Lo scorso dicembre si è tenuto presso il MIT Media Lab di Boston il secondo Simposio sulle Applicazioni della Blockchain per la Robotica e l’Intelligenza Artificiale.
Ormai, quando si parla di robot il pensiero corre subito ad umanoidi che cercano di scimmiottare il nostro comportamento. Spesso quello che leggiamo sull’Intelligenza Artificiale fa pensare che voglia sostituirci nei compiti più delicati, come giudicare le persone o curare i pazienti.
Le applicazioni
Qualche volta sono gli stessi ricercatori che, alla ricerca di pubblicità, sottolineiamo gli aspetti più discutibili del loro lavoro. Presentare le applicazioni della blockchain alla robotica e all’intelligenza artificiale è anche una buona occasione per discutere sulle loro reali utilizzazioni, senza scandalismi.
Nella progettazione dei robot si fa ampio uso del concetto di collaborazione. Oggi più robot si possono organizzare in uno sciame (swarm), ad esempio per sorvegliare un obiettivo sensibile (oppure per attaccarlo). Alcuni ricercatori hanno organizzato una squadra (team) di robot in grado di gestire un frutteto.
Altri, invece, hanno trovato più divertente organizzare un campionato di calcio tra squadre di robot. In questi progetti, l’approccio tradizionale, quello di comandare l’intera squadra da un’unica postazione, non è praticabile per ragioni di affidabilità: se questa postazione di controllo cessasse di funzionare si bloccherebbe tutto.
Meglio insegnare ai componenti della squadra come analizzare un problema, risolverlo e chiedere aiuto ai loro “colleghi” quando è necessario. I robot utilizzano una blockchain per condividere queste informazioni al riparo da “orecchi indiscreti” e da altre interferenze esterne.
Le attività produttive svolte dai robot industriali sono ormai così tante da far pensare che lo stesso nome di “industria manifatturiera” debba essere rivisto. Questi robot specializzati, però, non sono in grado di coordinarsi tra loro e molti imprevisti riescono a rallentare o a bloccare l’intera catena di montaggio.
Blockchain e produzione
Sistemi basati su blockchain (attualmente in corso di sperimentazione) consentono di tracciare tutte le fasi del processo produttivo: attraverso questa visione di insieme, i robot imparano a gestire questi rallentamenti e ad individuarne le cause. Da questa attività di tracciamento, il consumatore ha la sicurezza di comperare un prodotto originale, realizzato ‘a regola d’arte’ a partire da materiali controllati.
Ma non appena un bene durevole, ad esempio un aeroplano, esce dalla fabbrica, per il produttore sorge il problema di assicurare l’enorme quantità di accessori e parti di ricambio necessarie alla manutenzione.
L’alto prezzo delle parti di ricambio (almeno in parte dovuto ai costi di distribuzione e stoccaggio) stimola la vendita di parti di ricambio contraffatte. Nel caso dell’industria aeronautica, una parte di ricambio non originale potrebbe diventare un problema di vita o di morte. Se fosse possibile produrre parti di ricambio in loco ed al momento il loro costo si abbasserebbe al punto di togliere alla contraffazione qualsiasi convenienza economica.
Parti di ricambio e 3D
In realtà, esistono già dei robot in grado di produrre queste parti di ricambio: si tratta delle macchine a controllo numerico e delle stampanti 3D. Le macchine a controllo numerico adottano l’approccio di togliere materiale da un blocco di metallo fino a raggiungere la forma voluta, mentre le stampanti 3D la realizzano deponendo uno strato di metallo alla volta.
Entrambe sono in grado di riprodurre un componente meccanico in base allo specifico “programma di lavorazione” che venga loro assegnato. Purtroppo, l’uso di questi programmi non è sottoposto ad alcun controllo di proprietà intellettuale: attualmente se ne possono fare tante copie identiche all’originale e ciascuna di esse potrebbe essere utilizzata per produrre un numero infinito di pezzi di ricambio.
