La politica di concorrenza consiste nel far rispettare delle regole per assicurare che le imprese si comportino lealmente. Così facendo, è spiegato in un documento base della Commissione europea, si incoraggia lo spirito imprenditoriale e l’efficienza, si aumentano le possibilità di scelta dei consumatori e si contribuisce ad abbassare i prezzi e a migliorare la qualità.
Questa è la teoria, la pratica a conti fatti è tutt’altra cosa. Oggi le corporation dominano sempre di più i mercati globali, creando oligopoli, superando ogni tipo di resistenza da parte della concorrenza, anche con sistemi illeciti e comportamenti scorretti.
GAFAM mangia concorrenza
Prendendo in considerazione il settore tecnologico, Google (Gruppo Alphabet), Amazon, Facebook, Apple, Microsoft, anche conosciuti tutti assieme con l’acronimo GAFAM, oggi rappresentano il 25% circa del valore dell’indice di borsa Standard & Poor 500, o S&P 500.
Il peso attribuito a ciascuna azienda è direttamente proporzionale al valore di mercato.
In questi giorni il Congresso americano ha voluto vederci chiaro su questa faccenda: in che modo queste corporation hanno creato posizioni dominanti sui mercati globalii? Con quali strumenti? Che effetto ha tutto questo sulla libera concorrenza?
Secondo un articolo del Finantial Times, dal 1995 ad oggi, Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft hanno speso più di 200 miliardi di dollari per acquisire aziende più piccole. Sostanzialmente, ogni volta che emergeva un concorrente questo veniva acquisito per assicurarsi il dominio del settore.
Trentadue deal sono stati superiori al miliardo di dollari di valore.
In un’email del 2012, il fondatore e Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, ha riconosciuto di aver pianificato l’acquisizione di Instagram al solo scopo di “neutralizzarla“.
Il Congresso vuole vederci chiaro
La sottocommissione per l’Antitrust, guidata da David Cicilline, ha come obiettivo proprio la valutazione dell’impatto dei GAFAM sul mercato americano e globale in termini di limitazione della libera concorrenza.
Le cinque Big Tech assieme valgono più di 5.000 miliardi di dollari e i capi di imputazione a loro carico sono contenuti in un documento di oltre un milione di pagine.
La tesi accusatoria della sottocommissione è che queste multinazionali controllano ormai diversi mercati strategici, dai dati alle tecnologie emergenti, dal commercio elettronico ai sistemi di pagamenti online/digitali, abusando di un potere che sta crescendo anno dopo anno.
Un potere troppo grande che si sta trasformando in minaccia non solo per la libera concorrenza, ma anche per la sicurezza delle persone e delle nazioni, per l’economia reale e per la democrazia.
“Troppo grandi per fallire e anche per essere ritenute responsabili del loro operato? Possibile solo con un Antitrust debole“, scrive su Twitter la senatrice Elizabeth Warren, “è ora di far vedere a tutti quali pratiche manipolative e anticoncorrenziali hanno utilizzato“.
Il fatto è che un numero crescente di parlamentari a Washington ormai non si fida più della Silicon Valley e delle sue superpotenze. L’idea di base è che troppo al lungo i GAFAM sono stati completamente liberi di agire, seguendo il solo principio del “profitto per il profitto“, e ora qualcuno chiede delle nuove regole per continuare a giocare.