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La battaglia dei diritti tv: cosa succederà nel triennio 2021-2024 (e quanto costerà)

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Ogni triennio, la sfida sui diritti tv sul calcio in Italia è in grado di spostare gli equilibri e cambiare del tutto il panorama della tv streaming e via satellite. Ecco perché.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Ogni triennio, la sfida sui diritti tv sul calcio in Italia è in grado di spostare gli equilibri e cambiare del tutto il panorama della tv streaming e via satellite. Tre anni fa, nessuno sapeva ancora che cosa fosse DAZN (e ci è voluto un po’ anche per apprendere la pronuncia corretta, dasòn). Oggi invece la pay-tv nata dal gruppo Perform appare come l’assoluta vincitrice dell’asta che ha tolto a Sky la fetta grossa della Serie A, con qualche perplessità da parte di chi, viste le non poche partite trasmesse da DAZN con seri problemi – come le ultime Inter-Cagliari e Verona-Lazio – teme che il passaggio in massa dal prossimo autunno alla nuova piattaforma comporti difficoltà ancora maggiori. Ma attenzione, perché all’origine degli ultimi disservizi di DAZN c’è CTS (Comcast Technology Solutions), società di Comcast, che controlla proprio Sky (e che si è scusata, mentre DAZN offrirà un mese gratis come risarcimento agli abbonati interessati dai malfunzionamenti). Insomma, la situazione è molto complessa e in divenire, alleanze e partnership si fanno e si disfano nel giro di poche ore. E a tutto questo si aggiungono i problemi sui criteri di distribuzione della quota dei diritti tv in base al numero degli spettatori, che si intreccia con un’altra grande incognita della pandemia: quando verranno riaperti gli stadi ai tifosi?

DAZN e Sky tra diritti tv, esclusive e co-esclusive

Cerchiamo comunque di riassumere la situazione attuale (tenendo presente che su SOSTariffe.it si possono trovare tutte le offerte nell’ambito della tv streaming per confrontarle tra loro): nel triennio 2021-2024 DAZN (che ha acquistato il pacchetto più corposo con 840 milioni di euro, in partnership con TIM) trasmetterà tutte le partite di Serie A, sette in esclusiva e tre in co-esclusiva; queste ultime devono essere ancora assegnate al secondo soggetto, con l’obbligo che non vengano trasmesse in chiaro. È quindi Sky, che fino a quest’anno detiene i diritti tv per sette partite su dieci per turno, la favorita per trasmetterle, ma i club si aspettano che l’azienda possa superare l’offerta già bocciata di 87,5 milioni, fino a circa 110. Per quanto riguarda invece la Serie B, non ci sono esclusive, ma due pacchetti: uno per le due piattaforme (satellite e digitale terrestre) e uno per la piattaforma Internet e mobile. In questo modo a Sky potrebbe fare gola l’offerta satellitare, mentre DAZN (e forse Eleven Sports) punterebbero sul pacchetto OTT (ovvero via Internet).

Sempre Sky continuerà a trasmettere le più importanti competizioni europee, cioè la Champions League e l’Europa League, e ha già scritto ai suoi abbonati ricordando tutti i vantaggi e le caratteristiche della propria offerta. Dal canto suo Maximo Ibarra, amministratore delegato dell’azienda, in una recente intervista a Repubblica ha detto che l’azienda intende rimediare alla perdita dei diritti sul campionato «utilizzando i 750 milioni che non abbiamo speso per i diritti della Serie A per altri scopi: acquisto di altri diritti, non solo nel calcio, produzione di nuovi contenuti anche grazie alla piattaforma paneuropea di Sky Studios. E poi con quattro nuovi canali di entertainment con il nostro marchio. E ancora, sfruttando la prevalenza tecnologica: la nostra piattaforma Sky Q non offre una semplice aggregazione di contenuti, ma permette a chi la usa di avere nella sua pagina principale un unico palinsesto che contiene tutto ciò che gli interessa». Ma è evidente che si tratta di un colpo non da poco per Sky, che già negli ultimi anni ha dovuto fare i conti con la concorrenza sugli altri contenuti (dai film alle serie tv) da parte dei vari Netflix, Amazon Prime, Disney+ (non a caso nella maggior parte dei casi coinvolti in “pacchetti tutto compreso” per gli abbonati Sky): si calcola infatti che il 40% degli abbonati, due milioni su cinque, sia con la pay-tv satellitare (e da qualche tempo anche via fibra) proprio per il calcio.

Ma le partite interessano ancora come un tempo?

Il cambiamento non riguarda solo l’Italia, né la pur complessa questione dei diritti televisivi. Andrea Agnelli, che oltre a essere presidente della Juventus lo è anche dell’ECA (l’Associazione dei Club Europei) ha recentemente evidenziato come sia cambiata la fruizione delle partite di calcio negli ultimi anni. Non è soltanto la nostalgia del campionato con tutte le partite alle ore 15, la radiolina sempre accesa al pomeriggio e altro materiale da amarcord: è proprio il fatto che il calcio, così com’è, sembra non interessare più le nuove generazioni, abituate a una fruizione molto più immediata (è del resto l’epoca dei video da dieci secondi su TikTok). Il rischio è che per un 2000 sia preferibile mettersi davanti alla PlayStation per giocare a FIFA 2020 che vedere una partita “reale”, per gli standard moderni lunghissima con i suoi novanta minuti e spesso, in Italia, poco spettacolare.

Secondo Agnelli, «le ricerche dicono che almeno un terzo segue almeno due squadre, il 10% segue i giocatori e non i club, due terzi di loro seguono le gare perché attratti dai grandi eventi. Ci sono molte partite che sono non competitive nei campionati e questo non cattura l’interesse dei tifosi. I tifosi non possono essere dati per scontati». Addirittura si è arrivato a teorizzare un abbonamento per mostrare solo gli ultimi 15 minuti delle partite.

Qui si gioca però un altro match, extra-campo ma cruciale per il futuro del calcio: il 2024 è l’anno che ormai tutti indicano come quello del grande reset, in cui con buona probabilità verrà sviluppata la nuova Champions League a 36 squadre, con almeno 10 partite da giocare nei gironi al posto delle attuali 6, se non addirittura la superlega che taglierebbe del tutto fuori l’UEFA dallo scenario. Ma è un fatto incontrovertibile che già prima del Covid il formato attuale del calcio stesse mostrando tutti i suoi limiti, e la pandemia (con perdite rispettivamente attorno a 6,5 miliardi e 8,5 miliardi nelle due stagioni) non ha fatto altro che aumentare l’urgenza di soluzioni efficaci per scongiurare la più temuta rappresaglia da parte dei tifosi: cambiare canale.

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