Italia
Da mesi non si discute di altro che di PIL, broadband, impatto dell’ICT sull’economia nazionale.
Oggetto del contendere sono le NGN, le reti di nuova generazione.
È senza dubbio l’argomento del momento, perché riguarda investimenti significativi e perché persistono nodi di difficile soluzione che ne impediscono il decollo, al punto che da qualche tempo poi si sta facendo strada l’idea che il cul de sac nel quale ci si è rinchiusi potrebbe far comodo a tutti i contendenti, grazie ad una politica dell’interdizione reciproca e di deterrenza, in attesa di tempi migliori.
Tuttavia, se le opinioni divergono su tempi e modi, su almeno due punti sembra non vi siano dubbi.
Se sul primo punto è difficile fare obiezioni, più di un equivoco ha accompagnato il secondo, distorcendo la percezione del problema. E vediamo perché.
Più PIL per tutti?
Il primo punto è che le NGN portano all’aumento del PIL.
È, ovviamente, un fatto indubbio. Eppure, su questa storia del PIL si è detto di tutto e di più.
Si è citata la Banca Mondiale, secondo le cui previsioni a ogni 10% di aumento delle connessioni in banda larga corrisponderà un aumento del PIL dell’1,21% nei Paesi ad alto reddito e dell’1,38 in quelli a reddito medio basso. Il Sole24Ore ha poi aggiunto di suo che il calcolo si riferisce alla banda larga mobile.
Analoghe considerazioni quelle del Ceo di Ericsson Hans Vestberg, secondo cui il PIL crescerebbe dell’1% per ogni 10% di penetrazione in più di banda larga.
Ma per McKinsey & Co. un 10% d’incremento del broadband determina una crescita del PIL che varia dallo 0,1% all’1,4%.
Parallelamente per Booz & Co. l’aumento del 10% di penetrazione broadband porta una crescita di produttività dell’1,5% nei 5 anni successivi.
In Italia di questa storia del PIL qualcuno ha fatto il proprio cavallo di battaglia campandoci discretamente per mesi.
Ma serve? Voglio essere più chiaro.
A che serve dire che il broadband crea ricchezza, quando queste affermazioni sono ormai condivise ovunque come un paradigma indiscutibile?
La Ue non fa che ripetere quanto investimenti e sviluppo dell’ICT e della banda larga siano l’arma vincente per il rilancio della competitività del nostro continente e per questo ha lanciato la Digital Agenda (non quella italiana, promossa a fine gennaio da 100 firmatari, che appare superficiale e controproducente).
Secondo gli obiettivi della Commissione UE e della Commissaria Neelie Kroes, l’Europa dovrà avere per il 2013 il 100% di copertura internet e per il 2020 il 100% di copertura a 30 Mbps e il 50% almeno di copertura a 100 Mbps.
Continuare a dire che le NGN contribuiscono a creare benessere e crescita dell’economia equivale allo stadio iniziale dell’evangelizzazione e ci riporta indietro di anni.
Quindi diamo per certo il generale assenso sugli effetti benefici, il problema che si pone riguarda il perché allora non si procede. Se le reti NGN non si fanno, questo non dipende dallo scarso convincimento dei decisori.
Il problema italiano (ma il fenomeno è identico anche all’estero) riguarda infatti i nodi che impediscono la realizzazione del progetto.
Sono nodi di difficile soluzione e riguardano i quattro temi fondamentali: tecnologie, governance, modello di business, aspetti regolatori sulla distribuzione geografica (ma su questo torneremo nei prossimi giorni).
Vedremo come andrà a finire, ma per favore, smettiamola con questa storia del PIL. Siamo tutti già convinti.
La banda è mobile…qual piuma al vento.
Il secondo punto è che le reti di nuova generazione vengono sempre assimilate alla fibra ottica.
Niente di più errato.
Pensiamo ai 100 e più Mbps e riteniamo che la fibra debba arrivare sino al salotto di casa (salvo le barricate degli amministratori di condominio, che si sono messi di traverso e alla cui lobby nessuno degli operatori aveva pensato).
Ma la fibra costa tanto e nessun cittadino europeo è disposto a pagare un centesimo in più per la fibra in sostituzione del rame.
Poi balzano all’occhio altre considerazioni.
In Italia abbiamo il problema dei centri storici e quello ancor più pesante delle caratteristiche orografiche del territorio che non hanno eguali in Europa.
Insomma borghi storici e montagne si frappongono alle connessioni e lasciano impantanato il digital divide.
Chi porterà mai la fibra al paesino in cima a una montagna? Nessuno.
L’unica soluzione sarà il wireless.
Proprio martedì scorso al Senato della Repubblica si è festeggiato il progetto dei 1000 Comuni in rete di Vodafone, che sta coprendo in Italia un Comune al giorno tra quelli che certamente sarebbero tagliati fuori da qualunque architettura nazionale in fibra ottica.
Poi c’è la banda larga satellitare, che è vero non potrà garantire l’accesso alla banda ultra larga, ma potrà assicurare una banda larga adeguata: dai 6-10 Mbps dei contratti standard a soluzioni personalizzate che vanno anche oltre i 50 Mbps.
In molti Paesi europei e non, Eutelsat cura sistemi ibridi di banda larga servendo connessioni satellitari che puntano al campanile del villaggio dotato di parabola, dove un ripetitore ritrasmette in Wi-Fi alla comunità locale (il loro sistema enhanced verrà peraltro presentato a Roma il prossimo 31 maggio).
E’ il caso di ricordare che tutta la nostra vita risponde sempre più a modalità organizzative concepite in chiave mobile e nomadica in quasi tutte le attività quotidiane.
