“Per Apple la tutela dei dati personali non è un lusso riservato a pochi”. Lo ha detto Craig Federighi, a capo della divisione software di Cupertino, in un’intervista all’Independent in cui ha risposto alla critica lanciata venti giorni fa dal Ceo di Google, Sundar Pichai.
In un intervento sul New York Times, Pichai aveva scritto che “la privacy non può essere un bene di lusso offerto solo alle persone che possono permettersi di comprare prodotti e servizi costosi”. La frase era stata interpretata come una stoccata all’indirizzo di Apple, che ora con Federighi ha rispedito al mittente la frecciatina.
“Da un lato è gratificante” vedere che altre compagnie, “negli ultimi mesi”, si sono impegnate sulla privacy, ma il tema è “più profondo”, e non bastano “un paio di mesi e un paio di comunicati stampa” per affrontarlo, ha detto Federighi. “Bisogna guardare fondamentalmente alle culture della compagnia, ai valori e al modello di business. E queste cose non cambiano da un giorno all’altro”.
Infatti, non sono di default le ultime modifiche annunciate da Google per proteggere i dati degli utenti, come la possibilità di cancellare i dati di navigazione sul web e su Google Maps, “ma gli utenti devono dedicare tempo e concentrazione alle modifiche. E sappiamo che spesso non ci si mettono nemmeno”, fa notare il Corriere della Sera a Kent Walker, vicepresidente per gli affari globali di Big G, che risponde così: “È vero, funziona così. Stiamo cercando un equilibrio fra le diverse esigenze. Le persone trovano utile che Google Maps sappia dove sono la loro casa e il loro ufficio, ma devono poter decidere altrimenti. L’obiettivo è fornire prodotti di qualità con sempre meno dati possibili”. Meno dati, dunque, ma sempre nostri dati personali e big data su cui si fonda il business di Google, ma anche di Facebook&Co.
Apple, infine, ha sottolineato, che vuole portare i sui prodotti al più alto numero di persone possibile, e questi prodotti “certamente non sono solo di lusso. Crediamo che una bella esperienza di prodotto sia qualcosa che tutti dovrebbero avere, e quindi aspiriamo a svilupparla”.
Perché ora Apple e Google (e anche Facebook) si sfidano a “colpi” di privacy e non più a chi ha realizzato lo smartphone con le “migliori prestazioni di sempre” o del software più utile per il lavoro e la vita privata? Perché la protezione dei dati è diventata, finalmente, grazie al GDPR, il valore aggiunto che guida il consumatore alla scelta. La privacy oggi viene prima delle caratteristiche del software e dell’hardware. E Apple l’ha capito prima di tutto. Basta guardare la sua maxi-pubblicità, al Ces di Las Vegas, sul padiglione di Google e sul suo smart speaker Google Home: “Quello che succede sul tuo iPhone resta sul tuo iPhone”, con richiamo al motto “What happens in Vegas, stays in Vegas”.