A scala internazionale, incombe in Europa, negli Stati Uniti e nel mondo una fase di recessione e questo spinge a riprendere politiche monetarie espansive e anche a concordare a livello internazionale un rilancio degli investimenti pubblici. In secondo luogo, le innovazioni digitali di tipo “disruptive” stanno modificando il commercio, la logistica, la finanza, e anche le produzioni industriali, oltre che i media, il rapporto tra i cittadini e la politica e le stesse relazioni sociali tra i cittadini, ma determinano anche enormi profitti di grandi imprese, che evadono il potere fiscale nazionale. In terzo luogo, il potere della finanza è diventato prevalente e le stesse imprese industriali si sono trasformate in gruppi finanziari che mirano più al valore delle società e agli utili finanziari speculativi, che alla crescita nel medio termine e ai profitti derivanti dall’attività produttiva. In quarto luogo, si assiste ad un conflitto che non è solo commerciale ma anche industriale, tecnologico e persino strategico politico-militare sempre più acceso tra la Cina e gli USA e questo rallenta il commercio mondiale, determina l’instabilità dei mercati finanziari.
Questo dovrebbe spingere l’Europa a rafforzare la sua coesione politica e economica interna e ad avere una politica comune verso i paesi esteri. Infine, sono profondamente mutati i bisogni e le priorità dei cittadini almeno in Europa e sono necessarie risposte da parte sia delle istituzioni pubbliche che delle imprese private alla maggiore sensibilità dei cittadini per i problemi ambientali a scala globale e locale, all’importanza di temi come quello del tempo libero e della qualità del lavoro e delle disparità sociali.
Il cambiamento delle politiche economiche
La stagnazione economica in Italia e anche nell’Unione Europea perdura da diversi anni a causa della risposta inadeguata degli ultimi due governi e delle Istituzioni Europee. Le imprese rinviano da anni gli investimenti in innovazione e in nuova occupazione. Cresce l’insoddisfazione dei cittadini, che non vedono una nuova politica economica orientata a soddisfare i nuovi bisogni di qualità ambientale e di sicurezza, mentre continua la progressiva erosione dei servizi pubblici essenziali e le disparità di reddito e ricchezza sono enormemente aumentate.
E’ necessario un cambiamento radicale rispetto alle politiche neoliberiste, che hanno avvantaggiato i poteri economici forti, come quelle delle cosiddette “riforme strutturali”, che hanno limitato i diritti in funzione di una mitica flessibilità del lavoro, del pareggio di bilancio in Costituzione e nei Trattati europei e delle regole stringenti per la riduzione del debito pubblico anche tramite un aumento dell’IVA. Invece, è stato assicurato un largo sostegno finanziario, sia pubblico che della Banca Centrale Europea, alle banche. D’altro lato è anche necessario un cambiamento rispetto alle recenti politiche populiste e inconcludenti, che hanno portato alla stagnazione dello sviluppo.
L’Unione Europea non deve utilizzare solo la politica monetaria o la politica dei bilanci pubblici, ma anche un terzo strumento di politica economica, che è quello della ‘politica industriale’, le cui linee strategiche vanno coordinate a scala europea.
Dobbiamo svoltare verso misure orientate al lungo periodo, salvaguardando l’Euro e l’Europa, pur cambiandola, a partire dal disaccoppiamento tra le spese di investimento e il fiscal compact, per un deficit di bilancio sostenibile, che contrasti la recessione in arrivo, insieme ad una politica monetaria europea, che riduca lo spettro dei tassi di interesse in Europa, che vede tassi negativi in Germania e tassi elevati per le imprese e le famiglie italiane. Il rispetto dei vincoli del rapporto deficit/PIL va ottenuto dando la priorità alle misure che assicurano un aumento del PIL e non a quelle che a breve diminuiscono il deficit, ma che subito dopo riducono le possibilità di crescita dell’economia.
