Si riparla di “burocrazia zero”, di semplificazione, di digitalizzazione. Perché tutti quelli che ne parlano ed hanno ricoperto funzioni pubbliche non hanno provveduto dal 1990 ad oggi a semplificare? (c’era e c’è un obbligo a semplificare: legge 241/90 ed altre norme). Semplificare significa “cambiare”, semplificare significa avviare concretamente il processo di digitalizzazione; semplificare significa erogare servizi in rete ai cittadini e alle imprese. Senza semplificazione non è possibile avviare il processo di trasformazione digitale. Le amministrazioni non “agili” e non semplificate non sono trasparenti per un fatto strutturale: la complessità delle procedure, la frammentazione delle stesse, la ridondanza di dati contribuiscono a creare solo condizioni di “oscurità burocratica”.
Registriamo 30 anni di mancata semplificazione; sono 15 gli anni di mancata applicazione organica del Codice dell’amministrazione digitale.
La pandemia virale forse ci costringerà a superare la “pandemia cronica burocratica”? Ce lo auguriamo.
Burocrazia: i problemi di sempre
I problemi di sempre della nostra burocrazia pubblica sono (ne cito alcuni):
a) il costo della burocrazia: paghiamo un prezzo alto per servizi di scarsa qualità
b) il caos burocrazia: modelli datati della organizzazione e della organizzazione del lavoro (l’anomalia del lavoro agile (o smart working) in situazione di urgenza)
c) la semplificazione normativa: sistemi normativi multicanali portano all’overdose del sistema
d) la semplificazione amministrativa: più facile complicare
e) la digitalizzazione amministrativa: siamo sempre al 24 posto su 28 Paesi (indice Desi)
f) i servizi in rete per i cittadini e le imprese: poco diffusi, nella logica dell’analogico
g) la formazione dei dipendenti pubblici: zero fondi per formare
h) la dirigenza pubblica: al bivio; deve scegliere se operare per un cambiamento reale o continuare in un approccio formalistico
i) nuovi profili professionali dei dipendenti pubblici: non ci sono
Il costo della burocrazia per eccesso di scartoffie: 57,2 miliardi di euro/anno
Ultima rilevazione CGIA di Mestre (2019): il costo/anno della burocrazia per eccesso di adempimenti amministrativi è di 57,2 miliardi di euro. In una situazione come quella di oggi (pandemia, crisi economica che si aggrava per il blocco produttivo del Paese, catena decisionale lunga mentre la situazione richiede interventi agili, veloci, concreti ed efficaci) il Parlamento, il Governo, le Regioni (i tre livelli istituzionali che sono anche normatori primari) dovrebbero adottare provvedimenti forti per semplificare le decisioni. Non c’è altra strada: il resto sono chiacchiere! (il resto è noia, come in una nota canzone). Non ci possiamo permettere di buttare al vento tanti soldi.
Il caos burocrazia
Il caos burocratico trova la sua fonte “naturale” in organizzazioni pubbliche “datate” (anni 50) strutturate sul principio del formalismo giuridico e gerarchico e non su organizzazioni semplificate, trasparenti e digitalizzate. L’approccio formalistico predilige il rispetto della forma, delle norme anche se queste non sono efficaci, se creano altri problemi, se costano molto nella fase di applicazione, ecc. Il solo rispetto della forma pone in secondo piano la centralità dei cittadini per i quali dovrebbero essere formate ed applicate le norme. Oggi in una situazione di emergenza queste burocrazie antiquate hanno vissuto il “brivido” del lavoro agile, dello smart working, del telelavoro. Ma si tratta di una esperienza (senza dubbio positiva) ma che sarà di breve durata se le amministrazioni non procederanno prima alla semplificazione delle regole e dell’organizzazione del lavoro per continuare questa esperienza positiva. I pubblici dipendenti hanno dimostrato di potere lavorare in una condizione moderna, agile, fuori dai vecchi schemi organizzativi. Alla politica e alla dirigenza spetta ora cogliere l’occasione per un nuovo indirizzo.
La semplificazione normativa: overdose di regole
La produzione folle e anarchica delle norme (multicanale: livello nazionale e regionale; locale) è la “genesi” della complessità della macchina burocratica pubblica e dei relativi costi eccessivi. La impressionante produzione di delibere, determine, di regolamenti a livello locale completa il quadro. Tutto un sistema che in modo “abile” e furbesco ha creato una situazione di “scaricabarile” e responsabilità in un labirinto di norme e regole dal quale si esce difficilmente. Il normatore (e soprattutto coloro che “scrivono” norme) di solito produce norme senza avere effettuato una analisi dei bisogni reali sulla base di dati aggiornati, completi, validi, affidabili, accessibili, verificabili, leggibili, ecc. Il normatore di solito non “simula” gli effetti di una norma prima della sua adozione (AIR: analisi impatto regolazione); né verifica le norme nelle fase successiva per eventuali modifiche VIR: verifica impatto regolazione). Se applica le regole di AIR e VIR il normatore lo fa più per obbligo formale che per logica necessità. Stiamo morendo di overdose da leggi (non sappiano nemmeno quante sono; figuriamoci se sappiamo quanti regolamenti sono attivi; e peraltro si pretende che il cittadino e le imprese conoscano bene le norme per applicarle). Il legislatore si rende conto del “mostro” giuridico e sociale che ha costruito? Se sì, non può non cambiare: i prossimi anni saranno durissimi per la ripartenza e la ripresa; con questo sistema legislativo possiamo solo soccombere.
