il progetto

Democrazia Futura. Nasce una nuova rivista per lanciare il confronto sul futuro del mondo che cambia

di Giampiero Gramaglia, giornalista |

Esce oggi il primo numero di 'Democrazia Futura', l'iniziativa editoriale online ideata e prodotta da un gruppo di comunicatori, giornalisti, analisti, intellettuali impegnati nel mondo delle istituzioni, della comunicazione e dell’innovazione.

Democrazia futura è…
Giampiero Gramaglia

Democrazia futura, di cui esce oggi il primo numero, sotto forma di ‘numero zero’, è un’iniziativa editoriale online ideata e prodotta da un gruppo di comunicatori, giornalisti, analisti, intellettuali curiosi del futuro della comunicazione e dell’informazione e proiettati verso l’innovazione, senza però celare evidenti nostalgie della carta stampata e con l’ambizione, forse l’illusione, di riuscire, con questo strumento, a fare meglio sentire la loro voce sui fronti della democrazia e dei valori, della responsabilità e dei diritti.

Promossa dall’Associazione Infocivica – Gruppo di Amalfi, ‘Democrazia futura’, che non ha padrini né referenti, finanziari o politici, si propone di divenire un periodico che fonda l’approfondimento dell’analisi con la tempestività del commento, scevra di presentismo, ma neppure greve e polverosa della saccenza dell’esperienza e della pedanteria del nozionismo.

‘Democrazia futura’ non ha una linea e non ha un’agenda, è luogo di confronto e di discussione, ma respinge ogni violenza fisica e verbale, ogni negazione della libertà e della democrazia, ogni rifiuto d’umanità e solidarietà. E’ palestra di libertà d’espressione, ma è pure tesa a intercettare e contrastare falsità e bufale che inquinano il dibattito sociale. Non ha sulla lingua i peli del politically correct, ma il suo è un linguaggio corretto e rispettoso. Ha una vocazione europea e crede nel prevalere dell’interesse pubblico su quello particolare.

Nel momento in cui ‘Democrazia futura’ nasce, il mio ringraziamento, di presidente di Infocivica e di direttore della pubblicazione, va al nucleo di amici e di colleghi soci dell’Associazione che vi hanno concorso e a quanti, esterni all’Associazione, vi hanno generosamente contribuito, ma soprattutto a quelli che saranno i nostri lettori e che ci daranno forza e lo stimolo con le loro critiche e i loro input.

La controcopertina del ‘numero zero’, che qui riproduciamo, opera di Bruno Somalvico, segretario d’Infocivica e vero motore trainante di questa iniziativa, che senza di lui non avrebbe mai trovato approdo, ripercorre la successione e i contenuti di Democrazia futura al suo esordio.

2.

Presentazione della rivista
Questo numero

Perché una nuova testata? E per quale motivo chiamarla Democrazia Futura. Con questa iniziativa culturale, civile ed editoriale promossa dalla Associazione Infocivica – Gruppo di Amalfi, intendiamo trattare con ampiezza di connessioni il tema delle libertà, delle garanzie, dei diritti sociali, degli equilibri e delle responsabilità pubbliche nel governo globale della Rete. La testata vuole essere un progetto editoriale originale che, intorno ai grandi temi dell’Information society e della responsabilità dei media, rappresenti una sorta di moltiplicatore di punti di vista non necessariamente ortodossi e politicamente corretti. Democrazia non vuol dire consociativismo, ma autonomia responsabilità e capacità di decidere per il bene della collettività garantendole pari condizioni di accesso al sapere, libertà effettiva di pensiero, movimento e azione e giustizia sociale. Dopo la prima vera crisi globale del corona virus, gli Stati nazionali, l’Unione Europea, e gli altri organismi internazionali, anziché andare in ordine sparso devono convergere su un minimo comune multiplo di regole del gioco globalmente condivisibili. Riteniamo utile traghettare la democrazia e ripensare le sue regole, i suoi valori e principi – in primis la libertà – nella società dell’informazione della conoscenza. Rifuggire le scorciatoie tecnocratiche, combattere i regimi autoritari e le democrature significa progettare la Democrazia futura, dando vita ad una nuova Comunità di Apoti inguaribili che desiderano uscire dal presentismo dominante e immaginare una nuova Polis.