Sono necessarie misure non slegate tra loro, ma una strategia innovativa che corrisponde ad un approccio teorico diverso da quello tradizionale che forse era adeguato in un modello di società industriale tradizionale come quello degli anni ’80- ‘90. Invece, prevalgono nei programmi dei partiti le proposte di punti programmatici che possiamo dire sembrano estemporanei e tra loro sostituibili e non legati in una strategia coerente. Il basso tasso di crescita dell’economia italiana e la crescente sfiducia delle imprese e dei cittadini sono dovuti all’aver scelto politiche sbagliate, che corrispondono alle ideologie ormai datate del ‘900 e possono fare guadagnare consensi elettorali, ma non affrontano i problemi globali attuali suindicati e quindi se non vengono cambiate inevitabilmente porteranno ad un aggravamento della crisi economica e sociale e all’isolamento economico e politico dell’Italia.
LA FIDUCIA DELLE IMPRESE E’ A LIVELLI MINIMI
Il confronto elettorale con la destra politica
La destra estrema propone una politica economica di stampo assistenzialista, neo-statalista e dirigista. Essa propone un “non-modello” di politica industriale, che distorce la concorrenza, crea una relazione parassitaria tra pubblico e privato e riducendo le imposte in modo regressivo, aumenta solo i profitti individuali di alcuni, ma non spinge in alcun modo gli investimenti e la crescita della produttività (ferma da oltre 25 anni) e dell’occupazione nel sistema produttivo complessivo del Paese. Del tutto demagogica va considerata la proposta di una manovra da 50 miliardi di maggior deficit pubblico, essenzialmente per riduzioni fiscali, che farebbe aumentare gli interessi sul debito pubblico, determinerebbe una crisi finanziaria, fallimenti di imprese e accrescerebbe l’isolamento internazionale dell’Italia. Misure meramente rivendicative-redistributive come la quota 100 delle pensioni e le riduzioni fiscali non “flat” per tutti, ma molto discrezionali per specifici gruppi sociali di riferimento, hanno mirato solo a costruire un consenso elettorale di breve termine.
L’appello per un nuovo programma di governo di tutti
Riteniamo che i punti seguenti indichino osservazioni e integrazioni che possono essere utili nella riformulazione in chiave di provvedimenti operativi delle priorità politiche del nuovo Governo, come elementi forti di discontinuità dalle politiche precedenti degli ultimi 15 anni, di tipo neo-liberista e di austerità e di tipo populista-demagogico.
Nell’appello “Un nuovo programma per un governo di tutti contro il nazionalpopulismo”, che un gruppo di economisti (Riccardo Cappellin, Leonardo Becchetti, Marco Bellandi, Roberto Camagni, Enrico Ciciotti, Enrico Marelli, Luciano Pilotti) ha lanciato su Change Org già il 13 agosto (e firmato da centinaia di esperti) alla presentazione della mozione di sfiducia al Governo, abbiamo indicato:
5 NO:
- NO ad aumento dell’IVA e alla austerità;
- NO a FLAT Tax e a elusioni fiscali per chi ha di più;
- NO a condoni fiscali, sprechi e bonus;
- NO al razzismo e machismo;
- NO all’isolamento internazionale dell’Italia
5 SI:
- SI a maggiori investimenti, innovazione e produttività delle imprese;
- SI a riduzione degli orari di lavoro, maggiore tempo libero e salario minimo;
- SI a più case in affitto, più investimenti in trasporti e reti efficienti e migliore qualità della vita nelle città;
- SI a maggiori consumi privati e comuni, maggiori investimenti in istruzione, nella ricerca, nella cultura e nella sanità pubblica;
- SI a un ambiente naturale migliore nel territorio
Questi dieci punti sono tra loro strettamente collegati in una prospettiva di tipo strategico e ci sembrano rispondere in modo coerente alle sfide internazionali che sono sopra indicate, oltre a essere coerenti con gli sviluppi recenti degli studi in campo economico e sociale a scala internazionale.
Queste diverse priorità indicano una nuova strategia di crescita dell’economia italiana che può essere proposta dal Governo italiano alla Commissione Europea come modello per uno cambiamento delle politiche economiche europee. Infatti, anche in Europa nei prossimi mesi ci saranno grandi cambiamenti dopo il fallimento delle politiche di austerità e gli errori di una politica monetaria che tarda ad espandere l’offerta di moneta e verrà nominata una nuova Commissione che sicuramente cambierà le politiche passate.
