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Netflix e Covid-19: la tv streaming incassa, ma ancora per quanto?

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Al momento, a causa dell'emergenza Coronavirus, Netflix ha chiuso tutte le produzioni, con le eccezioni della Corea del Sud e dell’Islanda. Il rischio di “finire Netflix”, come qualcuno già ironizza sui social, è più che concreto.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Nel 2015, il comico americano Andy Samberg diede il via alla sua conduzione degli Emmy con uno sketch registrato. Nel filmato, Samberg veniva ridicolizzato dagli amici perché non conosceva nemmeno una delle serie tv di moda in quel periodo – da Orange is the new black a, ovviamente, Game of thrones – e perciò decideva di chiudersi in un bunker per un anno e guardare ogni singolo episodio esistente trasmesso su Netflix, HBO o Prime Video.

Vista cinque anni dopo, a pandemia in corso, la gag ci sembra molto meno divertente: perché il lockdown è ormai una realtà per centinaia di milioni di persone e perché in tantissimi, costretti a casa dalle restrizioni per la pubblica sicurezza, per ammazzare il tempo si sono dati alla panificazione o alla ginnastica casalinga, oppure semplicemente, a sfruttare una buona volta gli abbonamenti ai servizi di tv streaming, magari riprendendo stagioni lasciate a metà in attesa di avere più tempo. E, adesso il tempo ce l’hanno tutti fin troppo.

Netflix: numeri da record aspettando HBO

Gli effetti di questo binge watching forzato si sono fatti sentire prima di tutto sui conti di Netflix, che bene o male rimane il punto di riferimento: la trimestrale appena pubblicata conferma ancora una volta che, bene o male, qualcuno che si arricchisce anche nelle peggiori crisi c’è sempre, e in questo caso è Reed Hastings con la sua società.

Sedici milioni di nuovi abbonati nel mondo, non un po’ di più di quanto il colosso dello streaming avesse previsto: ma il doppio. Si può davvero dire che il Covid-19, spietato killer per gran parte della popolazione, sia stata l’ancora di salvezza per una Netflix che, a causa di una concorrenza sempre più agguerrita e parecchi debiti, sembrava aver smarrito la sua spinta propulsiva.

Troppo presto per cantare vittoria, però, e Netflix lo sa bene. La situazione, nel panorama sempre più sfaccettato dello streaming video, ormai sempre più il modello di entertainment preferito dai grandi studi di produzione (su SosTariffe.it potete trovare le varie offerte attualmente disponibili in Italia per confrontarle e scegliere quella più adatta a voi), rimane poco stabile: dopo Disney+, infatti, negli Stati Uniti (ma non in Italia) è in arrivo il nuovo servizio HBO Max, che debutterà il 27 maggio 2020 e, come di consueto, si baserà su un portafoglio di contenuti basato sia su produzioni originali che vecchie glorie in catalogo, da Sex and the City ai Soprano.

Da noi questo per Netflix non sarà un problema (HBO ha già un accordo con Sky, e tutte le sue serie distribuite in Italia passano da lì), ma nel resto del mondo sì, anche tenendo conto che il nuovo servizio punterà molto sui film, oltre 2.000 già al primo giorno: un settore in cui Netflix, a parte alcune produzioni originali anche pluripremiate (si pensi a Roma di Cuarón), non è mai stata particolarmente forte, delegando a servizi come Rakuten o Hulu il noleggio e l’acquisto dei titoli destinati al grande schermo.

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E se i contenuti finissero?

Riguardo al fatturato, perfino Netflix sa bene che questo successo – che le ha permesso, almeno per il momento, di valere di più della stessa Disney – può essere molto effimero, mentre il mondo rischia di precipitare in una crisi economica di cui non si può prevedere la fine. Già, perché se non si potranno girare nuove stagioni e nuove serie, e soprattutto se il lockdown diverrà una misura periodica alla quale dovremo abituarci (il “martello” a cui segue “la danza” delle riaperture progressive, fino a una nuova ondata di casi, come ha scritto l’imprenditore di Silicon Valley Thomas Pueyo in un post su Medium diventato molto popolare nelle ultime settimane), il rischio di “finire Netflix”, come qualcuno già ironizza sui social, è più che concreto.

Ted Sarandos, Chief Content Officer di Netflix, ha subito chiarito che non ci sarà mai il rischio di avere solo contenuti visti e rivisti sulla piattaforma. «Relativamente al nostro settore, noi pianifichiamo parecchio, visto che facciamo uscire tutte le puntate in una volta» (a differenza, ad esempio, di servizi che centellinano le uscite una volta alla settimana o più, come accade ad esempio con le nuove serie di Sky o l’hit The Mandalorian su Disney+).

Tra rinvii, cancellazioni e aiuto agli ospedali

Eppure le difficoltà rimangono. Al momento, Netflix ha chiuso tutte le produzioni, con le eccezioni della Corea del Sud (che, come sappiamo, ha elaborato un approccio particolarmente efficace per contrastare la pandemia) e dell’Islanda. Così, anche titoli di sicuro successo come la nuova stagione di Stranger Things e un nuovo film che vedeva nei panni del protagonista Dwayne “The Rock” Johnson sono stati rinviati a data da destinarsi. Secondo gli analisti, per almeno un trimestre non ci saranno problemi, ma nessuno sa cosa succederà più avanti: anche per questo, i vertici di Netflix sono stati molto cauti nel commentare i risultati straordinari delle ultime settimane, malgrado tassi di crescita che in qualsiasi altro momento avrebbero causato ben altri atteggiamenti.

Anche al di là di Netflix, la pandemia continua a scombinare i piani nel settore delle produzioni piccole e grandi. Per limitarsi a un solo esempio, Neil Gaiman, lo scrittore e fumettista americano dietro anche a grandi successi per il piccolo schermo come American Gods e Good Omens, ha appena fatto sapere che l’attesissima serie tv sul suo personaggio più amato, Sandman, è stata sospesa a causa del Coronavirus, proprio mentre la produzione stava partendo: «le sceneggiature per la prima stagione sono state scritte, il casting è iniziato, i registi assunti, si stavano costruendo i set. Tutto era pronto per andare in produzione, poi il mondo si è fermato». «Ne approfitteremo per migliorare ancora le sceneggiature», ha concluso Gaiman, ma il problema delle serie e delle puntate cancellate è reale. Se non altro, in qualche caso, dalle serie tv è arrivato perfino un aiuto per l’epidemia: è il caso dei medical drama come Grey’s Anatomy o The Good Doctor, che avendo attrezzature mediche (vere) in quantità per girare le puntate dei loro show, hanno potuto donarle agli ospedali in difficoltà.

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