Partiamo da Norberto Bobbio e da un suo celebre articolo “C’è consenso e consenso”, dedicato ad un editoriale di Francesco AlberoniDemocrazia vuol dire dissenso”, ovvero possibilità per le minoranze di non essere d’accordo con la maggioranza, la quale ha peraltro facoltà di agire sino a quando non venga a sua volta sfiduciata da una nuova. Il programma di lavoro della testata – riecheggiando quel lontano ma fondamentale dibattito degli anni Settanta- sarà dunque di pensare come nel mondo digitale la democrazia continui a disporre dei necessari anticorpi contro i virus che la affliggono, prepotentemente emersi in questi mesi di confinamento.Per questo motivo, in primo piano, dopo l’editoriale del Direttore Giampiero Gramaglia dedicato alle opportunità ma anche alle sfide dei social media alla democrazia prossima ventura, il contro editoriale di Roberto Amen – battezzato “il dubbio dell’apota”- che invita la politica a non dimenticarsi dei propri obiettivi di lungo termine e in qualche modo ad istituzionalizzare il futuro, e l’appello di Pier Virgilio Dastoli all’Europa a battere un colpo rapidamente cogliendo pienamente le opportunità offerte dal recente Piano della Commissione europea, abbiamo pensato di ricorrere in questa parte di apertura della rivista che si propone di fornire una visione di insieme su questi temi e su questa fase storica che stiamo vivendo dalla fine di questo inverno, ad un politologo allievo di Norberto Bobbio e diGiovanni Sartori, Gianfranco Pasquino, e ad un veterano della carta stampata con qualche esperienza anch’egli in Parlamento, Carlo Rognoni, al fine di riflettere su quella che abbiamo intitolato La crisi dei poteri oggi e, in particolare, sui complessi rapporti tra governo e parlamento, o meglio tra potere esecutivo e assemblee rappresentative, in un periodo in cui il nostro governo ricorre spesso, troppo spesso, ai Decreti. Stiamo vivendo infatti un periodo in cui l’opinione pubblica – ma possiamo chiamarla così? Esiste ancora in Italia un’opinione pubblica? – ha conosciuto un forte scossone prodotto dalla pandemia, ma che non è solo riconducibile al confinamento che ha così sconvolto i nostri comportamenti quotidiani. Prova ne siano i recenti mutamenti degli assetti proprietari in quella che un tempo chiamavamo carta stampata. In quest’ottica, abbiamo chiesto a Stefano Rolando – che sarà una delle spine dorsali di questa rivista – di riassumere per i nostri lettori il suo ultimo saggio dedicato a quella che con un artificio (combinando un neologismo anglosassone formato dalla contrazione di due sostantivi e un aggettivo) abbiamo chiamato “Infodemia indigesta”, ovvero alla circolazione di un’eccessiva quantità di informazioni, spesso fasulle, che hanno condizionato negli ultimi sei mesi il dibattito pubblico sul tema della pandemia, della democrazia e della sicurezza. In questa stessa sezione Giorgio Zanchini analizza come è cambiato il lavoro quotidiano del giornalista tradizionale grazie alla Rete.

Segue nella seconda parte Big data e capitalismo della sorveglianza, il Focus di approfondimento realizzato – facendo seguito ad alcuni seminari tenutisi nella tarda primavera in seno ad Infocivica quando abbiamo iniziato ad incontrarci a distanza. Con tre figure vicine alla nostra associazione così diverse come Massimo De Angelis, Erik Lambert e Michele Mezza abbiamo iniziato naturalmente ad approfondire quello che sarà uno dei temi costanti presenti in questa testata, ovvero il rapporto Media Democrazia alla luce del rapporto fra Big data e il cosiddetto Capitalismo della sorveglianza per riprendere il titolo di un saggio di successo anche in Italia, cercando di determinare quali siano le responsabilità della politica e delle pubbliche istituzioni in questa materia: De Angelis ci mostra come nel giro di pochi anni Internet da regno della libertà assoluta rischi di trasformarsi nel suo esatto contrario, da mondo globale senza patria e confini con grandi opportunità per i cittadini, a universo in cui le macchine vengono addestrate a isolare, catturare e renderizzare i nostri comportamenti più intimi e sfumati, fina a controllare le nostre emozioni,  Lambert – in un dettagliato articolo dopo aver ricostruito le modalità di reazione in Cina alla prima fase della pandemia – sottolinea come alcune sue applicazioni come quelle pensate per combattere la diffusione del Corona Virus per salvaguardare la tutela dei cittadini, servino de facto per consolidare il tracciamento dei cittadini e i dati sui essi raccolti dalle grandi piattaforme che dominano il nostro universo: i cosiddetti Gafam, Google, Amazone, Facebook, Apple e Microsoft che, come tali, non vanno considerati dunque benefattori dell’umanità, Google nella fattispecie quando si presenta come soggetto abilitatore di una tecnologia salvavita. Mezza infine, fra i più attenti osservatori italiani del fenomeno, recensendo il libro di Shoshana Zuboff confrontandolo con altri testi, definisce polemicamente la sorveglianza del nuovo capitalismo un fenomeno che, parafrasandolo, potremmo definire di “totalitarismo morbido”, perseguendo le proprie finalità prescindendo dalle decisioni dei governi e dalle leggi votate dalle forze politiche, operando cioè senza contrappesi, ovvero in un regime di autonomia assoluta, “senza Stato e senza rischio”.