Stimolare la crescita della domanda aggregata in Italia e nella Unione Europea
Innanzitutto, è necessario espandere la domanda interna di fronte ad una continua riduzione del commercio mondiale. In primo luogo, è opportuno partire dai bisogni dei cittadini per rilanciare l’economia italiana e non dalla riduzione delle tasse. In particolare, una nuova politica economica che miri ai giovani e al sud come nuova frontiera dello sviluppo economico italiano. La continua riduzione dei tassi di interesse sui mercati finanziari e le politiche monetarie espansive, che stanno per essere adottate anche in Europa creano condizioni finanziarie, simili a quelle della Spagna dove ci si finanzia fino a due anni emettendo titoli pubblici a tassi reali negativi. In secondo luogo l’emergenza climatica rappresenta la sfida più urgente che richiede una trasformazione del sistema produttivo. In terzo luogo, è necessario un grande sforzo di investimento privato e pubblico su innovazione e conoscenza, per agire da un lato sulla produttività delle imprese e dall’altro sull’orientamento della domanda dei cittadini verso nuovi modelli di vita e di consumo.
La crescita economica è inadeguata sia in Italia che in Europa e il problema economico e sociale fondamentale risiede nell’insufficienza della domanda aggregata a livello sia nazionale che europeo. Per questo i temi fondamentali per l’economia sono quelli del rilancio degli investimenti pubblici e degli investimenti delle imprese private, in impianti e costruzioni, e anche dei consumi privati e pubblici. Questo aumento della domanda aggregata deve mirare al miglioramento della qualità ambientale nel territorio e nelle città, che sono l’ambiente di vita dei cittadini, e allo sviluppo dell’innovazione e della conoscenza, che rendono possibile un continuo aumento della produzione e della occupazione. Un aumento della domanda trainerà gli investimenti che sono legati ai bisogni collettivi sempre più importanti per i cittadini e che potranno avere un’importanza economica molto significativa in termini di occupazione e di produzione, come a) alimentazione; b) alloggio; c) mobilità e logistica; d) cultura e tempo libero e media; e) salute, assistenza sociale e istruzione; f) ambiente, risparmio energetico e assetto del territorio.
La pluralità e la sostenibilità circolare delle filiere manifatturiere orientate all’ innovazione sono anche le condizioni fondamentali per la creazione di valore economico di lungo periodo e per promuovere inclusività e giustizia sociale. Infatti, solo il cambiamento radicale di politiche e approcci economici consentiranno di costruire una società migliore e più inclusiva dentro un capitalismo più partecipativo e democratico.
Avviare una “nuova strategia industriale” in Italia e in Europa
E’ necessaria un moderna strategia industriale che è diversa dal salvataggio delle imprese in crisi (ILVA e Alitalia per esempio e il centinaio di tavoli di crisi aperti da anni al MISE) e che invece deve mirare a sostenere i “campioni nazionali”, come in Germania e Francia e che in Italia sono le poche imprese di successo nell’alimentare, turismo, meccanica di qualità ecc. molto ambite dai fondi finanziari esteri. Ma è anche necessario che una nuova strategia industriale miri ad innalzare la qualità media delle nostre Piccole e Medie Imprese e delle filiere produttive nazionali e transnazionali e dei distretti produttivi locali, per un rilancio e rinnovamento anche del Made-in-Italy con un più robusto Make-by-Italy, basato sul miglioramento delle conoscenze e delle competenze, certificando prodotti, componenti e promuovendo idee e progetti industriali provenienti dall’integrazione di imprese con il mondo della ricerca e delle università e nelle piattaforme e network dei territori italiani.
La politica industriale non deve solo espandere le capacità di offerta delle imprese riducendone i costi e aumentando la produttività ma anche deve stimolare la domanda da parte dei consumatori verso nuove produzioni che creano nuovi mercati e che trainano lo sforzo di investimento delle imprese, diversificando il sistema produttivo complessivo.
