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Si è svolto a Roma, il 6 luglio alla Casa del Cinema di Villa Borghese, l’happening dedicato al confronto tra vecchia televisione e nuova televisione in un contesto tecnologico in fermento e in cui sempre più si parla di internet e convergenza tecnologica. Un evento, promosso dal Corecom Lazio in collaborazione con Key4biz, aperto al pubblico per parlare del “Futuro della TV: vecchia TV vs. nuova TV“, un incontro di community, a cui hanno partecipato rappresentanti del mondo del mercato, delle università, dell’industria culturale, delle istituzioni, della creatività, del marketing, della pubblicità, nato per sapere qualcosa di più sul futuro della televisione tradizionale e per riflettere su quali possono essere le linee guida per lo sviluppo di un nuovo modo di fare comunicazione, informazione e intrattenimento mediatico.
Come ha spiegato Francesco Soro, presidente Corecom Lazio e Coordinamento Nazionale Corecom, “Parlare di televisione non significa discutere solamente di frequenze, come accade in questi giorni, ma di contenuti e convergenza cross-mediale tra piattaforme e device, tra emittenti nazionali e locali, in cui trovano posto anche gli utenti finali, sempre più spesso produttori anch’essi di contenuti“. Un ampio panorama su cui si è confrontato il primo panel, moderato da Raffaele Barberio di Key4biz, che ha avuto come speaker d’apertura Carlo Freccero, direttore di Rai 4: “La televisione del futuro sicuramente sarà un bene comune. Un concetto che si è sviluppato di pari passo con la nascita e la crescita di internet, della rete e della moltiplicazione degli schermi. La tv è sempre più un mezzo ibrido, contaminato da tecnologie tra loro molto diverse ma già interconnesse grazie alla rete. un esempio ce lo ha dato Michele Santoro con ‘Tutti in piedi’, programma andato in web visione e che ha raccolto attorno a sé milioni e milioni di utenti internet, alla pari di altri grandi momenti di intrattenimento proposto dalla televisione generalista“. “Il medium è il messaggio – ha spiegato Freccero – e al mutare del medium muta anche il messaggio. Il pubblico non è più massa passiva, ma corpo di utenti attivo, preparato e con l’esigenza di partecipare e condividere l’esperienza della messa in onda come del consumo del contenuto. Un pubblico che ha elevato la piattaforma di internet e tutto quello che ad essa si connette a ‘bene comune’ da condividere“.
“Il fenomeno della convergenza ha rivoluzionato per sempre il modello di consumo dei media e con essi della televisione – ha detto Alberto Marinelli, professore all’Università di Roma Sapienza – il pubblico è oggi considerato user generated flow, è colui che genera un flusso di contenuti parallelo a quello mainstream, con un diverso modello di consumo basato sullo sharing content attraverso le miriadi di reti sociali e i molteplici device di connessione a internet”. “Le nuove televisioni sono internet enabled – ha spiegato Marinelli – cioè abilitate alla connessione a internet, per la visione in tv, nel magico salotto di casa, di nuovi contenuti che dalla rete passano infine alla visione collettiva familiare“.
Internet in questo caso si propone come driver per la vendita di nuovi apparecchi televisivi che mettono in grado l’utente di connettersi alla rete e vedere nuovi contenuti, anche per chi in famiglia è poco pratico di tecnologie web based. Un nuovo modo, quindi, per guardare la tv, di condividere emozioni e discussioni in tempo reale con gli amici, tramite Facebook magari e Twitter, di confrontare i propri pensieri su quanto si sta vedendo. Da un punto di vista di modelli di business a confronto, ci ha mostrato Gianni Celata, professore all’Università di Roma Sapienza, oltre ai broadcaster, ovverto i produttori di contenuti, si affiancano nuovi soggetti: le tech industries, fornitori di tecnologia, e i broadbander, cioè le telecom. “Oggi – ha illustrato Celata – sono gli OTT, overt the top player, ha raccogliere i frutti della convergenza, mentre le telecom, che comunque rappresentano l’economia più forte, vedono i margini di guadagno diminuire costantemente, anche a causa della riduzione dei flussi di investimenti pubblicitari. Sono i video a trainare la nuova televisione e nel 2014 rappresenteranno il 57% del traffico totale, contro il 40% odierno. Realtà che in definitiva si è venuta a creare anche grazie all’industria tecnologica e all’alto tasso di innovazione registrato in pochissimi anni“.
