Mondo
Per chi si occupa di Rfid il 2010 verrà ricordato come l’anno del Fashion. Anche se non si può ancora parlare di uno sviluppo di massa, lo stato di adozione dell’Rfid è cresciuto sensibilmente fra le aziende che si occupano di produzione, confezionamento e trasformazione.
A confermarlo la seconda edizione del rapporto “La Diffusione delle tecnologie a Radiofrequenza nella filiera italiana del Fashion”, realizzato dal Cedites, l’unità di ricerca di Loft Media Publishing, in collaborazione con Gruppo Aton.
“In questa nuova edizione – ha spiegato Paolo Conti, Ceo di Loft Media Publishing – abbiamo avuto l’opportunità di analizzare i dati e di confrontarli con quelli elaborati nell’edizione precedente. Le informazioni che sono state raccolte tra l’agosto e l’ottobre del 2010, confermano una progressione positiva nell’adozione di questa tecnologia.”
Il forte interesse degli operatori italiani nei confronti dell’Rfid è influenzato da diversi fattori, di ordine economico, logistico e, naturalmente, tecnologico. La necessità di una decisa tutela del branding e della produzione Made in Italy, ad esempio, che rappresenta un grandissimo valore aggiunto nella sfida con i competitor internazionali. Ma anche l’importanza di ottimizzare i flussi in una filiera molto complessa e diversificata. C’è poi l’aspetto tecnico favorevole che riguarda l’adattabilità delle soluzioni a radiofrequenza alla tracciabilità dei singoli capi.
Tante le iniziative tecnologiche, di comunicazione, di trasferimento della conoscenza, legate all’interazione fra questa tecnologia e questo importante settore industriale che sta portando a una progressiva sensorizzazione delle filiere legate alla moda.
A vari livelli, tutti gli operatori stanno studiando, sperimentando o applicando l’Rfid. Gli ambiti più rilevanti sono l’ottimizzazione delle procedure logistiche, il controllo della catena di distribuzione per ridurre l’impatto del mercato nero e del mercato grigio, l’incremento dell’intelligenza nelle procedure di Customer Relationship Management, il miglioramento dell’esperienza di acquisto del cliente finale, la fidelizzazione, l’ottimizzazione delle procedure nei punti vendita.
“Dove è stato utilizzato, l’Rfid ha permesso un ritorno misurabile e in tempi contenuti – ha sottolineato Roberto Baldassar, nuovo vice Senior Bdm International Market – Enterprise Mobility Projects -. Questo ha portato a un nuovo livello di consapevolezza tra gli operatori del fashion. Si è chiarito che controllare il Grey Market con l’Rfid consente di abbattere i costi legali del 100 per cento. Si è chiarito che una logistica Rfid consente di dimezzare i tempi di spedizione e aumentare del 90% la velocità nella fase di controllo del confezionamento. E si è chiarito che trasformando con l’Rfid l’inventario in un processo in tempo reale si ottiene una precisione totale nella lettura dei capi e quindi nell’accuratezza dei dati. Ma, cosa più importante, si è finalmente chiarito che l’investimento necessario a implementare l’Rfid nei processi permette a un’azienda che si occupa di Fashion di incrementare sensibilmente il proprio giro d’affari, ripagando l’investimento stesso in non più di sei mesi”.
Ragionando su diversi casi applicativi e sui progetti in fase di test e di sviluppo, i ricercatori del Cedites ritengono che la diffusione dell’Rfid nel Fashion italiano si consoliderà in prima battuta negli anelli a valle della filiera: trasformazione, confezionamento, distribuzione e retail.
DI fatto, gran parte delle catene produttive e distributive stanno procedendo in questa direzione, disseminando a vari livelli dispositivi di varia natura per ottenere una crescente quantità di informazioni che aiutano a costruire una business intelligence di filiera, a partire dalla shopper experience. Intercettare i bisogni e le emozioni in-store per capitalizzarle e sviluppare campagne promozionali e modalità di sviluppo delle collezioni, infatti, si evidenzia particolarmente strategico soprattutto per le imprese che operano nel comparto del Fast Fashion.
“Quella del Fashion è una filiera che unisce grandi volumi di produzione e vendita – ha concluso Giovanni Bonamigo Marketing & Innovation Director di Aton – a un costo rilevante del singolo oggetto trattato, il che rende il costo del tag più sostenibile rispetto a quanto avviene in altri settori. Inoltre, la tipologia stessa degli oggetti, i capi d’abbigliamento e gli accessori, si adatta bene, nella maggior parte dei casi, all’uso dei tag Rfid”.
Iniziata con maggior lentezza rispetto ad altri comparti come l’identificazione delle persone, l’alimentare, la logistica o la sanità, la diffusione delle tecnologie a radiofrequenza nel Fashion italiano procede oggi con notevole velocità, tanto da consentire ai ricercatori ad affermare che l’Rfid entro pochi anni sarà una realtà consolidata.
Leggi il Rapporto completo