Per togliere convenienza alla contraffazione ed assicurare ai costruttori un compenso adeguato, è stato proposto di collegare queste macchine ad una blockchain. In questo modo il programma memorizzato sulla macchina può essere controllato a distanza tramite uno smart contract. Ogni esecuzione del programma (o di una sua copia) provoca un’attivazione dello smart contract, che registra i dati della transazione e provvede ad incassare le royalties. Ovviamente, ove mancasse la copertura, lo smart contract bloccherebbe la lavorazione del componente richiesto.
Blockchain e dati
La collaborazione nel campo dell’Intelligenza Artificiale, avviene tra gruppi di ricerca o, meglio, tra i loro elaboratori ed i loro dati. Ad esempio, nel campo farmaceutico, è ormai possibile valutare le proprietà medicinali di un farmaco prima ancora di averlo prodotto. Per farlo, occorrono elaboratori specializzati, programmi di Machine Learning, e, soprattutto, enormi quantità di dati relativi a problemi simili già risolti in passato.
Probabilmente, i dati sono il componente più critico in un progetto di Intelligenza Artificiale: in particolare, i programmi di Machine Learning applicano il concetto di analogia per formulare un giudizio in modo sorprendentemente simile a come lo facciamo noi. E per questo motivo possono sbagliare esattamente come noi, quando applicano ad un problema un’analogia fuori luogo.
Nella fase iniziale di apprendimento vengono sottoposti al programma una serie di esempi risolti, in modo da evidenziare quali siano le analogie da applicare e (soprattutto) come valutare quella più adatta al problema in esame. Di conseguenza, gli errori più significativi dei programmi di Machine Learning (notissimi quelli dei programmi di riconoscimento facciale, in grado di scambiare ad esempio le fattezze di un latitante con quelle del suo avvocato) sono dovuti ad errori nella fase di apprendimento: se gli sono stati forniti gli esempi sbagliati, il povero programma continuerà a sbagliare pensando di fare la cosa giusta.
In definitiva, alcune di queste serie di dati non hanno prezzo, in quanto chi le possiede non ha nessuna intenzione di concederne l’uso ai suoi concorrenti. Anche se si riuscisse a perfezionare una vendita, spesso i costi da sostenere sarebbero superiori alle non misere possibilità di un sola azienda farmaceutica. Per aggirare questi ostacoli, si stanno formando dei consorzi per condividere l’uso dei dati necessari ad un progetto di ricerca senza che il proprietario ne perda il possesso esclusivo. Come nel caso delle parti di ricambio, il problema è quello di consentire ad un programma l’accesso ai dati impedendone la copia, in modo da garantire al loro proprietario il compenso adeguato.
Blockchain e ricerca medica
Il prof. George Church, un genetista dell’ Università di Harward, è stato uno degli originatori del progetto di codifica del patrimonio genetico (genoma) umano, un progetto partito nel 1984 che ha cambiato radicalmente la ricerca medica.
Church, noto anche per aver ricostruito il genoma di un dinosauro, ha fondato recentemente la startup Nebula Genomics, insieme ai suoi colleghi Dennis Grishin and Kamal Obbad. Obiettivo della nuova azienda è l’applicazione della blockchain alla ricerca medica, e le sue attività iniziano ad avere ricadute anche sulle scienze economiche.
L’economia dei microdati analizza il valore dei dati necessari alla progettazione di molecole specifiche, ed alla loro sperimentazione in silico: una volta definita la loro struttura, le nuove molecole possono essere sperimentate su programmi che simulano il comportamento di una cellula.
Si può apprezzare il valore di questi conoscendo i costi (ormai elevatissimi) di una sperimentazione tradizionale in vitro (su colture in provetta) o in vivo (su organismi viventi). Ancora una volta, la redditività di un progetto può essere prevista in base ad altri dati di medicina statistica e di genomica. L’economia dei macrodati biologici studia per l’appunto il loro valore economico e le tecniche necessarie per gestirli nel rispetto della privacy (anonimizzazione).