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Brand Hate. La Customer Epxerience fa la differenza

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La parola magica per la Customer Experience è, in definitiva, empatia. “Non fare al cliente quello che non vorresti fosse fatto a te” e sicuramente guadagnerai molti brand evangelist.

Si dice che certe cose o si amano o si odiano, e lo stesso vale anche per il rapporto brand-cliente. In un mondo sempre più arrabbiato e assuefatto all’odio, sempre più spesso i brand si trovano a dover affrontare la rabbia dei propri clienti.

Ma quali strategie si possono mettere in campo per evitare di diventare il bersaglio del cosiddetto Brand Hate? Per rispondere, è importante definire da dove nasca l’odio per le aziende.

Lee, Motion e Conroy, nella loro ricerca del 2009 sul Brand Hate, hanno definito le tre motivazioni alla base di ogni manifestazione di odio. La prima deriva dall’esperienza negativa di un prodotto o servizio. La seconda è legata all’identità del brand, talvolta non in linea con quella del pubblico. La terza, invece, è correlata alle questioni morali che nascono dall’operato dell’azienda e che possono entrare in conflitto con gli ideali dei consumatori.

Quello che ci interessa analizzare oggi è il primo caso, riferito all’esperienza. Le altre due, infatti, oltre a condurre principalmente a comportamenti di abbandono o allontanamento dal brand più che all’odio vero e proprio, possono avere anche un’implicazione positiva.

Se infatti è vero che comunicare di appartenere a una certa categoria identitaria fa nascere un rifiuto da chi ne è escluso, allo stesso tempo, però, può essere il fattore determinante per diventare il Loved Brand di chi a quella categoria appartiene (ad esempio Harley Davidson è un caso di Loved/Hated Brand).

Allo stesso tempo, quando parliamo di “questioni morali” possiamo intendere sia il caso di Autostrade per l’Italia, nei mesi successivi al crollo del Ponte Morandi, sia quello di Nike, che ha scelto di assumere come proprio ambassador Colin Kaepernick, giocatore di football americano che si è ritrovato senza squadra a causa delle sue posizioni contro il comportamento violento della polizia nei confronti della comunità afroamericana.

Se nel primo esempio abbiamo un caso di Brand Hate vero e proprio, nel secondo Nike ha sì rinunciato ad una fetta consistente del suo pubblico (che in certi casi ha riversato il suo odio bruciando i prodotti), ma ha anche guadagnato il rispetto e l’ammirazione di milioni di persone in tutto il mondo, diventando Loved Brand per riflesso.

Questo dualismo, quando ci troviamo a vivere in prima persona un’esperienza negativa riferita ad un brand, non può esistere. È sì vero che non tutte le esperienze terribili portano all’odio, ma sicuramente nessuna può portare all’amore.

In definitiva, una buona Customer Experience è il principale discriminante.

Come si può, quindi, evitare di diventare il bersaglio dell’ira e del disprezzo dei propri clienti? Offrendo un’esperienza di valore, in cui il benessere del pubblico sia il centro dell’offerta. Banale, no? Oggi infatti viviamo in una società che, grazie al digitale, ha ormai capito che anche la singola persona può esercitare un grandissimo potere sulle aziende; ma sono ancora tanti i soggetti che, magari protetti dall’idea di “essere indispensabili”, si curano ben poco delle necessità dei propri clienti.

Rientrano in questa categoria tutte le aziende che in qualche modo hanno il monopolio di una certa fetta del mercato, o che offrono prezzi così bassi rispetto alla concorrenza da diventare unici interlocutori di chi non può permettersi altre opzioni. Ma in un mercato che è costantemente in evoluzione, con nuovi soggetti che si affacciano ogni giorno, un comportamento simile è inequivocabilmente poco lungimirante.

La guerra tra tassisti e Uber è esemplare. Nel momento in cui un soggetto esterno ha penetrato il mercato con un’offerta più economica e migliore sotto molti punti di vista, il monopolio è saltato e la categoria ha dovuto cambiare dalle fondamenta.

Un Hated Brand non può sopravvivere ai cambiamenti del mercato proprio perché, se ci fosse una possibilità di scelta, quella scelta ricadrebbe su qualsiasi altro soggetto.

Lungimirante è, invece, chi diventa il Loved Brand di molti; se anche dovesse cambiare il mercato, i suoi clienti più fedeli resterebbero con lui, perché l’amore non vuol sentire ragioni, soprattutto riguardo a prezzo o funzionalità.

La parola magica per la Customer Experience è, in definitiva, empatia. “Non fare al cliente quello che non vorresti fosse fatto a te” e sicuramente guadagnerai molti brand evangelist.

Photo by Stanislav Schmidt on Unsplash

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