Infatti, gli investimenti dipendono dalla capacita di innovazione delle imprese e dalle attese di crescita dei fatturati e dai profitti futuri, e sono compatibili con l’esistenza di tasse giuste sui profitti o i salari, ma anche richiedono adeguate infrastrutture e servizi pubblici. Pertanto, lo Stato deve prioritariamente investire in innovazione nelle imprese e cultura e conoscenza dei cittadini. Conviene aiutare le imprese se esse innovano e investono e non dare aiuti per la riduzione dei loro costi, come il cuneo previdenziale, che non incidono sulla crescita futura delle imprese. E’ necessario spingere le imprese non a mirare alla riduzione dei costi ma all’uso più efficace delle risorse umane, tramite la diversificazione in nuove produzioni e un maggiore investimento, nella riqualificazione delle capacità umane e nella progettazione per sviluppare nuove produzioni. Abbassare le tasse sulle imprese non basta per rilanciare la crescita ed invece comporta un costo di opportunità dato che in questo modo si diminuiscono i fondi esplicitamente diretti al sostegno pubblico all’investimento delle stesse imprese. In presenza di scarse risorse di bilancio si deve dare la priorità alla crescita e non al sostegno di imprese poco efficienti. Analogamente conviene dare incentivi alle imprese per abbattere i capannoni inutilizzati e costruire case da affittare, invece che ridurre l’IMU e tenerci per secoli scheletri industriali e ridurre le entrate fiscali.
Una nuova strategia industriale dovrebbe essere orientata verso i cittadini e il territorio ed essere adottata: a) con le persone come lavoratori attivi in un sistema di produzione territoriale, b) per le persone come consumatori e per le loro esigenze nel territorio ove vivono, c) con i cittadini, che hanno valori e un’identità comuni e devono poter partecipare a decisioni collettive in un determinato territorio.
Il territorio è il quadro politico prioritario per la nuova strategia industriale europea in quanto la vita delle persone dipende da un ambiente naturale e urbano esterno ben conservato. Nuovi attori e movimenti civili sono entrati nell’arena politica proponendo visioni innovative della comunità. Le grandi aree metropolitane, le reti di medie e piccole città e le aree rurali e periferiche, su tutto il territorio europeo, indicano il ruolo cruciale per il futuro dell’UE di azioni comuni per la promozione di progetti a tutela dell’ambiente naturale, valorizzando ” beni comuni “per i cittadini nelle varie città e comunità locali e investimenti in infrastrutture materiali e immateriali. Questi nuovi investimenti promuoveranno produzioni moderne e nuove assunzioni qualificate. In effetti, i cittadini e le loro condizioni di vita rappresentano il fondamentale “bene comune” europeo che promuove il rafforzamento della Comunità europea.
La sinergia tra attori politici e sociale diversi da forza alla azione di governo
E’ importante la capacità di fare leva sul legame virtuoso tra la fiducia (dei consumatori e degli investitori economici e finanziari), la crescita economica (stimolata dall’innovazione, ricerca e co-progettazione dalla produttività e dalle competenze delle persone e delle imprese) e lo sviluppo (riduzione diseguaglianze e giustizia distributiva, istruzione, qualità ambientale e green/blu/circular economy).
La logica della competizione elettorale fine a sé stessa, della polemica su temi rilevanti (immigrazioni) ma non strategici per lo sviluppo immediato e a medio termine del Paese o dell’ostruzionismo e del “tanto peggio tanto meglio” genera instabilità politica, instabilità finanziaria, sfiducia delle imprese e riduzione degli investimenti e dell’innovazione.
Un governo di coalizione è auspicabile. La diversità tra movimenti politici culturali tra loro diversi per storia, valori e anche priorità programmatiche può non essere un fattore di debolezza, ma invece arricchire il significato politico di una coalizione di governo e può essere un punto di forza per una strategia comune tra i diversi partiti che, come sopra indicato, miri a una migliore qualità ambientale, a un maggiore sforzo in innovazione, ricerca e progettazione e a una maggiore crescita della domanda aggregata interna in investimenti e consumi, pur assicurando la stabilità finanziaria e la competitività delle esportazioni.
L’arrogante autoreferenzialità dei partiti porta a occuparsi solo del bilancio dello Stato e non si interessa allo sviluppo del sistema produttivo a medio termine. In una società sempre più frammentata per fasce di modelli culturali, età, sociali, genere, regioni, ecc. non è possibile il cambiamento sociale e l’innovazione tecnologica e produttiva senza una maggiore apertura dei partiti al confronto organizzato (la concertazione e non riunioni estemporanee a Palazzo Chigi o nei Ministeri) e un lavoro comune con il Sindacato e con le Associazioni delle imprese ed anche con il mondo della ricerca e delle Università.
