 mesi a disposizione – le elezioni di midterm dell’8 novembre 2022 dovrebbero favorire l’opposizione e ridurre i suoi margini di manovra e successo, come quasi sempre avviene nel metronomo dei poteri della politica statunitense -.
Il Washington Post scrive: “L’agenda domestica del presidente è il più impressionante spostamento della politica economica e del welfare federale da quando fu eletto Ronald Reagan, 40 anni or sono. Tenuto conto dell’esile maggioranza democratica in Congresso e di una Nazione ancora nettamente divisa, l’agenda di Biden appare, però, una scommessa politica di enormi proporzioni”.
Biden riporta indietro l’orologio della storia a un’epoca più giusta, quando le diseguaglianze erano enormi ma si riducevano e la ricchezza era meno concentrata in poche mani. Lo vuole davvero? o strizza solo l’occhio alla sinistra del suo partito? e ci riuscirà? o i repubblicani lo bloccheranno? E’ la storia da scrivere nell’immediato futuro, noi e loro, europei ed americani, forse di nuovo concordi nella visione della società e nella lettura delle priorità.
I cento giorni che segnano un ritorno a Roosevelt
Finora, alla Casa Bianca c’è stato un Biden ‘double face’. Uno è l’Uncle Joe che t’aspetti, quello che combatte la pandemia a colpi di vaccini – più del doppio dei cento milioni in cento giorni promessi – e di fondi per rilanciare l’economia – 1900 miliardi di dollari, due volte il Recovery Fund dell’Unione europea, oltre a 4mila miliardi tra infrastrutture e occupazione -; e quello che rimette insieme i cocci del suo predecessore, sul clima, l’ambiente, le disuguaglianze di colore e di genere.
A suo favore, la sentenza di condanna a Minneapolis del poliziotto assassino di George Floyd; contro di lui, le cronache costellate di agenti che sparano e uccidono adolescenti neri e ispanici, ancora a Minneapolis, a Chicago, a Columbus nell’Ohio.
L’altro è il Tiger Joe che non t’aspetti, quello che tratta a muso duro Russia e Cina su diritti umani e valori fondamentali, più che sull’economia e la sicurezza, e chiama i partner europei a impegnarsi sulla stessa linea, nel nome di un’alleanza rinvigorita – e non più ‘picconata’ -. E che rinvia il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, perché non c’è bisogno d’un rapporto dell’intelligence per rendersi conto che, se le forze Nato se ne vanno, i talebani riprendono il controllo del Paese. E che avverte Kim Jong-un, dittatore nord-coreano orfano del magnate presidente amico suo e in cerca di aiuti e d’attenzione, che provocazioni con missili o, peggio, con l’atomica non resteranno senza risposta.
Ora, però, a giudizio dei commentatori dei maggiori media Usa, il discorso di Biden chiude la luna di miele del nuovo presidente con i suoi elettori e apre una stagione di complessi negoziati: politico di lungo corso, Biden dovrà essere capace di fare accettare i suoi programmi sia ai democratici sia ai repubblicani, anche se l’opposizione repubblicana in Congresso, ancora striata di ‘trumpismo’, non è per nulla malleabile.
Il discorso al Congresso Che cosa ha detto Trump al Congresso? “L’America si sta rialzando”, assicura, dopo aver ereditato da Trump “un Paese in crisi”, diviso e malato; e prospetta un’espansione – senza pari da almeno quarant’anni – dei programmi federali.
Due gli obiettivi: traghettare l’economia oltre la pandemia ed estendere la rete di protezione sociale, nel segno della riduzione delle diseguaglianze, sociali, etniche, di genere. E’ il colpo di timone che riporta la barra dell’America a prima della svolta reaganiana degli Anni Ottanta.
“Vivevamo la peggiore pandemia da un secolo in qua, la peggiore crisi dalla Grande Depressione e il peggior attacco alla nostra democrazia dalla Guerra Civile … Ora stiamo vaccinando la Nazione, stiamo creando milioni di posti di lavoro, stiamo dando risposte visibili e concrete alla gente e stiamo garantendo equità e giustizia“.
Due immagini danno la percezione dell’eccezionalità del momento: l’aula della Camera non è gremita, come avviene di solito per il discorso sullo stato dell’Unione – questo non lo è, ma è analogo -, perché le presenze di deputati e senatori sono contingentate causa pandemia – segno che l’emergenza sanitaria non è tramontata -; e, dietro il podio di Biden, lo scranno della presidenza è, per la prima volta, occupato da due donne. Kamala Harris, la vice-presidente, presiede il Senato; e Nancy Pelosi è la speaker della Camera: 15 mesi or sono, stizzita, stracciò platealmente il discorso di Trump davanti alle telecamere.
“Il futuro dell’America è nelle nostre mani“. Biden sprona un Congresso ad appoggiare il suo piano da oltre 4 mila miliardi di dollari per rilanciare l’Unione (“il più grande dalla Seconda Guerra Mondiale“) e inoltre a riformare la polizia, dare una stretta alle armi da fuoco facili, lavorare a una riforma dell’immigrazione complessiva.
C’è una proposta suggestiva: la riforma della polizia, che porta il nome di George Floyd, l’afroamericano ucciso da un agente a Minneapolis il 25 maggio 2020, dovrebbe essere varata nell’anniversario dell’omicidio. “Abbiamo visto – dice Biden – il ginocchio dell’ingiustizia sul collo dell’America nera. Ora bisogna voltare pagina, il Paese lo vuole“.
Sul fronte internazionale, Biden manda un messaggio a Vladimir Putin e Xi Jinping. “Non vogliamo conflitti o escalation“, assicura, sottolineando, però, che “la democrazia è l’essenza dell’America e gli autocrati non vinceranno“. Prospetta azioni concertate con gli alleati, in primis della Nato, e vuole rilanciare la diplomazia con Russia, Cina, Iran, Corea del Nord, nel rispetto dei diritti umani.
Il presidente ricorda che l’Unione s’è vista precipitata “in un abisso di insurrezione e d’autocrazia – un riferimento all’assalto al Congresso del 6 gennaio e alle responsabilità di Trump -, di pandemia e di sofferenza”: ne è emersa “forte”, ma anche polarizzata. E un punto in particolare del programma di Biden rischia di suscitare frizioni: la riforma fiscale, che andrebbe a modificare quella di Trump del 2017, alzando le tasse alle imprese e a quanti guadagnano oltre 400 mila dollari l’anno.
I maggiori introiti erariali finanzierebbero una serie di interventi sociali, nell’istruzione, nella sanità, oltre agli sgravi fiscali per le famiglie e i bassi redditi, così da ridurre le disuguaglianze. Una ricetta che i repubblicani bollano “alla Robin Hood” e che suscita perplessità anche tra i democratici più moderati spiazzati dal “quieto radicalismo” del presidente che piace invece sempre più alla sinistra.
Biden ricorda come “la pandemia ha reso le cose peggiori, perché mentre 20 milioni di americani perdevano il loro lavoro, i 650 miliardari dell’Unione hanno visto la loro ricchezza aumentare d’oltre mille miliardi di dollari. E’ ora di fare qualcosa“. Di qua e di là dell’Atlantico, ce ne stiamo rendendo conto.