la storia

Scuola. A Google anche i dati degli alunni dai 3 anni in poi

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In molte scuole italiane le riunioni da remoto insegnanti-genitori avvengono sulla piattaforma Meet di Google. Così l'istituto scolastico apre un'email per ogni alunno, dai 3 anni in poi, con Google. I rischi privacy e le domande al ministero dell'Istruzione.

Oggi pomeriggio parteciperò al primo incontro genitori-insegnanti del nuovo anno scolastico. Sarà da remoto e sarà su Meet, la piattaforma per le videocall di Google.

Meet è gratuito per tutti, ma si accede solo con un account Google. Così l’istituto scolastico ha creato un’email per ogni alunno con il dominio edu.it, ossia è di proprietà di Google. Infatti, ai genitori la comunicazione dell’email “istituzionale” del figlio/a non è arrivata dalla segreteria della scuola, ma direttamente da Google, in particolare da The Google Workspace Team.

Per partecipare alla riunione genitori-insegnanti occorre attivare l’account Google del proprio figlio, ricevere l’invito dalla docente e poi videocall. 

Alcune considerazioni e domande per il ministero dell’Istruzione

  • I genitori quando hanno autorizzato la scuola a creare un’email ai propri figli con Google Suite?
  • Certo, si potrebbe non attivare l’account, ma poi non si ha la possibilità di partecipare alle riunioni con gli insegnanti. 
  • Google in questo modo raccoglie le informazioni relative a tutti i device usati dai genitori, la posizione, l’indiritto IP, ecc.. Ecco la lista completa dei dati che vanno a finire a Big G.
  • Google ha in mano anche i dati delle scuole italiane che utilizzano G Suite e dei relativi studenti, ossia dei nostri figli, anche di quelli dai 3 anni in poi: nome, cognome e scuola. Come utilizza e protegge questi dati?
  • Google dichiara che “i contenuti o dati degli insegnanti, degli studenti o delle scuole al di fuori di Classroom non vengono mai utilizzati a scopi pubblicitari”. Ma “possono essere ceduti se ce lo richiede la legge”, si afferma candidamente in questo video ufficiale di Google for education.
  • Il ministero dell’Istruzione, dal marzo in poi cosa ha fatto per creare piattaforme open source e made in Italy alternative a quelle di Google, Microsoft? La richiesta viene direttamente dal Garante privacy.
  • L’8 luglio scorso il Garante privacy, nel corso dell’audizione sulla didattica a distanza davanti alla Commissione bicamerale per l’Infanzia e l’adolescenza, ha ribadito alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina che è meglio preferire il registro elettronico alle piattaforme americane e cinese. Ecco le parole del Garante: “Con specifico riferimento ai minori, abbiamo posto all’attenzione del ministro dell’Istruzione l’esigenza di una svolta nel ricorso alle piattaforme in generale. Dicendo che intanto forse è più prudente utilizzare il registro elettronico, che pure non è privo di problemi: fra il registro elettronico e la piattaforma di una multinazionale di cui non si sa nulla è meglio nel presente dare indicazioni perché le scuole ricorrano tutte le volte che è possibile al primo”.
  • “Italia si doti di piattaforma pubblica gestione dati. Non possiamo continuare ad appoggiarci a strutture cinesi o americane”
    “Ora il tema vero e più importante”, ha spiegato Soro, “è quello di una piattaforma pubblica italiana che si faccia carico di mettere insieme risorse e competenze: per dati delicatissimi come quelli dei minori, ma anche per dati come quelli della salute o del fisco l’esfiltrazione rappresenta una facile rapina. Ed è bene che l’Italia si doti di una sua infrastruttura, auspicabilmente nell’ambito di una cooperazione anche europea, ma in ogni caso non possiamo vivere appoggiandoci alle piattaforme cinesi o americane di cui non sappiamo assolutamente niente. Il cui livello di protezione dei dati è affidato al buon cuore. Ecco perché da tempo stiamo ponendo il problema della realizzazione di una piattaforma pubblica italiana che metta insieme risorse e competenze”, ha concluso l’ex Garante per la Privacy, Antonello Soro. 
  • In questo contesto “i presidi, docenti e studenti sono lasciati dal ministero dell’Istruzione alla mercé di multinazionali gigantesche e occhiute, con le quali chi è povero, debole e solo difficilmente potrà concludere accordi che non siano capestri”, ha osservato su Key4biz la prof.ssa Maria Chiara Pievatolo
  • L’onere della scelta della piattaforma è lasciato alla singola istituzione scolastica senza tenere in considerazione il Privacy Shield invalidato.
  • Una singola scuola italiana o un singolo genitore è in grado di controllare le condizioni di privacy di Google e di Microsoft?
  • Qui abbiamo mostrato come per Microsoft anche questa emergenza può essere l’occasione per fare incetta di dati di studenti e docenti.
  • Il ministero dell’Istruzione indica sul proprio sito solo 3 piattaforme per la didattica a distanza: Google Suite for education, Office 365 Education A1 di Microsoft e Weschool di TIM. Non solo non si raccomanda, ma si evita anche di menzionare il software libero.
  • Allora, per la didattica digitale, perché non si crea una piattaforma nazionale basata su software libero? Si può iniziare oggi per renderla disponibile appena possibile. L’uso di software libero, il cui sorgente è esposto a mille occhi, potrebbe assicurare un qualche controllo collettivo sul funzionamento delle piattaforme teledidattiche e sulla privacy e sicurezza dei dati.
  • Ma su quest’aspetto manca nel ministero e nel Governo la volontà politica di togliere i dati delle scuole, degli insegnanti e degli alunni a Google e Microsoft.
  • Ecco la mappa delle scuole nelle mani di Google e Microsoft: Cliccando sugli istituti scolastici si legge la tipologia di supporto che offrono per la didattica a distanza: la maggioranza usa Google Suite.

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