Cinema digitale: lo stato dell’arte del settore nella Ue e negli Usa

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Nei Paesi Bassi convergono aiuti pubblici e privati, Regno Unito e Stati Uniti convinti sostenitori della 'linea VPF'.

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Cinema digitale

Come il piccolo schermo del salotto di casa, anche il grande schermo sta passando capillarmente al digitale. Sebbene i costi di “migrazione” non siano inferiori ai vantaggi. Per ottenere una qualità migliore nel tempo, una migliore immagine e un migliore audio,  servono risorse importanti, per istallazione, oneri finanziari e garanzie. È stato calcolato che entro il prossimo anno, oltre 18.000 schermi, vale a dire circa il 50% di tutti gli schermi europei, saranno digitali.

Per incoraggiare i cinema a installare apparecchiature digitali, le major cinematografiche di Hollywood hanno importato in Europa il modello commerciale utilizzato negli Stati Uniti. Il modello cosiddetto virtual print free (VPF) prevede che sia i distributori cinematografici (ivi comprese le principali compagnie cinematografiche di Hollywood) sia i cinema contribuiscano ai costi d’investimento.

 

Come abbiamo già scritto su Key4biz, il meccanismo di funzionamento del modello VPF comporta che tipicamente l’ “integratore” ottenga il finanziamento, versi in anticipo il costo delle apparecchiature e le installi nei cinema. I distributori cinematografici pagano l’integratore nel corso del tempo: per ogni film digitale proiettato nel cinema il distributore versa un VPF, fino alla copertura della spesa sostenuta. I pagamenti VPF coprono la maggior parte dei costi, mentre la quota restante è sostenuta dai gestori dei cinema, che effettuano un pagamento anticipato all’integratore.

 

Cosa sta succedendo in Europa e negli stati Uniti?

Nei Paesi Bassi è stata avviata l’iniziativa Cinema Digitaal per consentire la migrazione digitale a tutti gli schermi della nazione, sulla base di un mix di risorse: fondi propri degli esercenti, VPF e finanziamento pubblico. L’ha presentata al corso DigiTraining Plus Ron Sterk, Direttore di NVB, l’organizzazione che rappresenta gli esercenti olandesi.

 

E nella terra di Albione? Nello stesso spirito di Cinema Digital, ma con condizioni di partenza e modalità di funzionamento diverse, si colloca la Digital Funding Partnership, promossa da CEA, l’associazione degli esercenti inglesi. Sebbene il Regno Unito sia infatti stato un pioniere della digitalizzazione grazie all’intervento pubblico e diversi grandi gruppi abbiano di recente scelto un loro cammino verso le nuove tecnologie – fattori che hanno portato i proiettori digitali a quota 1.408 – sono ancora molti gli esercenti indipendenti che non hanno partecipato alla transizione.

DFP è stata creata per rispondere alle loro esigenze e gestire collettivamente la svolta tecnologica. Questo significa negoziare il VPF per tutti i soci (400 schermi in 130 cinema, commerciali e d’essai, appartenenti a circa 100 esercenti diversi) e ridurre i rischi che potrebbero minacciare le sale che non raggiungessero la quota minima di uscite di nuovi film prevista per accedere al finanziamento (circa 16 l’anno).

L’obiettivo di DPF è che circa il 75%- 80% dei costi della digitalizzazione sia coperto dal VPF, con la restante parte a carico degli esercenti. Il sistema britannico – a differenza di quello olandese – non si avvale infatti di nessuna risorsa pubblica. “Quello che abbiamo fatto nel Regno Unito può essere un punto di riferimento anche per altri paesi. Il VPF non è un sistema perfetto, ma sicuramente il migliore tra quelli possibili“. Questo è il commento di Steve Perrin, che dirige la Digital Funding Partnership per conto della CEA.

 

Che la migrazione al digitale sia non più una possibilità, ma una realtà irreversibile è emerso anche dall’intervento di John Fithian, Presidente di Nato, l’associazione che riunisce gli esercenti statunitensi. “La possibilità di beneficiare del VPF non durerà per sempre: consiglio quindi di non rimandare la decisione“.

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