Google: condannata in Australia per pubblicità ingannevole mentre prosegue l’espansione in Cina

di Raffaella Natale |

La web company ancora nel mirino delle Autorità ma, nonostante le difficoltà giudiziarie, va avanti come un treno anche in Cina, dove le tensioni col governo di Pechino sono ormai note. Obiettivo: il mercato in pieno boom della pubblicità su device mobili

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Google Cina

Altro duro colpo per Google che, in attesa della pronuncia dell’Antitrust Ue per sospetto abuso di posizione dominante sul mercato della ricerca e della pubblicità, viene intanto condannata dalla Corte federale australiana per aver tenuto una condotta “fuorviante e ingannevole“.

Il caso riguarda i link sponsorizzati che appaiono a margine dei risultati di ricerca online.

La Corte ha accolto un appello dell’ente regolatore della concorrenza, secondo cui quattro compagnie – Honda, Harvey Travel, Alpha Dog Training e la rivista Just 4×4 – sarebbero state danneggiate dai risultati delle query, perché agli utenti che effettuavano ricerche su di loro apparivano offerte pubblicitarie che indirizzavano verso siti rivali.

 

Intanto la web company ha informato che continuerà a investire in Cina, nonostante le difficili relazioni con il governo di Pechino, concentrandosi sul mercato in piena espansione della pubblicità su device mobili.

Nel corso di un’intervista telefonica durante una visita a Taiwan, il responsabile di Google per l’Asia, Daniel Alegre, ha informato che la compagnia farà da tramite tra le società cinesi, specie le PMI, e i loro potenziali clienti all’estero.

Non abbiamo lasciato la Cina“, ha insistito Daniel Alegre. “Siamo sempre presenti a Pechino, Shanghai e Canton, dove abbiamo centri di ingegneria di rilievo, una rete di vendita in continua crescita e dove le opportunità offerte dal mercato dei dispositivi mobili crescono più in fretta del previsto”.

 

Nel 2010 Google ha spostato i propri server cinesi a Hong Kong, dopo essere stata vittima di un cyber-attack, ordinato probabilmente dal governo di Pechino.

Già all’epoca dei fatti la società aveva fatto sapere chiaramente che non avrebbe sottoposto alla censura i risultati del suo motore di ricerca. Dichiarazione che ha inasprito ulteriormente le tensioni politiche tra Stati Uniti e Cina.

Si apprende intanto che sono più che quadruplicate le cifre di Google Art Project – che rende disponibili opere in alta definizione con un solo click. Oggi sono  151 i musei in 40 paesi, oltre 6.000 artisti e più di 32.000 opere. Al lancio un anno fa il servizio contava 17 musei in 9 Paesi. Al progetto ha aderito pure la Casa Bianca. Per l’Italia, al momento, ci sono gli Uffizi di Firenze e i Musei Capitolini di Roma.

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