Nei giorni scorsi il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha dato il via libera all’autorizzazione ai test in strada delle auto a guida autonoma per diverse città, tra cui Parma e Torino. Un passo in avanti per la sperimentazione di questa nuova forma di mobilità, di cui ovviamente si dovrà valutare il grado di sicurezza prima di tutto e la sua capacità di migliorare la viabilità urbana e l’esperienza stessa di mobilità.
In Europa i veicoli a guida autonoma daranno vita ad un mercato stimato da P&S Intelligence in 191,6 miliardi entro il 2030, con un tasso di crescita annuo del 18,4% (Carg 2023-2030).
Sempre entro il 2030, per le strade europee potrebbero girare più di 4 milioni di veicoli a guida autonoma.
La fetta più di grande di questo mercato l’ha conquistata la Germania nel 2018, con oltre il 20% delle quote. Un dato conseguenza della forte concentrazione in Germania di aziende manifatturiere a livello di industria 4.0 in grado di introdurre livelli di innovazione e produzione più alti che in altri Paesi.
Tra il 2010 ed il 2017, in tutto il mondo sono stati depositati più di 5.800 brevetti per veicoli a guida autonoma, di cui il 51% in Germania.
Parlare di auto a guida autonoma significa anche parlare di auto connesse in rete. Questa tipologia di veicoli è già in strada, tanto che, secondo l’Aniasa (l’Associazione che all’interno di Confindustria rappresenta il settore dei servizi di mobilità) e la società di consulenza strategica Bain & Company, un italiano su tre oggi ne guida una.
Dunque, il 29% degli automobilisti italiani guida già un’auto connessa, con dispositivi in grado di scambiare informazioni avanzate con altri sistemi (non basta il solo bluetooth). Il 59% dichiara di non averla ancora, ma intende dotarsene in futuro; solo il 12% sostiene di non volerla.
Ad attirare il maggiore interesse degli automobilisti, secondo l’Aniasa, sono però le caratteristiche legate alla sicurezza: prime fra tutte la localizzazione in caso di emergenza ed in caso di furto (entrambe selezionate dal 14% del campione), seguite dalla navigazione evoluta e dalla connettività con le smart roads (entrambe all’11%). Circa l’80% della popolazione censita è disponibile a pagare un sovrapprezzo (il 37% fino a 500 euro) per avere queste funzionalità, sia una tantum al momento dell’acquisto, sia in modalità di abbonamento.
Lo studio valuta che il mercato di queste auto (connected cars) abbia già oggi raggiunto un valore globale pari a 60 miliardi di euro, con una crescita calcolata nell’ordine del +260% nei prossimi otto anni, mentre entro pochi anni, massimo 3-4, avremo sulle strade di tutto il mondo non meno di 125 milioni di auto connesse in rete.
Dati personali, li vogliamo scambiare o no?
Guidare un’auto connessa in rete significa anche scambiare continuamente dati in tempo reale con le infrastrutture stradali, con i fornitori di applicazioni, con i produttori del veicolo e gli sviluppatori. Un ecosistema di informazioni in crescita esponenziale con cui dobbiamo fare i conti in termini di privacy e sicurezza.
A quanto pare, gli automobilisti sembrano ben disposti a condividere dati che portino benefici pratici e tangibili, come l’assistenza stradale, la manutenzione predittiva, la riduzione dei premi assicurativi, la diagnostica remota del veicolo: in tutti questi casi, un 50% è “abbastanza disposto” e un 20-30% è “molto disposto” alla condivisione.
Il discorso cambia quando si tratta dei dati personali, come i dati del telefono/rubrica o i dettagli dell’infotainment, vero tabù per qualsiasi forma di condivisione: oltre il 70% ritiene che i propri dati debbano essere accessibili solo per un determinato lasso di tempo. I principali timori che si celano dietro questa richiesta riguardano diversi aspetti: non è chiaro chi ne entri in possesso (75% del campione), l’auto potrebbe essere hacherata (54%), privacy a rischio (43%) e ben 7 su 10 ritengono che la legislazione attuale non sia sufficiente a tutelare la privacy dei consumatori.