Su questo tema abbiamo proseguito il Focus di approfondimento, chiedendo ad alcuni amici dell’Associazione quattro contributi secondo un’ottica “glocale”, né local-provinciale, ma nemmeno “esterofila” come tante riviste di questo paese, prefiggendosi l’obiettivo, al contrario, di cercare di capire le interconnessioni e le ripercussioni delle varie opzioni geopolitiche prese dalle grandi potenze e dalle grandi imprese globali (nella fattispecie in materia di governance dei media e di controllo delle piattaforme), non solo sull’Unione europea e sui suoi singoli Paesi membri, ma anche sui diversi territori che la compongono, e su quelle “tante Italie” – secondo quanto coniato da Fernand Braudel – che hanno contribuito comunque a fare della Penisola una delle più fiorenti economie. Il tema della Privacy, caro a Stefano Rodotà, è qui affrontato da uno studioso che lo considera come proprio maestro, Arturo Di Corinto, in un contributo che sottopone alla nostra attenzione quella che continua a giudicare come la mai risolta “contraddizione americana” fra tecnologie di controllo e tutela della riservatezza. Da un’altra angolatura, un academico distaccato come Giuseppe Richeri analizza, senza demonizzarlo, il modello di “Stato della sorveglianza in Cina”, ovvero le misure prese dal quel Governo e dal Partito Comunista cinese per orientare la formazione della società civile e dell’opinione pubblica interna, attraverso un modello di controllo, censura e, per l’appunto, orientamento dei propri cittadini, definito “Sistema di credito Sociale”, intendendo credito in termini di reputazione e affidabilità attribuite secondo precisi punteggi assegnati ai singoli cittadini. Il sociologo Raffaele Barberio, Presidente di Privacy Italia, in un’impietosa analisi del processo di affermazione dei Gafam attraverso il controllo sempre più centralizzato di algoritmi e dati personali, si sofferma anch’egli, dopo Massimo De Angelis, sui rischi di ascesa di nuove forme totalitarie di dominio da parte di ristrette élite dirigenti, poco avvezze a fare i conti con la democrazia e con la tutela del resto della società – e in particolare dei ceti medi e delle vecchie classi subalterne – che, sino alla fine del Secolo Breve, avevano beneficiato nelle democrazie occidentali di sempre più attrezzati sistemi di protezione. Completa il focus un contributo di Giacomo Mazzone sull’iniziativa di Antonio Guterres per rilanciare il contributo delle Nazioni Unite all’Internet governance.

La terza parte di questo primo numero di Democrazia Futura, sollecitando le corde su cui si è costruita Infocivica, vuole essere uno spazio “A più voci” di analisi  di proposte da parte di esperti e operatori membri o vicini alla nostra associazione su una vasta gamma di temi e nodi, ovvero una sorta di “Rassegna di varia umanità”, parafrasando il sottotitolo di Belfagor, il bimestrale di Carlo Ferdinando Russo a cui ci piace ispirarci. Iniziamo con La Rai 45 anni dopo la Riforma, un confronto interno, introdotto da Bruno Somalvico, su quello che dovrebbe essere il futuro del servizio pubblico a quasi mezzo secolo dalla Legge n. 103 dell’aprile 1975. Piero De Chiara, Giacomo Mazzone, Marco Mele e Andrea Melodia risponderanno a sette domande del segretario di Infocivica.

Con un lungo articolo di un affermato scrittore e critico letterario, Fabrizio Ottaviani, che rievoca una riflessione di 65 anni fa di Guido Piovene – in occasione di un evento promosso dalla Fondazione Cini – dedicata al processo intentato dall’Islam alla cultura occidentale, e con un mini saggio storico di un esperto belga dell’industria audiovisiva, André Lange, dedicato alle origini dell’introduzione del sintagma mass media nelle nostre società occidentali, termine novecentesco che fa risalire a dibattiti ottocenteschi se non addirittura dei secoli precedenti, usciamo dai temi di stretta attualità, ma in realtà solo apparentemente. In effetti, entrambe le problematiche affrontate in questi due “Elzeviri”, dopo il crollo delle Torri gemelle, vivono in questi ultimi anni una nuova stagione piena di incognite, irta di pericoli, mentre viene meno il potere dei vecchi strumenti di comunicazione di massa, soprattutto della televisione generalista, con l’esplosione dei social media e delle fake news che ne minano la reputazione. Come tali, questi due “cammei” sono una sorta di rimedi farmacologici e di veri e propri toccasana contro il pensiero liquido diluito e sommerso nel presentismo dominante.

