Net neutrality: cambiare internet senza snaturarlo

di di Quirino Brindisi (Management Consultant) |

Un confronto tra l'approccio Usa e quello europeo sul tema della neutralità della Rete.

Unione Europea


Quirino Brindisi

Mentre negli USA c’è scontro intorno alla decisione di FCC di vietare la discriminazione del traffico internet, l’Europa sulla neutralità prende tempo. La gestione del traffico è centrale per il buon funzionamento e lo sviluppo delle reti e dei servizi online. I modelli economici sono destinati a evolvere ma occorre salvaguardare l’innovazione e i diritti individuali.
La Commissione europea ha rinviato a fine anno la verifica sulla net neutrality, incaricando il BEREC di effettuare nuovi approfondimenti. Se l’indagine segnalerà aspetti critici, Bruxelles darà “ulteriori indicazioni” e se anche successivamente continuassero a persistere problemi “significativi e duraturi, a livello di sistema” minaccia di adottare misure a carico dei fornitori di accesso a internet. Nel frattempo, e cioè per circa un paio d’anni, il commissario Neelie Kroes confida nella concorrenza e nel rafforzamento delle garanzie, su trasparenza delle offerte al pubblico, qualità minima del servizio e tempi per il cambio di operatore, contenuto nelle nuove direttive di settore che saranno recepite entro il 25 maggio prossimo. La Comunicazione sulla net neutrality pubblicata lo scorso 19 aprile non anticipa conclusioni, allo stato forse premature, ma segna un punto a favore degli operatori di rete nel confronto con i fornitori di servizi e contenuti online. Il documento avrà inoltre l’effetto di frenare l’azione delle autorità che hanno iniziato già a occuparsi del tema in base alla direttiva 2009/140/CE, che stabilisce il diritto generale dei cittadini europei a utilizzare e distribuire liberamente i servizi online e ne affida la tutela ai regolatori nazionali.

Un approccio unitario a livello regionale è senz’altro preferibile al procedere in ordine sparso, col rischio di frammentare artificiosamente mercati per natura globali, ma non riduce la complessità delle decisioni. Lo dimostrano gli Stati Uniti, dove la Federal Communications Commission (FCC) ha pubblicato lo scorso dicembre un ordine, approvato per un solo voto di scarto e dopo 5 anni di dibattito, che non è ancora entrato in vigore. La decisione è finita infatti al centro di un aspro scontro politico tra l’amministrazione Obama, sostenuta dai grandi fornitori di servizi online e dalle associazioni per la difesa dei diritti individuali, e il partito repubblicano, schierato dalla parte degli operatori di rete. Il fronte avverso contesta la legittimità della decisione di FCC con risoluzioni parlamentari “di disapprovazione” e ricorsi legali che finora non hanno avuto esito definitivo ma hanno creato una situazione di stallo e rappresentano una minaccia concreta. Tanto che la Casa Bianca sarebbe pronta a esercitare il proprio diritto veto nel caso, peraltro improbabile, venissero approvate leggi espressamente contrarie alla neutralità.
Nonostante le difficoltà che incontra, la decisione di FCC appare in sostanza equilibrata, perché stabilisce alcuni principi generali, adotta un approccio flessibile, che mette in rilievo l’attività di vigilanza, e impone un solo divieto puntuale. Il testo consente agli operatori di rete di differenziare l’offerta al dettaglio e di gestire il traffico in modo “ragionevole”, per prevenire le congestioni e aumentare la sicurezza ma non per danneggiare specifici servizi o utenti, lasciando agli operatori di rete mobile la possibilità di bloccare servizi ‘pesanti’ come il peer-to-peer (ma non il VoIP). FCC pone la condizione d’informare esaurientemente i clienti finali sulle modalità di gestione del traffico e di sottoporre alla propria approvazione gli accordi di interconnessione che assegnano priorità differenziate ai fornitori di servizi. La Commissione europea, pur indicando il blocco e lo strozzamento non dichiarato della velocità di applicazioni come Skype tra i problemi ricorrenti, ha soltanto richiamato gli operatori di rete al rispetto delle norme in materia di comunicazione commerciale e antitrust. Per ora la competizione e la vigilanza dei regolatori nazionali sono considerate sufficienti a scoraggiare tentativi di abuso verso clienti finali e concorrenti.

L’atteggiamento divergente di Commissione e FCC sulla neutralità si giustifica anche per il diverso grado di concentrazione nel mercato dell’accesso a internet. Negli USA, infatti, una serie di grandi fusioni (tra cui Bell SouthAT&T nella telefonia e Comcast – AT&T nel cavo), ha ridotto negli ultimi anni il numero di fornitori d’accesso a larga banda su rete fissa a uno solo per il 50% degli abitanti e a due per un ulteriore 20%. Molto spesso uno è un operatore via cavo e l’altro è un operatore DSL integrato nell’offerta di contenuti televisivi. Entrambi competono con i fornitori di contenuti video, che rappresentano la forza emergente tra i fornitori di servizi online, circostanza che aumenta gli incentivi a porre in atto strategie discriminatorie. La correlazione tra il processo di concentrazione nel settore delle infrastrutture, rilanciato dalla recente offerta di AT&T per rilevare T-Mobile, e l’imposizione di regole a garanzia della neutralità della rete da parte di FCC è confermata dall’obbligo di durata biennale imposto a Bell South (ora At&t) come una delle condizioni per autorizzare l’acquisto di At&t alla fine del 2006.

