Si arroventa il tema della Rete unica tra affermazioni e smentite, accuse e difese d’ufficio, scontri tra partiti e conflittualità in seno allo stesso governo.
Su tutto sembra pesare la data del 31 marzo, giorno dell’assemblea di TIM. Una data in cui il top management deve evidentemente esibire un qualche risultato di rilievo, dopo lo stop segnato dalla caduta del governo Conte.
Tuttavia, sul dibattito pesa molta improvvisazione e scarsa conoscenza delle norme europee, il tutto appesantito da qualche bugia di troppo intorno alla costituzione di AccessCo, la società della rete reclamata da TIM.
Cerchiamo di fare, dal nostro punto di vista, un po’ di chiarezza.
#1. La rete unica deve essere a controllo pubblico?
L’accordo siglato tra TIM e Cassa Depositi e Prestiti (CDP) sui temi della governance non risolve in alcun modo i problemi del controllo pubblico della rete. È falso affermare che il problema del controllo pubblico può essere risolto grazie alla governance stabilita da TIM e CDP, che comunque prevede anche la maggioranza in capo a TIM (50,1%).
#2. La rete unica è ripristino del monopolio o no?
Così come indicata da TIM, è un indiscutibile ritorno al monopolio. E comunque, nel caso in cui il governo accettasse la proposta di TIM, quest’ultima in AccessCo non deve poter avere né la maggioranza, né il controllo, né deve poter nominare i vertici e non deve poter decidere le politiche di investimento.
#3. AccessCo sarebbe una società verticalmente integrata o no?
AccessCo, la cui maggioranza e controllo (nonostante i pannicelli caldi esibiti) rimarrebbe in capo a TIM, mantiene intatto il problema della integrazione verticale.
È falso affermare che Access Co non avrebbe integrazione verticale, perché tratterebbe allo stesso modo tutti gli operatori. Anzi l’affermazione è malfondata. Già oggi TIM, con il modello equivalence ha l’obbligo di non discriminare gli altri operatori a cui cede l’accesso. E allora cosa cambierebbe con AccesCo?
#4. Bruxelles accetterà il disegno di TIM o lo rimanderà al mittente?
L’argomentazione cara a Bruxelles (e fatta giungere in vario modo dalla Commissione) sul rischio di un ritorno al monopolio è molto seria. Più seria di quanto non facciano intravedere le cronache dei media italiani o le uscite di questo o quel rappresentante politico.
E il modello di co-investmento proposto da TIM non risolve assolutamente il problema. Rientrerebbe, al contrario, nella categoria degli ordinari accordi commerciali che tutti gli operatori possono stringere tra loro, ma senza nessun vantaggio sulla regolamentazione in capo all’incumbent, cioè TIM. Bisognerebbe che qualcuno prima di parlare, consultasse, anzi studiasse, il Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche.
Una lettura che consigliamo a tutti coloro che sono sinceramente interessati al tema e vogliono distinguere tra ciò che è giusto fare e ciò che è sbagliato fare.