Questa terza parte si conclude con una sezione dedicata a “Immaginario, fiction e territori”, in cui, dalla loro Puglia natia, la sceneggiatrice e regista di Rai Teche Silvana Palumbieri esaminerà come è cambiata l’immagine della donna nella fiction poliziesca italiana dal 1965 ai giorni nostri, mentre il poeta e ideatore di format Paolo Luigi De Cesare traccerà un primo bilancio delle Film Commission a vent’anni dalla loro nascita, che, insieme a Rai Cinema, costituiscono un importante polmone finanziario per l’industria dell’immaginario di questo paese.

Non mancano infine, nella quarta e ultima parte, le prime “Rubriche” a cui vorremmo dare vita, noi nostalgici di quelle che un tempo si chiamavano le Terze pagine nei quotidiani e per l’appunto le Rassegne di varia umanità o ancora le “stroncature” nelle riviste filosofiche, o in quelle letterarie, ma non solo. Non pezzi sciolti in qualche modo dispersi e atomizzati nella liquidità della scrittura elettronica convenzionale ovvero soggetti alle regole e ai tag un po’ dittatoriali e omologanti imposti da tanta, troppa editoria elettronica, ma vero tessuto connettivo fra i vari numeri della rivista.

Iniziamo con uno stralcio da Glocal a confronto. Piero Bassetti riflette sulla pandemia, il libro-intervista – pubblicato da uno fra i più attenti editori italiani a queste problematiche, Luca Sossella, che ringraziamo per la gentile concessione – curato da Stefano Rolando al grande teorico del glocalismo in Italia e del superamento degli Stati nazionali. Per questo, in onore di Piero Bassetti, l’abbiamo battezzata Glocal: perché così intendiamo la geopolitica, vedendo sempre quali siano i riflessi delle grandi decisioni prese su scala globale, sulla vita e sui comportamenti delle singole comunità viventi dei cittadini.

Proseguiamo con Album di Famiglia per farci ricordare che non siamo nativi digitali ed affondiamo le nostre radici in un passato ben preciso quello del Novecento. Licia Conte ci propone un breve ma graffiante ritratto di Rossana Rossanda alle prese con il medium radiofonico in occasione di un programma cult dedicato alle donne e al movimento femminista da lei realizzato negli anni Settanta sotto la sapiente guida di Enzo Forcella, prima di scrivere nella nostra terza rubrica Stanza aperta – che si richiama alla novecentesca Stanza di Indro Montanelli sul Corriere della Sera, una simpatica lettera al nostro Direttore in cui ci spiega di voler essere come giornalista dentro la cultura di questo popolo”, ovvero degli italiani, ma di non essere “tanto sicura di voler essere un’apota”, in quanto le donne difficilmente riescono a non “abbeverarsi” in una congregazione fatta quasi esclusivamente di soli “apoti uomini”. Gli risponde Giampiero Gramaglia, ricordandole come “non è questione di volere o meno essere dentro la cultura del nostro tempo e del nostro Mondo: non c’è alternativa ad esserlo, non è una scelta, è un dato. Il che non vuol dire farla propria, accettarla o, peggio, subirla; può, credo debba volere dire agire per cambiarla”

Con “Quarta di copertina”, rubrica che traduce e presenta a vent’anni dalla sua uscita in Francia un saggio fondamentale del pensiero contemporaneo, Bruno Somalvico inizia ad esplorare uno degli obiettivi che ci proponiamo con la nuova testata. Quello di operare la riscoperta o comunque la rilettura di testi e di opere ormai datati – nella fattispecie l’Effacement de l’Avenir di Pierre-André Taguieff, risalente al 2000 e mai tradotto in italiano a differenza di saggi più recenti dello studioso francese. A parere di Somalvico quello che potremmo tradurre come La Cancellazione dell’avvenire, costituisce una fonte preziosa, una sorta di manifesto teorico, contro il presentismo, e, come tale, un’utile bussola e finanche un vademecum sul terreno in cui Democrazia Futura si deve misurare e si vuole posizionare. Segue infine una quinta e ultima rubrica,“Memorie nostre”, in cui ricordiamo una delle colonne di Infocivica, il vicepresidente Gianni Bellisario, che ci ha lasciato pochi giorni dopo Ferragosto.

Completa il volume in appendice, Glossario, contenente “La parola chiave” per capire questo numero: quella che consideriamo una “chicca” lessicologica, chiamiamola così. Non potevamo che iniziare con la voce “Piattaforma” affidata anche in questo caso a Giuseppe Richeri, professore emerito all’Università della Svizzera Italiana, uno strumento – come chiarisce il curatore presentando il progetto – di una ideale Enciclopedia della Società dell’informazione e della conoscenza che vorremmo costruire a puntate in ogni numero della rivista.

Il lettore troverà infine una seconda appendice contenente le Biografie degli autori che hanno accettato tutti di collaborare a titolo amichevole a questo numero zero di Democrazia futura

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