All’origine della contesa sulla net neutrality non ci sono però solo i timori di FCC, che anzi tra il 2002 e il 2005 ha esentato l’accesso a banda larga dal regime di common carriage abolendo un preciso divieto legale a discriminare il traffico su internet, ma il tentativo degli operatori di rete di evitare l’esclusione dai mercati online. Mentre infatti le valutazioni di Apple, Google e Facebook portano qualcuno a parlare di nuova bolla internet, gli operatori di rete nei mercati maturi fronteggiano una riduzione dei ricavi ma devono continuare a investire per gestire la crescita del traffico causata dagli stessi fornitori di servizi. Restando fuori da mercati in rapida espansione come quello della pubblicità online, gli operatori di rete temono quindi di essere declassati dagli analisti finanziari a dumb pipes, tubi stupidi che trasportano solo dati grezzi. A questa grigia prospettiva reagiscono concentrandosi su mercati specifici, come quello delle applicazioni per i terminali mobili, ma soprattutto cercando d’imporre una revisione generale dei modelli di accesso basati su offerte flat e logica best effort, verso offerte tiered gestite con la logica managed services, tipica delle reti aziendali. A questo scopo è necessario gestire il traffico superando alcune prassi tecniche, imposte dal rispetto di principi e funzionalità dei protocolli TCP/IP, e senza vincoli regolamentari.

Anche i produttori e gli editori di contenuti, minacciati dalla crescente popolarità di fornitori online a costo basso o nullo, partecipano al dibattito sulla neutralità, puntando ad aumentare il controllo su clienti e prodotti. Avendo come loro primo obiettivo il contrasto della pirateria, spingono per assegnare ai fornitori d’accesso internet il compito di sanzionare le violazioni del diritto d’autore. A questo fine gli operatori potrebbero impiegare facilmente tecniche di filtraggio del traffico installate originariamente per ragioni di sicurezza e già utilizzate per gestire il traffico, come la Deep Packet Inspection, che analizzano in profondità il contenuto dei pacchetti IP. Soluzioni di questo tipo, se adottate in modo indiscriminato, sollevano però timori per la tutela della privacy. I dubbi sono aumentati dal fatto che gli stessi apparati possono essere usati anche per registrare i comportamenti dei clienti ed entrare nel mercato della pubblicità ‘comportamentale’, oggi dominio esclusivo dei fornitori di servizi online con il meccanismo dei “cookies“.
Gli operatori di rete attualmente non sono tenuti a divulgare le modalità di filtraggio del traffico che adottano, gli eventuali utilizzi alternativi e il trattamento delle informazioni raccolte. In qualche caso, come per BT nel Regno Unito, è stato scoperto un uso non dichiarato al fine di raccogliere informazioni attraverso un software per l’invio di messaggi pubblicitari individuali. Fortunatamente la necessità di nuove norme a garanzia della privacy online è al centro di molte iniziative di legge sia in Europa, dove è in discussione una nuova direttiva, sia negli USA, con la recente presentazione della proposta di legge bipartisan Kerry – McCain per la riforma dell’attuale approccio basato su codici di condotta dell’industria, che non fornisce tutele adeguate. Su questa materia sono in corso consultazioni tra Europa e Stati Uniti mirate a facilitare la convergenza della normativa, per ridurre l’incertezza delle aziende che investono all’estero ed eliminare le asimmetrie regolamentari di cui spesso si lamentano i grandi operatori telecom europei.
FCC ha chiesto agli operatori di rete di pubblicare informazioni dettagliate sulle prestazioni dei collegamenti e sulle tecniche di gestione del traffico utilizzate, incluse le loro implicazioni sulla privacy. Il regolatore non ha imposto un elenco minimo di voci, lasciando agli operatori una parziale autonomia, e non ha imposto vincoli alla differenziazione delle offerte retail, ivi compresa l’imposizione di limiti di capacità che operatori come AT&T stanno introducendo anche su rete fissa. L’approccio della Comunicazione europea è simile, richiamando la tutela della privacy e la fedeltà della comunicazione commerciale ma alle autorità nazionali è data in più la possibilità d’imporre standard minimi di qualità dell’accesso. Questa misura risponde al rischio di pratiche concertate volte a degradare le prestazioni di base per spingere i clienti verso formule più costose ma sembra di difficile applicazione pratica, per la difficoltà sia di fotografare l’eventuale collusione sia di fissare un livello di qualità in rapporto all’evoluzione della domanda. Si rischierebbe, infatti, o di fissare un livello troppo alto, tale da causare un onere sproporzionato agli operatori, oppure di fissare un livello troppo basso, inadeguato a fruire di alcuni servizi.

