Aumento del livello mare
Il livello del mare continuerà a crescere inesorabilmente. Anche se riuscissimo a contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2° C, l’innalzamento del mare potrebbe arrivare entro la fine del secolo a circa 30–60 cm e, nella peggiore delle ipotesi, raggiungere i 60–110 cm. Se infatti nel XX secolo il livello è cresciuto globalmente di 15 cm, oggi assistiamo ad una crescita più che raddoppiata, ben 3,6 mm l’anno, un aumento senza precedenti e che continua ad accelerare a causa dello scioglimento dei ghiacci della Groenlandia e della calotta polare dell’Antartide.
È quanto rilevato dal Rapporto Speciale dell’IPCCOceano e Criosfera in un clima che cambia, approvato il 24 settembre dai 195 Paesi che compongono l’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, ovvero il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici.
Riscaldamento dell’oceano
Secondo il report, l’oceano, che assorbe oltre il 90% del calore in eccesso del sistema climatico, si sta riscaldando senza interruzioni dal 1970. In particolare, nello strato tra la superficie e i 2000 m di profondità, il tasso di riscaldamento degli oceani è più che raddoppiato dal 1993. Si prevede che, entro il 2100, l’oceano assorbirà da 2 a 7 volte più calore rispetto all’intervallo di tempo compreso dal 1970 ad oggi. Inoltre, anche le ondate di calore marine sono raddoppiate in frequenza dal 1982 e stanno aumentando di intensità.
Acidificazione dell’oceano
All’interno del sistema climatico, l’oceano assorbe e ridistribuisce l’anidride carbonica ma, inglobandola, ha subito una crescente acidificazione superficiale, con conseguente perdita di ossigeno, alterazione dell’ecosistema marino e diminuzione della biomassa globale della comunità di animali: si stima che tra il 1972 e il 2012 il numero di pesci sia diminuito del 50%. Secondo l’IPCC, gli oceani, nel corso del XXI secolo, oltre a subire un incremento delle temperature sono destinati a un ulteriore acidificazione e declino dell’ossigeno.
Eventi distruttivi
Eventi marini estremi, come inondazioni e maremoti, che in passato avvenivano nell’ordine di uno ogni 100 anni, sono destinati a verificarsi più di frequente, almeno una volta all’anno entro il 2050, in particolare nelle regioni tropicali. Inoltre, il riscaldamento globale provoca un aumento di vapore acqueo, generato sia dagli oceani che dalla terra, favorendo la comparsa di fenomeni metereologici estremi. Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista “Science Advances”, in futuro la frequenza delle condizioni che danno origine a eventi meteorologici distruttivi aumenterà del 50% e potrà arrivare fino al 300%.
Dipendenza dall’oceano
Tutti gli abitanti della Terra dipendono, direttamente o indirettamente, dall’oceano e dalla criosfera, la porzione di superficie terrestre coperta dai ghiacci: gli oceani coprono il 71% della superficie globale e contengono circa il 97% dell’acqua della Terra, mentre il 10% dell’area terrestre è coperta da ghiacciai o da calotte glaciali.
Ovviamente, le comunità umane in stretto collegamento con gli ambienti costieri, le piccole isole, le aree polari e le alte montagne sono particolarmente esposte al cambiamento degli oceani e della criosfera. Oggi, circa 4 milioni di persone vivono permanentemente nella regione artica. La zona costiera bassa ospita attualmente circa 680 milioni di individui, e dovrebbe raggiungere oltre un miliardo entro il 2050. I SIDS, gli Stati in via di sviluppo delle piccole isole, ospitano 65 milioni di abitanti. Infine, circa 670 milioni di persone vivono in regioni di alta montagna, e si prevede che la popolazione raggiungerà tra i 740 e gli 840 milioni entro il 2050, oltre l’8% della popolazione mondiale prevista.
L’Antartide, il “gigante addormentato”
Più grande dell’intera Europa e composto per circa il 90% da ghiaccio, con una temperatura media di -49° C e venti che arrivano a superare i 300 Km/h, l’Antartide, il continente più freddo del mondo, è stato a lungo considerato come un “gigante addormentato”. Ma, proprio come la Groenlandia, anche la calotta glaciale dell’Antartico sta perdendo ghiaccio, contribuendo ad un inarrestabile aumento del livello del mare. Se in Groenlandia, infatti, la perdita di ghiaccio riscontrata tra il 2006 e il 2015 è stata di circa 278 miliardi di tonnellate l’anno, per l’Antartide la perdita di massa nello stesso periodo è stata di circa 155 miliardi di tonnellate, e continua ad aumentare.
Se l’acqua congelata nella calotta glaciale della Groenlandia equivale a circa 7 metri di potenziale aumento del livello del mare, nella calotta glaciale antartica sono attualmente “rinchiusi” circa 58 metri di dislivello. Lo scioglimento di anche solo una piccola porzione del ghiaccio antartico, pertanto, comporterebbe effetti devastanti per l’ambiente e l’uomo.
Il periodo interglaciale
Una recente ricerca, pubblicata su “Nature Communications”, dimostra come lo scioglimento dei ghiacci dell’Antartide sia stato il principale responsabile dell’innalzamento del livello del mare, nel periodo interglaciale avvenuto 125.000 anni fa. In questa fase, della durata di circa 10.000 anni, i livelli del mare sono saliti di ben 10 metri rispetto a quelli attuali. Secondo la ricerca, il ghiaccio si sciolse prima in Antartide, e solo alcune migliaia di anni dopo in Groenlandia.
Anche oggi la Terra si trova in un periodo interglaciale, iniziato circa 10.000 anni fa, ma questa volta le calotte polari si sciolgono contemporaneamente. Le ultime stime indicano che il 25% della calotta glaciale dell’Antartico occidentale è ora instabile e che la perdita di ghiaccio è aumentata di cinque volte negli ultimi 25 anni. Dal 2015 al 2018, in soli 3 anni, l’Antartide ha perso la stessa quantità di ghiaccio marino che l’Artico ha perso in 30 anni.
Vantaggi comuni
L’innalzamento del livello del mare è una delle maggiori sfide per l’umanità poste dai cambiamenti climatici. Secondo l’ONU, limitare il riscaldamento globale a 2° C entro il 2100, come stabilito dall’accordo di Parigi, non sarà facile e già si prevede un aumento di 3° C. Il presidente Trump, dopo aver annunciato che «L’accordo di Parigi danneggerà la nostra economia», ha recentemente presentato i documenti per il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul clima, uscita prevista per il 4 novembre del 2020.
Eppure, come affermato dalla stessa IPCC, solo la cooperazione e il coordinamento tra le autorità governative su scala mondiale, il monitoraggio e la previsione attraverso l’utilizzo di tutte le fonti di conoscenza disponibili, la condivisione di dati, informazioni e conoscenze e la realizzazione di vantaggi comuni potranno dare dei risultati che ci permetteranno di evitare una catastrofe ambientale.
Dobbiamo sbrigarci, prima che il “gigante addormentato” possa definitivamente destarsi.