Il cambio di marcia nell’impostazione della politica economica in Italia e in Europa può essere effettuato solo con una mobilitazione di idee e di proposte di modalità pratiche di intervento che debbono provenire sia dal livello nazionale che dal livello europeo. Vi è, dunque, necessità di un confronto serrato, proattivo e rispettoso delle posizioni diverse per giungere alle soluzioni possibili per garantire il diritto al lavoro, ai servizi essenziali per tutti i cittadini europei. E’ necessaria l’organizzazione di un sistema di confronto politico e la costruzione graduale di una visione condivisa sulle idee e sulle proposte presentate dai cittadini e dalle loro associazioni, che deve essere effettuato a livello nazionale, ma anche con tavoli non “di crisi” ma “di sviluppo” in tutte le Regioni italiane e nelle città, sia nel nostro paese e che a livello europeo.
E’ necessario rafforzare la fiducia del sistema imprenditoriale privato nel Paese chiamando associazioni e sindacati a un grande sforzo collettivo per il rilancio degli investimenti produttivi e riprendere il metodo della “concertazione”, che non deve essere di facciata o fatta di incontri e manifestazioni senza il seguito di un lavoro tecnico comune per il disegno delle politiche concordate.
In particolare, come è stato indicato persino dal nuovo Presidente della Commissione Europea, è opportuno studiare un sistema di salario minimo che riduca i casi più eclatanti di sfruttamento e concorrenza sleale. Come in altri paesi, è necessario sperimentare modelli organizzativi nuovi che riducano in modo selettivo le ore di lavoro, che storicamente sono continuamente diminuite e vanno di pari passo con il PIL procapite, stimolino una maggiore produttività e maggiori salari, consentano ai lavoratori maggiore tempo libero, stimolino la crescita della domanda e dei consumi privati e pubblici e quindi stimolino nuove produzioni moderne e maggiore occupazione, soprattutto di giovani e donne in mestieri nuovi.
Il soddisfacimento dei diritti e, nell’altra direzione i “diritti-doveri”
dei cittadini o in altri termini la civicness
o la responsabilità sociale, rappresentano la base fondamentale per l’esercizio
diffuso della democrazia, che non è garantita esclusivamente dal diritto e
dall’esercizio del voto, ma anche dal confronto sistematico tra le istituzioni
pubbliche nazionali con il livello europeo e il livello regionale (cfr. il
bilanciamento costituzionale dei poteri e multi-level
governance) e con le rappresentanze degli attori sociali. Soprattutto è
necessario un confronto diretto sul territorio tra i rappresentanti eletti nel
Parlamento e i cittadini e le loro associazioni, che sono spesso più
rappresentative delle sedi di partito.
L’Italia abbia un ruolo attivo nel promuovere un cambiamento delle politiche europee
Di fatto, il soddisfacimento dei servizi e dei diritti essenziali del cittadino non è solo una questione nazionale, ma anche una grande questione europea e già questo ci deve far comprendere come la gestione della politica nazionale e di quella europea debbano procedere di pari passo.
In conclusione, solo un governo italiano più credibile di quelli passati può spingere anche l’Europa a cambiare passo, e non solo a ottenere temporanee deroghe a regole europee che sono da rivedere insieme agli altri Paesi. Un nuovo governo italiano può e deve dare il suo contributo perché la UE orienti in modo nuovo la propria politica economica e spingere ad un cambio di passo strutturale, che non sia semplicemente un allentamento dei vincoli di bilancio, ma comprenda invece una riforma delle politiche monetarie, che miri anche alla crescita e non solo alla stabilità del sistema bancario, nuove regole di bilancio pubblico di tipo anticiclico, nuove politiche del fisco armonizzate a scala europea e un ri-orientamento delle politiche strutturali/industriali/regionali.
Riferimenti
Cappellin R., Becchetti L., Camagni R., Ciciotti E., Garofoli G., Marelli E., Pilotti L. (2019), Un nuovo programma per un governo di tutti contro il nazionalpopulismo, appello al Parlamento italiano su Change Org.