Rimane la figura del consumatore, non certo marginale, che sembra acquisire col tempo un ruolo sempre più netto e decisivo nello sviluppo dei nuovi media, pronto a premiare l’innovazione e la creatività, la qualità e il coraggio, non più disposto a tollerare le vecchie rendite dei broadcaster. D’altronde, ha affermato Andrea Materia, curatore di Next-tv.it, è proprio il pubblico televisivo che sta migrando verso le nuove piattaforme multicanali, portandosi dietro molte risorse pubblicitarie, che sono in definitiva la linfa vitale della vecchia televisione come della nuova.
Altro tema di rilievo assoluto, questo, che è stato approfondito da Layla Pavone, presidente IAB: “Se guardiamo agli Stati Uniti è ormai il pubblico che decreta il successo o meno dei contenuti televisivi, perché crea contestualmente domanda e fa audience, due fattori strategici per chi spende in pubblicità“. Una super tv, com’è stata definita da alcuni relatori, in cui l’utente spende sempre più tempo ogni giorno a visionare contenuti video e con essi advertising. “Il digitale è l’unica piattaforma che vede aumentare gli investimenti pubblicitari – ha sottolineato Pavone – tutti gli altri, stampa, televisione, radio, cinema, sono in crisi, ciò significa che i media tradizionali devono aprire alle nuove forme di interazione e di convergenza tecnologica che si stanno affermando in questi anni, se vogliono sopravvivere e reinventarsi nel cambiamento“.
Un mezzo di comunicazione, la televisione, che, come tutti gli altri in questo momento storico, deve fare suo il concetto di ‘social’, tema centrale del secondo panel, dedicato alla televisione sociale. Due gli esempi portati al pubblico per altrettanti programmi di successo che hanno tentato di mostrare, ai telespettatori a casa, come la tv possa essere più partecipata e interattiva: ‘Exit’ di Ilaria D’amico su La7 e ‘Agorà’ di Andrea Vianello sulla Rai. Casi di televisione partecipata, come detto, con il pubblico da casa che mandava tweets in real time legati agli argomenti di volta in volta discussi. La redazione di La7 e la D’Amico (oggi in forza a Sky Italia) cercavano di volta in volta di inserire nel vivo della trasmissione i messaggi provenienti da Twitter più interessanti o provocatori, sperimentando per la prima volta un tipo di tv davvero diversa. Stessa cosa con Agorà di Vianello sulla Rai, con l’inserimento nel programma dell’attore internet. Interazione e partecipazione, condivisione e comunicazione orizzontale, sembrano così essere i nuovi target dell’universo mediatico, nuovo e vecchio, che bene Layla Pavone ha mostrato portando alcuni esempi di social tv relativi agli Stati Uniti, tra cui: Miso, Philo, TunerFish. Una social tv che, secondo Lorenzo Mieli, AD di Fremantlemedia: “Nasce dall’interazione tra comunicazione e comunità, due dimensioni che emregono con forza e che saranno alla base di ulteriori sviluppi del medium televisivo e di altre piattaforme di connessione“.
