Linguaggi

Come è cambiato il dialogo tra genitori e figli ai tempi del web

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La bussola per una navigazione consapevole nel mondo digitale è data dalla base sicura della famiglia il cui consolidamento affettivo e relazionale è cementato nell’infanzia, che ha messo al centro il primato delle relazioni reali, face to face, rispetto a quelle digitali.

Lo si sa, lo sanno, i nostri genitori, i nostri nonni, i nostri insegnanti, il dialogo tra genitori e figli, tra le vecchie e nuove generazioni, è sempre stato difficile e complicato da gestire e con l’avvento delle nuove tecnologie la sfida si è rilevata ancora più complessa.

Da una parte infatti lo svincolo adolescenziale porta i giovani a staccarsi in modo repentino dai genitori per iniziare a muovere i primi passi sul suolo dei grandi, a volte in modo provocatorio, altre goffo, altre ancora dinoccolato, mentre dall’altra gli adulti, nella verifica del loro stesso percorso genitoriale, rimangono sbalorditi nell’assistere a questo distacco che assume toni e forme di difficile gestione e comprensione.

Mamma che vuoi, non rompere! Papà non voglio vedere la partita con te oggi! Parole e atteggiamenti nuovi che rappresentano le prime ferite che Genitori di figli adolescenti si trovano ad affrontare e poi piano piano a metabolizzare nel momento in cui si trovano, senza tanto preavviso, e senza una linea di continuità nella terra delle avanzate e delle ritirate dell’adolescenza.

Si sa, per ogni figlio adolescente che inizia ad affrontare la crisi adolescenziale c’è un genitore in crisi e una famiglia in crisi. E oggi la crisi adolescenziale si colora di sfumature ancora più cariche di tonalità in cui con sempre maggior frequenza predomina il colore della violenza, dell’aggressività, del non rispetto per le parole e i moniti dei grandi.

Un no di oggi sembra diverso da un no allora, comunque accettato anche se non condiviso nelle diverse leve motivazionali tra genitori e figli. A negazione, molto spesso oggi, corrisponde provocazione estrema, a volte anche incessante.

In questa dinamica canonica, che rimarrà indelebile e verrà ricordata a livello transgenerazionale nei racconti della propria gioventù, il web si è inserito in modo capillare aprendo il villaggio globale ad una vecchia necessità, quello di raccontarsi agli amici, di dialogare con loro e di fare gruppo in un noi di giovani che traghetta sulla sponda del sé autonomo.

Non più pagine di diario da leggere e commentare tra pochi selezionati, oggetto di scherno e derisione se per caso il segreto finiva nelle mani di amici dispettosi che potevano minacciare di diffondere alcune considerazioni o segreti ad altri, ma nell’assorbimento a volte compulsivo del touch e dei contatti, nell’illusoria protezione di essere nascosti e difesi dallo schermo, il gruppo web ha assunto forza epidemica depauperandosi, a volte drammaticamente, del suo ruolo di traghettatore verso i lidi del vero sé.

Si perde segretezza nella diffusione online e si stravolge il termine diffondendo nelle pagine web, i propri segreti, le proprie considerazioni e nell’assenza del face to face si superano timidezze e si amplificano provocazioni e rivendicazioni. Se non mi piaccio o quel ragazzo non mi piace, o mi ha fatto un torto, posso vendicarmi parlando male di lui o postando foto che non tutelano la sua privacy, posso trovare, andando più o meno in profondità (deep web) consigli e istigazioni che mi portano a cancellare pian piano, facendo leva sul mio essere fragile, la mia identità, il mio corpo, la mia stessa vita nell’illusorietà di esistere altrove in un luogo di connessione costante, continua, che mi dà un appagamento veicolato da immagini e like.

Tutto questo è avvenuto lentamente nei primi momenti della rivoluzione digitale, subendo un’impennata maggiore nel momento in cui i ragazzi hanno potuto avere il mondo in tasca per citare Isacsoon che ricorda l’obiettivo di Steve Jobs, fino ad arrivare agli adulti in modo drammatico e inaspettato anche nelle mani di adulti che, a volte regrediscono ad un fare adolescenziale, forse per cercare di accumunarsi a loro e cercare di alleviare i colpi inferti dalle loro stesse provocazioni, in uno spazio proiettivo in cui si può non pensare e staccare.

Però, si distoglie lo sguardo e nel momento in cui si rialza siamo colpiti da episodi di cyberbullismo, autolesionismo diffuso in rete, sexting e altro che rappresentano solo la punta dell’iceberg dell’amplificazione del disagio che il web si porta dietro nel momento in cui, le mura delle nostre abitazioni si sono sgretolate e sono diventate invisibili confini aprendo il cuore delle relazioni al loro interno.

Ad oggi sappiamo che la bussola per una navigazione consapevole nel mondo digitale è data dalla base sicura della famiglia il cui consolidamento affettivo e relazionale è cementato nell’infanzia e nella traiettoria evolutiva che ha messo al centro il primato delle relazioni reali, face to face, rispetto a quelle digitali e nel quale la tecnologia è entrata gradualmente rispettando le acquisizioni evolutive dei bambini e i suoi tempi e ritmi di crescita.

Solo così nell’esigenza naturale di svincolo i dispositivi digitali mantengono l’essenza per il quale sono stati generati ovvero quella di essere un utile e potenziale ausilio al nostro agire quotidiano: arricchendolo, potenziandolo e colorandolo senza cancellarlo.

Come il bambino denuncia il suo disagio attraverso dei sintomi che principalmente interessano il corpo, come ci ricorda Cramer nella considerazione che il bambino somatizza quello che non riesce a dire, gli adolescenti hanno scelto il web per esprimere il loro disagio, per metterci sotto gli occhi l’andamento di forme di comunicazione che ci allontanano dall’essere empatici e che sotto l’attivazione costante dei neuroni specchio ci portano più ad agire che riflettere.

Il comprendere questo porta a diminuire il divario generazionale e il tendere una mano piuttosto che giudizi o regole è il primo passo per ricordare ai giovani che ci siamo sempre e comunque in caso di bisogno e necessità prima che il Web lo comunichi in modo epidemico e imperioso.

Leggendo le parole, celate dietro le immagini degli adolescenti, si comprende il loro bisogno di raccontarsi e di essere ascoltati e forse persa la spinta euforica del loro fare da sé, gli occhi dell’adulto riescono a captare che dietro a like, immagini e tutorial il bisogno primario in adolescenza non è stato travolto dall’onda net né trasformato ma rimane sempre lo stesso: vorrei essere visto e ascoltato in questa mia trasformazione, senza essere giudicato ma accolto e, anche se ti sembra assurdo, ancora guidato.

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