Europa
In caso di violazioni dei diritti della personalità per mezzo di contenuti diffusi su un sito Internet, il giudice del luogo in cui la vittima possiede il proprio centro di interessi è quello competente per la totalità dei danni causati sul territorio dell’Unione europea.
Lo ha stabilito la Corte di giustizia, cui si erano rivolti il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) e il Tribunal de grande instance de Paris (Francia) per un parere su due diversi casi.
Il primo riguarda un signore domiciliato in Germania, che nel 1993 era stato condannato assieme a suo fratello da un giudice tedesco all’ergastolo per l’omicidio di un attore famoso. Nel gennaio 2008 è stato ammesso alla liberazione condizionale.
La società eDate Advertising, stabilita in Austria, gestisce un portale Internet accessibile all’indirizzo «www.rainbow.at», ove ha pubblicato informazioni sui ricorsi presentati dal ‘sig. X’ e da suo fratello avverso la loro condanna. Pur avendo l’eDate Advertising eliminato dal proprio sito Internet l’informazione controversa, il sig. X ha chiesto ai giudici tedeschi di ingiungere alla società austriaca di non riportare più notizie che lo riguardano indicando il suo nome per esteso in relazione al crimine commesso. Quanto all’eDate Advertising, essa contesta la competenza internazionale dei giudici tedeschi a dirimere la controversia in quanto ritiene di poter essere concordata soltanto dinanzi ai giudici austriaci.
Il secondo caso riguarda un testo redatto in inglese ed intitolato “Kylie Minogue è di nuovo con Olivier Martinez” apparso il 3 febbraio 2008 sul sito Internet del quotidiano britannico Sunday Mirror, unitamente a dettagli relativi all’incontro tra la cantante australiana e l’attore francese. Quest’ultimo e suo padre, Robert Martinez, lamentano violazioni della loro vita privata e del diritto all’immagine di Olivier Martinez e, in Francia, hanno agito in giudizio contro la società britannica MGN, editrice del Sunday Mirror.
Questa, al pari dell’eDate Advertising, ha contestato la competenza internazionale del tribunale adito in quanto ritiene non sussista un collegamento sufficientemente stretto tra la pubblicazione in rete nel Regno Unito e il presunto danno sul territorio francese. Orbene, soltanto un siffatto collegamento potrebbe radicare la competenza dei giudici francesi a conoscere degli eventi lesivi connessi con la pubblicazione in rete controversa.
Nella sua sentenza odierna, la Corte rileva che la pubblicazione di contenuti su Internet si distingue dalla diffusione − circoscritta territorialmente − di un testo a stampa, in quanto detti contenuti possono essere consultati istantaneamente da un numero indefinito di internauti, ovunque nel mondo. Pertanto la diffusione universale, da una parte, può aumentare la gravità delle violazioni dei diritti della personalità e, dall’altra, rende estremamente difficile individuare i luoghi di concretizzazione del danno derivante da tali violazioni. Ciò posto – poiché l’impatto di un’informazione messa in rete sui diritti della personalità di un soggetto può essere valutata meglio dal giudice del luogo in cui la vittima possiede il proprio centro di interessi – la Corte designa tale giudice come quello competente per la totalità dei danni causati sul territorio dell’Unione europea. La Corte precisa che il luogo in cui una persona ha il proprio centro di interessi corrisponde, in via generale, alla sua residenza abituale.
La Corte sottolinea anche che, in luogo di un’azione di risarcimento per la totalità del danno, la vittima può sempre adire i giudici di ciascuno Stato membro sul cui territorio un’informazione messa in rete sia accessibile oppure lo sia stata. In tal caso, alla stregua di quanto avviene per i danni causati da un testo a stampa, tali giudici sono competenti a conoscere del solo danno causato sul territorio dello Stato in cui essi si trovano. Del pari, la persona lesa può anche adire, per la totalità del danno cagionato, i giudici dello Stato membro del luogo in cui è stabilito il soggetto che ha messo tali contenuti in rete.
Infine, nell’interpretare la direttiva sul commercio elettronico, la Corte stabilisce che il principio della libera prestazione di servizi, in linea di massima, impedisce che il prestatore di un servizio del commercio elettronico sia soggetto nello Stato membro ospitante a prescrizioni più rigorose di quelle previste dal diritto dello Stato membro in cui il prestatore è stabilito.