Entro il 2016 si prevedono nel mondo quasi 5 miliardi di sottoscrizioni alla banda larga mobile 100 anni per 1 miliardo di connessioni fisse e solo 20 per 5 miliardi di connessioni mobili).
Entro il 2020 si prevedono in tutto il mondo oltre 50 miliardi di dispositivi connessi (grazie all’Internet delle Cose). Solo in Italia se ne prevedono 1,2 miliardi, rispetto agli attuali 250 milioni. Intanto, questo è l’anno dell’LTE, il servizio mobile di telefonia 4G. E a questo proposito affiorano due verità: che l’uso dell’LTE presuppone un backbone in fibra ottica e che la fibra non può che proseguire sino all’utente offrendo anche la soluzione parallela del wireless a banda ultralarga.
E va ricordato che lo stesso Wi-Fi con standard 802.11n dell’IEEE ha una ampiezza nominale di 300 Mbps (anche se poi si riducono a 180-200 Mbps) e che tale modalità consentono applicazioni locali intelligenti in modalità wireless nell’ambito dell’internet delle cose, su cui il nostro Paese vanta competenze di livello internazionale (si pensi a piccole strutture d’impresa come Wi-Next, di cui abbiamo parlato su queste pagine e che sono capaci di anticipare le soluzioni dei grandi colossi multinazionali).
Per quest’insieme di ragioni, siamo portati a condividere convintamente l’opinione di coloro che prefigurano per le NGN soluzioni ibride, in base alle quali i servizi di banda larga e ultra larga saranno offerti da un mix di modalità distributive e diffusive fatto di fibra ottica, rete mobile, Wi-Fi, satellite.
…Intanto Sky Italia produce crescita economica per il Paese
E dato che la convergenza non è solo telecomunicazioni, vorrei chiudere con la TV, non per parlare dei suoi contenuti, ma per richiamare quel concetto iniziale di PIL, di contribuzione alla crescita economica del Paese, cui la comunicazione elettronica e l’ICT danno luogo.
In un contesto televisivo in mutamento, con i grandi broadcaster, comunemente indicati sino a oggi come i nemici giurati del broadband, impegnati ad adeguare i loro modelli di business, emerge il caso di Sky Italia.
E così, a fronte di Rai e Mediaset sprofondate nella marmellata di palinsesti deludenti, con flessione delle entrate pubblicitarie per ambedue e per la Rai con un incremento vertiginoso del fenomeno dell’evasione (che qualche nesso con la qualità di servizio deve pur averlo), e de La7 (che si caratterizza per un prime-time più intelligente e, quantomeno, lancia interessanti modalità di nuova televisione cross-mediale), Sky Italia assesta i suoi numeri.
A rilevarli è un’interessante e recente ricerca condotta sull’argomento dall’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli.
Secondo la ricerca, in poco più di sette anni Sky Italia è stata la principale novità nel mondo dei media italiani e ha rappresentato una case history di grande successo per il contributo che ha dato alla crescita del sistema economico italiano, attraverso lo sviluppo capillare di partnership con aziende nazionali, il significativo incremento dell’occupazione e la creazione di nuove professionalità.
Sky Italia ha investito in programmi e tecnologia oltre 7,7 miliardi di euro.
Ha generato ricchezza nell’economia italiana per oltre 15,9 miliardi di euro pari, nell’ultimo anno, allo 0,21% del Pil.
La storia del successo di Sky Italia dimostra, in sostanza, come gli investimenti esteri portino ricchezza aggiuntiva nel paese, know how e nuove tecnologie, a tutto vantaggio della crescita del sistema-paese.
Un altro aspetto rilevante è quello occupazionale.
Sky Italia dà lavoro a oltre 7.600 persone tra dipendenti e collaboratori, con un indotto di 15.000 lavoratori. Tra i dipendenti, la percentuale di uomini e donne è equamente ripartita e l’età media è di 35 anni, con oltre il 50% che si colloca al di sotto di quell’età. Sky risulta, quindi, essere una delle aziende italiane che impiega maggiormente i giovani, in un paese come il nostro che ha una disoccupazione giovanile è pari al 29%.
È inoltre, occorre sottolinearlo, uno dei pochi editori italiani che in questi anni ha assunto giornalisti (dal 2003 ne sono stati assunti 217, per un totale di 304) e grazie al lancio di nuovi servizi e nuove tecnologie ha formato, e sta formando, nuove professionalità con competenze interamente proiettate nel digitale.
Infine, si deve riconoscere a Sky Italia di aver anticipato le tendenze, di aver portato al telespettatore quella libertà di scelta che non aveva, assieme all’introduzione di servizi molto innovativi come l’alta definizione, il PVR, la Tv on demand, 3D, assieme a un generale spirito di innovazione nella politica editoriale, nell’attività produttiva e nell’organizzazione di una rete commerciale e di assistenza evoluta e all’avanguardia, che è diventata un vero modello di business (non a caso proprio sugli installatori si terrà a giugno a Vicenza l’expo AllDigital).
Tutto ciò in un contesto di forzato isolamento (ricordate negli anni scorsi le campagne in Italia sulla Tv digitale terrestre, ignorando quanto fosse già digitale la tv satellitare) e di ostracismo nelle politiche governative (conflitto d’interessi docet).
Insomma una storia che indica che si può osare e che può insegnare qualcosa alla lunga marcia delle NGN in Italia su cui sono attese nei prossimi giorni chiarificazioni in un senso o nell’altro: strade percorribili per una scelta condivisa tra i player d’impresa e istituzionali o vittoria definitiva delle strategie di deterrenza messe in atto, con modalità differenziate, da tutti i contendenti.