Gli operatori di rete sostengono che l’imposizione di un obbligo generale a non discriminare il traffico possa disincentivare i nuovi investimenti, cui gli Over-the-Top dovrebbero contribuire sottoscrivendo contratti con priorità d’instradamento, a prezzi superiori agli attuali, o con il pagamento di un corrispettivo di terminazione per la consegna dei pacchetti IP ai clienti finali. FCC concorda sulla necessità di adeguare la capacità di rete all’aumento del traffico nel lungo periodo, non limitandosi a misure contingenti come l’imposizione di traffic cap – giustificati in particolare su reti con rischi reali di congestione come quelle radiomobili – ma contrasta le ipotesi avanzate dagli operatori di rete, temendo effetti dannosi per l’innovazione. Mentre però non pone un divieto agli accordi “pay for priority”, riservandosi di analizzarli caso per caso, è contraria all’imposizione di una terminazione dati che porterebbe a uno stravolgimento del modello originario di internet verso una logica telefonica che premia le dimensioni più della creatività.

FCC crede nel “circolo virtuoso” tra aumento della capacità di rete e lancio di nuove applicazioni che ha fatto crescere internet fino a oggi. Per questo ritiene essenziale mantenere basse le barriere all’entrata nel mercato dei servizi online, in termini di costo e della possibilità di non sottostare al gradimento degli operatori di rete. Secondo FCC questi ultimi potrebbero, per cultura ed incentivi economici, comportarsi come gatekeepers, guardiani di un’offerta di servizi selezionati in base alla convenienza economica più che alle preferenze dei clienti. Il pericolo che ciò possa realizzarsi dipende dalla possibilità di alternative per i clienti finali, che però continua a diminuire negli USA mentre in Europa la situazione attuale, con 3 – 4 fornitori di accesso internet per Paese, potrebbe cambiare. La dimensione crescente delle reti, d’altra parte, aumenta economie di gestione e potere contrattuale degli operatori verso i fornitori di tecnologia. Non è invece scontata la relazione tra un eventuale aumento dei ricavi da infrastrutture già ammortizzate, come le reti in rame, e lo stimolo a effettuare investimenti in reti di nuova generazione, via radio o in fibra. Non a caso per queste ultime si pensa, un po’ ovunque, a interventi a carico della fiscalità generale.
La richiesta dei fornitori d’accesso di essere remunerati in proporzione all’utilizzo delle reti è di buon senso, anche se gli Over-the-Top investono sempre più spesso in soluzioni tecniche per minimizzare l’utilizzo delle risorse di rete, come le content delivery network. Occorre evitare però il rischio che i rimedi adottati snaturino una delle caratteristiche di internet che risiede nell’essere una piattaforma aperta. Se è ragionevole affermare, ad esempio, che la prassi della terminazione zero tenda a sussidiare i clienti finali e i fornitori di servizi nei confronti degli operatori di rete, si devono valutare anche i costi evitati di un regime di stampo telefonico e i benefici per lo sviluppo dei servizi online. Una terminazione non nulla comporterebbe la trasformazione dei servizi online gratuiti in servizi a pagamento e non metterebbe fine alla contesa tra i soggetti in campo, che si trasferirebbe sul problema della determinare il costo del ‘pedaggio’ per via regolamentare, visto il monopolio di fatto dei fornitori di accesso sui clienti finali.
L’autore dell’espressione net neutrality, il giurista americano Tim Wu, giustifica la permanenza del sistema attuale proponendo di interpretare la terminazione zero come un incentivo all’innovazione in modo analogo a quanto avviene per i brevetti o il diritto d’autore. L’analisi economica mette in evidenza che molti mercati a più versanti si reggono su meccanismi di sussidio da un versante in cui c’è potere di mercato verso altri che sono invece caratterizzati da una forte competizione. Sistemi di pagamento, free press e TV in chiaro sono esempi di questo tipo, in cui i clienti finali non versano un corrispettivo in denaro per la fruizione dei servizi ma pagano in modo diretto. Questo quadro confermerebbe, peraltro, la fondatezza delle proteste di editori e operatori contro il potere di mercato di alcune piattaforme, come AdSense di Google nella pubblicità e AppStore nelle applicazioni per terminali mobili.

Alla luce del ricco quadro di interdipendenze tra settori fino a pochi anni fa tra loro separati e in rapidissima evoluzione, non stupisce che sulla net neutrality si fatichi a trovare un punto di equilibrio. L’opportunità di un intervento regolamentare esiste perché c’è un’esigenza di allineare gli incentivi divergenti dei numerosi attori in campo. L’intervento dovrebbe tener conto di tutti gli aspetti rilevanti legati alla gestione del traffico in rete, puntando a sviluppare la capacità di scelta dei consumatori e a proteggere l’apertura di internet, aumentando, e non diminuendo, la tutela dei diritti individuali. Le decisioni inoltre dovrebbe essere condivise tra Stati Uniti e Europa, per prevenire arbitraggi regolamentari. Sul tema della privacy, come accennato, ci si sta muovendo in questa direzione e quindi è lecito sperare che un approccio più adatto a garantire un futuro di successo a internet prevalga anche sul tema della neutralità.

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