Mieli forse si riferiva proprio a quanto accaduto negli ultimi anni con Facebook e con Google, rispettivamente il più grande social network del mondo e il più utilizzato motore di ricerca sul pianeta. Luca Colombo, country manger di Facebook, non ha avuto mezze misure nel definire internet assolutamente superiore ai media tradizionali, ma senza parlare di fine della televisione come molti altri prima di lui hanno profetizzato: “Noi abbiamo qualcosa come 20 milioni di utenti mensili, di cui 12 milioni giornalieri solo in Italia. Ciò significa che anche la tv deve confrontarsi con noi e deve ibridarsi con la rete. negli USA il 43% degli utenti Facebook guarda la tv sul web e il 17% interagisce con i programmi, intervenendo in real time“. “Internet è una specie di integratore vitaminico per la televisione – ha ribadito Stefano Maruzzi, country manager Google – e la tv deve saper prendere nuova energia da questo incredibile mezzo, cercando una crescente interazione con esso e offrendo partecipazione al pubblico“.
Ecco perché le connected tv, le televisioni connesse alla rete, registrano oggi un boom di vendite e di richieste: “Fattori di abilitazione alle nuove tecnologie per tutte le fasce di popolazione, anche le meno pronte al salto digtitale e del web 2.0 – ha spiegato Antonio Bosio, direttore prodotti Samsung – che necessitano però di contenuti adeguati, adatti all’interazione con le masse e l’audience mista, nuova tv e vecchia tv, finalmente pronte alla convergenza“. Una televisione connessa alla rete che però, ha ribadito Duilio Simonelli, direttore generale Orizzonti IT: “Deve saper rivoluzionare nuovamente il mezzo di comunicazione come ha saputo fare la tv commerciale a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso“. Ancora una volta, quindi, torna centrale il contenuto per il successo della piattaforma televisiva di nuova generazione, ha spiegato Fabrizio Salini, direttore Entertainment & Cinema di Sky: “Un dato che accomuna la vecchia televisione con la nuova e che dimostra che di morto non c’è nessun medium, con la televisione come la conosciamo noi che rimarrà tale per almeno altri venti anni“. Insomma non c’è davvero niente di nuovo? Non proprio. Un esempio di convergenza tv-web ce lo ha portato Claudio Di Biagio, ideatore della web serie di successo ‘Freaks’: “Praticamente la prima web serie a puntate di internet in Italia, programmata su YouTube, autoprodotta e con oltre 5 milioni di visitatori. Una dimostrazione di come il contenuto faccia la differeza“.
Proseguendo con gli interventi del terzo panel, dedicato a ‘New Tv e Digital Content’, Luca Tomassini, AD di Vetrya ha spostato il focus sulle nuove piattaforme di trasmissione di contenuti e in particolare su Primo Italia: “Le IPTV non hanno dato i risultati sperati, mentre gli OTT sono riusciti a raccogliere l’attenzione del pubblico, proponendo interattività e condivisione. Primo Italia ha 150 canali, offre informazione da diverse agenzie stampa, una library cinematografica di base e la tCommerce, ovvero la possibilità di fare shopping utilizzando un mobile phone e chiudendo le transazioni con sistemi di mPayment“. Più orientata alla digitalizzazione dei contenuti è Microsoft che, per voce del suo direttore generale per l’Italia, Pierluigi Dal Pino, ha puntato sul lavoro di reingegnerizzazione delle piattaforme, più che di produzione di contenuti multipiattaforma: “Per noi è strategico al momento pensare allo sviluppo della media room tramite nuove forme di interazione, come ad esempio quelle offerte da Xbox Live e Kinect, a cui a breve aggiungeremo Skype“.
Una grande trasformazione del nostro modo di rapportarci con la vecchia e familiare televisione, avvenuta grazie alla diffusione di nuovi device che in sé offrivano modelli innovativi di consumo dei contenuti, come la console per video giochi, gli smartphone, i netbook, i tablet, i classici Pc e notebooke. “Siamo alla vigilia di un passaggio epocale – ha precisato Luciano Sovena, AD Cinecittà Luce – suggellato dal protocollo d’intesa firmato oggi tra Cinecittà Luce e Corecom, in cui metteremo a disposizione della Regione Lazio la nostra grande library cinematografica, un vero patrimonio nazionale e internazionale, tramite cui far nascere una factory per sviluppare lavoro e creatività“. Un progetto che si allinea perfettamente, ha dichiarato anche Soro: “Con quanto stiamo già facendo con la nostra Next-tv, sito di news quotidiane dedicato a chi dell’audiovisivo vuol fare la sua professione e a tutti coloro che hanno voglia di scommettere con questo mercato e di competere ai massimi livelli“.