La semplificazione amministrativa: dopo 30 anni di “riflessione” (?) sulla legge 241/90 vogliamo applicarla?
E veniamo alla semplificazione amministrativa: che “semplicemente” significa mettere in atto l’art. 97 della Costituzione (imparzialità e buon andamento dell’amministrazione) e l’art. 1 della famigerata legge 241/90 (economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, pubblicità, dell’azione amministrativa). Si tratta di principi/criteri che fanno parte della più consolidata e seria letteratura scientifica in materia di organizzazioni pubbliche e private.
Dopo milioni di libri, articoli, convegni, atti giurisprudenziali, modifiche normative sulla legge 241/90 (la legge è diventata un colabrodo, illeggibile, ecc.) non siamo in grado di applicare i principi ed i criteri che abbiamo sopra citato. I principi ed i criteri hanno specifiche valenze semantiche che non sono considerate dal legislatore: i criteri sono snocciolati ed elencati (distrattamente) e basta. Quante organizzazioni pubbliche hanno avviato veri e completi processi di semplificazione? E con quali risultati? Cosa semplificare? L’art. 15 del Codice dell’amministrazione al comma 2 elenca “cosa” semplificare: tutto (iter, durata, fasi, modulistica, ecc.). Come semplificare? Qui nascono problemi seri. Che potrebbero essere affrontati con il ricorso a “prototipi di burocrazie semplificate” (pensate ad un prototipo per gli 8000 comuni o per le oltre 20.000 scuole, o per le ASL, ecc.).
La trasformazione digitale
La trasformazione digitale non esprime solo l’applicazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle pubbliche amministrazioni ma essa comprende (ed è soprattutto) il modello di nuove amministrazioni nell’epoca del digitale e della società dell’informazione. La trasformazione digitale non richiede nuove norme (il Codice dell’amministrazione digitale è stato già ridotto ad una accozzaglia di principi, regole, criteri, ecc.; di un codice non ha niente); richiede idee chiare (non ci sono) sul processo innovativo che deve caratterizzare le burocrazie pubbliche (nuovi modelli organizzativi; semplificazione; qualità dei servizi; sostenibilità delle burocrazie). I documenti attuali del Governo in merito alla trasformazione digitale non hanno “senso” (le cose più avanzate sono le APP ?!). Siamo sempre al 24 posto della classifica DESI.
Servizi in rete
L’art. 7 del Codice dell’amministrazione digitale stabilisce che bisogna erogare servizi semplificati ed in rete. Quante amministrazioni in Italia permettono l’uso di istanze nativamente digitali (art. 65 del Codice)? A voi la risposta.
Non parliamo della qualità dei servizi!
La formazione dei dipendenti pubblici
Come si fa a trattare di innovazione quando poi il personale (tutto il personale delle P.A.)non viene formato sui processi innovativi? Quanto si spende in formazione? Quasi-zero. Chi viene formato? Quasi nessuno ed inutilmente. Su cosa si fa formazione? Sicuramente né sul digitale, né sulla semplificazione, né sulla qualità dei servizi, ecc. Come si fa a chiedere impegni al personale se poi non viene formato adeguatamente? Alla politica e alla dirigenza una risposta!
La dirigenza pubblica: ad un bivio!
Non mi dilungo sulla questione “dirigenza pubblica”: solo una considerazione. La dirigenza (che non è preparata, fatte le pochissime eccezioni) è a un bivio: o accetta la logica del cambiamento (reale) oppure diventa una palla al piede della società italiana. La dirigenza deve svolgere un “ruolo strategico” in questa fase di trasformazione e di pandemia. E se no è in grado o non se la sente può anche dedicarsi ad altro. Il politico deve capire definitivamente che deve sostenere la dirigenza preparata, sulla base del merito. Il resto lo lasciamo a discussioni che vanno avanti da oltre 30 anni.
I nuovi profili professionali nelle burocrazie moderne
Una burocrazia moderna non può operare con profili professionali datati (anni 50): deve potere contare su profili che hanno a che fare con nuove competenze (preparati sul digitale; sulla organizzazione moderna e sull’organizzazione del lavoro; sulla capacità di gestire progetti; sui problemi relativi alla qualità dei servizi; sulle attività di controllo e monitoraggio delle organizzazioni e dei servizi; sulla capacità di gestire risorse in modo sistemico ed integrato; sulle problematiche di protezione civile, beni culturali, turismo, dell’ambiente, ecc.). Un grande piano di rinnovamento delle competenze.
Per approfondire
- Vivere in borghi digitali? Una soluzione “intelligente” con una strategia nazionale per il dopo Coronavirus
- Dopo il Coronavirus? La sanità digitale come nuovo modello organizzativo
- Come la burocrazia si comporterà nella fase del dopo Coronavirus?
- E dopo il Coronavirus? Una Protezione Civile Digitale
- Coronavirus: protezione civile, centralità dei dati e sanità digitale