Scuola digitale

Smartphone in classe, Susanna Tamaro: ‘Una follia introdurli’

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L’allarme lanciato dalla scrittrice: “È vero che la tecnologia porta una grande ricchezza nelle nostre vite ma, perché ricchezza davvero sia, bisogna imparare a usarla. Usarla e non esserne usati. Consentire gli smartphone in classe è pura follia, così come sostituire i libri di testo con l’uso del tablet”.

Ha introdotto l’era del copia e incolla, ha creato un mondo parallelo a quello reale, un mondo segnato dalla facilità e dall’immediatezza, dalla superficialità e da una fallace onniscienza. Con questi motivi Susanna Tamaro spiega il suo “no” all’utilizzo degli smartphone e dei tablet in classe nell’articolo pubblicato sul Corriere.it dedicato alla scuola italiana. In Francia, per esempio, sono vietati fino a 15 anni.

“Non si può ignorare l’irrompere tumultuoso della tecnologia nella vita delle nuove generazioni e nella nostra. Un irrompere che ha creato un mondo parallelo a quello reale, un mondo segnato dalla facilità e dall’immediatezza, dalla superficialità e da una fallace onniscienza”. Inizia così il j’accuse della scrittrice, che rivela quando ha cominciato ad individuare gli effetti negativi dell’utilizzo, senza regole, delle nuove tecnologie a scuola. “Nei primi anni di questa rivoluzione, mi è capitato di leggere tesine delle scuole medie o delle superiori e di restare ammirata per la quantità di nozioni esibite e per la complessità dello svolgimento. Nella mia ingenuità analogica, mi sperticavo in complimenti con chi le aveva scritte ma il mio stupore ammirato era sempre destinato a essere di breve durata. Parlando, infatti, dell’argomento che avevano esposto, mi rendevo presto conto che quello che c’era scritto non corrispondeva a quello che lo studente davvero aveva appreso. Era iniziata l’era del ‘copia e incolla’ e io non me ne ero accorta”.

Il “no” agli smartphone in classe di Susanna Tamaro non è categorico, ma la scrittrice invita gli insegnanti e genitori ad insegnare ai ragazzi l’uso responsabile di cellulari e tablet.

“È vero che la tecnologia porta una grande ricchezza nelle nostre vite ma, perché ricchezza davvero sia, bisogna imparare a usarla”, scrive Tamaro. “Usarla e non esserne usati. Consentire gli smartphone in classe è pura follia, così come sostituire i libri di testo con l’uso del tablet”.

“In molti Paesi europei”, continua, “dove l’innamoramento per le tecnologie a scuola è arrivato prima che da noi, si stanno rivalutando la scrittura a mano e lo studio sui libri, anche come antidoto alle gravi dipendenze da schermo e da social che le nuove generazioni sviluppano in modo allarmante”.

“Secondo una ricerca molto dettagliata del Miur basata sui test Pisa del 2015″, racconta ancora Susanna Tamaro, “gli studenti italiani con i migliori punteggi nella lettura digitale sono quelli bravi anche nella lettura cartacea e, viceversa, quelli con difficoltà nella lettura cartacea non capiscono nemmeno i testi digitali. Il nostro ministero, che in controtendenza si è lanciato con sventata allegria nella rincorsa alla modernità, senza approfondire i molti studi sulla negatività di certe scelte, non ha considerato che al limite le due vie — tecnologica e umanistica, diciamo — possono procedere parallele, arricchendosi una con l’altra. Ma così non è stato. Dato che il suo compito, da ormai troppo tempo, è quello di rendere le cose sempre più facili, di non creare ostacoli, di permettere a tutti di raggiungere l’agognato pezzo di carta — perché questa è la più alta e più perversa forma di democrazia — non poteva fare diversamente”.

“Non creare problemi, questa sembra l’unica preoccupazione della scuola-azienda, della scuola-centro commerciale, con vetrine sempre più sfavillanti per attirare i clienti”, ecco la forte accusa alla scuola italiana della scrittrice, che conclude così l’articolo:

“Alla base della mia passione c’erano due forze che si completavano a vicenda: le grandi sofferenze patite sui banchi e la convinzione che occuparsi dell’ottimale sviluppo delle persone fosse il punto cardine di una società che vuole continuare a crescere nella luce della civiltà. Non avevo — e non ho — alcun dubbio sul fatto che abbandonare l’idea della centralità dell’educazione voglia dire spalancare la porta alle barbarie”.

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