La parola è poi passata ai broadcaster nel quinto panel, con l’esposizione delle posizioni dei principali media nazionali e di quelli locali, moderate da Marco Mele de Il Sole 24 Ore. “La Rai in questi anni ha cavalcato la rivoluzione digitale della televisione con l’intenzione di offrire ai suoi abbonati il meglio della sua programmazione, adattandola all’innovazione tecnologica in corso – ha raccontato Giancarlo Leone, vicedirettore generale Rai – prova ne sono gli 11 canali in rete finora proposti. Per fare questo si sono spesi molti soldi in tecnologie e competenze e non è tollerabile che questo grande lavoro venga sfruttato da qualcun altro che di suo non ha investito un soldo in questa rivoluzione“. Un riferimento neanche tanto velato agli OTT, a Google in particolare, che è stato subito ripreso da Gina Nieri, consigliere Mediaset: “Società come Google fanno guadagni enormi utilizzando come contenuti programmi provenienti dalle tv generaliste. Se non si rispetta la legge sul diritto d’autore si fa pirateria, che è quantificabile per i broadcaster in 500 milioni annui“.
Vita facile non vivono neanche le piccole e medie emittenti televisive però che, nonostante le buone intenzioni esposte nel discorso di Renzo Bossi, esponente della Lega Nord e figlio del senatore Umberto Bossi intervenuto in video, non vedono in internet e nei new media una via di uscita dalla crisi in cui versano: “La digitalizzazione del paese sta penalizzando moltissimo le piccole tv locali – ha spiegato Fabrizio Berrini di Aerani-Corallo – sia per la mancanza di frequenze, nelle mani di Mediaset e Rai, sia per la decisione a noi avversa di spostare le frequenze dalla 61 alla 69 sul telecomando a favore degli operatori telefonici“. “La digitalizzazione è molto costosa come processo e le risorse sono poche – ha sottolineato anche Filippo Rebecchini di FRT – lo spostamento di otto canali nazionali verso la banda larga sta decretando la nostra fine“.
L’ultimo panel, infine, ha affrontato il ruolo della politica in rapporto alla vecchia e alla nuova televisione. Due dimensioni diverse solo in apparenza, perché nei fatti la politica affronta la televisione vecchia e nuova, almeno per il momento, allo stesso modo. Paolo Gentiloni, deputato del Partito Democratico, ha spiegato bene questo concetto: “Barack Obama ha vinto le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America grazie alla spinta del web, dove ha raccolto centinaia di milioni di dollari utilizzati in spot pubblicitari a suo favore sulla vecchia televisione generalista. Un dato che deve far riflettere sull’importanza che ancora riveste la vecchia televisione. A noi politici spetta il compito di modificare il modello di comunicazione usato in tv, avvicinandoci al web che oggi è il luogo prediletto di una grossa fetta di audience anche televisiva. Ecco perché l’attesa delibera Agcom deve essere considerata con molta attenzione e spero si apra una lunga fase di consultazione pubblica, vista la delicatezza dell’argomento e la sua natura strategica per le cose che stiamo affrontando in questo convegno“. “Più piattaforme di comunicazione – ha infine dichiarato Roberto Rao deputato UDC – potrebbero essere un modo trasparente per superare l’eterno duopolio italiano e la sua condizione di anomalia. Al nostro paese serve una nuova fase politica, sociale e culturale, che le nuove piattaforme multicanale potrebbero aiutare a sviluppare a favore di un più accentuato pluralismo culturale, politico e dell’informazione, che solo una legislazione illuminata può garantire“.