Evidentemente Huawei non rappresenta un pericolo imminente per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, perché il ban non scatta subito, ma tra 90 giorni, e la sospensione potrebbe essere anche prorogata. Tre mesi per permettere ai carrier Usa di scegliere per le infrastrutture critiche un fornitore di tlc alternativo a quello cinese, che può continuare a fornire il supporto agli operatori statunitensi sia per i dispositivi mobili sia per le reti a banda larga. Questa è l’ultima decisione presa dal Dipartimento del commercio, lo stesso che ha inserito la società di telecomunicazioni e le sue 68 affiliate non statunitense nella lista nera, dopo che Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo con cui ha dichiarando l’emergenza tecnologica nazionale.
Se c’è davvero un’emergenza tecnologica nazionale o un pericolo imminente per la sicurezza nazionale “si tagliano subito i ponti” con il nemico, così non avviene tra Huawei e Stati Uniti, che forse si stanno rendendo conto che il bando può creare molti più danni agli Usa e non al principale competitor nel mercato degli smartphone e del 5G. In assenza ancora della prova schiacciante che dimostri che il colosso di Shenzhen agisca come agente di spionaggio della Cina, il ban, non ancora effettivo, può essere letto solo in chiave di geopolitica, come il tentativo di frenare le ambizioni economiche della principale società di tlc della Cina, principale competitor degli Usa nella Tech war.
De Vecchis (Huawei Italia): “Un dibattito senza fondamento, il problema è geopolitico”
“Un dibattito basato su assunti senza fondamento, il problema è geopolitico”, ha dichiarato al Sole24Ore, Luigi De Vecchis, presidente di Huawei Italia: “E il prezzo da pagare rischia di essere il ritardo nella digitalizzazione dell’Europa e dell’Italia”, ha fatto osservare De Vecchis, che, oltre a non escludere un sistema operativo realizzato da Huawei per far fronte alla sfida lanciata da Google, sollecita il Governo ad approvare definitivamente la Golden Power anche per il 5G: “C’è una legge sulla Golden Power appunto per disciplinare la sicurezza dei prodotti sulla base del Cybersecurity Act europeo. La si applichi. L’importante è non ritardare le risposte ai processi di notifica. Altrimenti ci sarebbe una discriminazione di fatto”. Il messaggio del presidente di Huawei Italia è chiaro, non abbiamo paura di regole più stringenti, anche perché, come ha spiegato a Key4biz in questa videointervista, “Huawei è un fornitore di apparati e quelli per il 5G vengono progettati e realizzati in quello che è il più grande centro di ricerca e sviluppo del mondo, il 5G-PPP. Per cui noi non possediamo dati, che sono di proprietà degli operatori di telecomunicazioni, i quali, tra l’altro, con la rete 5G avranno a disposizione chiavi di crittografia molto complesse e difficile da de-crittogrifare. Dunque anche se volessimo non potremmo proprio prendere i dati”.
Catherine Chen, vicepresidente di Huawei: ‘Gli Usa mi ricordano Pinocchio. Non abbiamo backdoor e loro non hanno prove”
Ritorniamo allo scontro negli Stati Uniti con Huawei. “Siamo trasparenti e affidabili, gli Usa su di noi mentono”, ha dichiarato al Corriere della Sera la vicepresidente di Huawei, Catherine Chen, componente del Consiglio di amministrazione e al timone delle relazioni istituzionali. Chen ha spiegato che Huawei ha “passato diverso tempo a cercare un canale con il governo degli Stati Uniti. Volevamo mostrare loro che tipo di azienda siamo, sperando che i nostri sforzi potessero risolvere i malintesi. Abbiamo persino promesso che, se avessero avuto dubbi, avremmo cercato di trovare soluzioni per affrontare i rischi più rilevanti. Si sono sempre rifiutati”.
“Gli Stati Uniti dovrebbero presentare prove a sostegno delle loro accuse”, ha aggiunto la vicepresidente di Huawei, “altrimenti si tratta di un comportamento menzognero. Credo che il loro naso stia crescendo sempre di più, ricordano Pinocchio”.
Alla domanda del giornalista “Si sente di escludere la presenza di backdoor sui vostri apparati? E nel caso ci fossero sareste obbligati dal Partito comunista a diffondere dati sensibili?”
Chen ha così risposto: “Ne siamo sicuri. Negli ultimi decenni abbiamo sostenuto test guidati dal governo del Canada, del Regno Unito e della Germania. I test del Regno Unito sono disponibili online e la conclusione è che i router di Huawei non contengono backdoor. Ci sottoponiamo a test di terze parti non governative. Sulla seconda domanda le ricordo ancora che siamo un’azienda indipendente. E comunque diversi alti esponenti del governo cinese hanno ripetuto pubblicamente di non aver mai chiesto di installare backdoor”.
Infine, sul tema 5G-sicurezza la vicepresidente di Huawei ha spiegato che “Il governo degli Stati Uniti ha affermato che tutte le compagnie cinesi non sono sicure. Questo approccio non funziona. L’opinione pubblica potrebbe presumere che tutto sia sicuro finché le società cinesi saranno escluse dalla rete 5G. Questa tesi non è corretta. Huawei non ha praticamente nessuna presenza nelle reti statunitensi, ma negli ultimi anni ci sono stati molti attacchi hacker negli Usa”.