‘Nativi digitali’ vs ‘Immigrati digitali’: ecco come smartphone e tablet stanno ‘ricablando’ il nostro cervello

di Alessandra Talarico |

I nativi digitali usano diversi dispositivi contemporaneamente con un coinvolgimento molto limitato. Usano i media per regolare il loro umore e appena sono stanchi o annoiati, rivolgono la loro attenzione a qualcos’altro.

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Un nuovo scontro generazionale avanza tra i ‘nativi digitali’ e gli ‘immigrati digitali’: i primi sono quei consumatori cresciuti con le tecnologie mobili come parte integrante delle loro vite; i secondi sono invece le persone che hanno imparato a convivere con queste tecnologie da adulti.

Secondo uno studio condotto da Time Inc, i ‘nativi’ digitali spostano la loro attenzione da una piattaforma all’altra 27 volte in un’ora e sperimentano un minor numero di ‘alti e bassi emotivi’ rispetto alla generazione precedente.

 

Lo studio – intitolato “A Biometric Day in the Life” – ha inteso aprire uno squarcio sui cambiamenti innescati dalla proliferazione dei dispositivi mobili e delle piattaforme digitali sulle abitudini di consumo dei media, combinando i dati biometrici con quelli catturati da telecamere poste nelle case delle persone che hanno partecipato all’esperimento.

I risultati sono stati utilizzati per capire il livello di coinvolgimento di generazioni diverse con le varie piattaforme media. Un’analisi di una certa importanza per una società media multipiattaforma come Time, che possiede brand come TIME, PEOPLE, Sports Illustrated e InStyle ed è quindi estremamente interessata a comprendere come attrarre l’attenzione delle giovani generazioni.

 

Un compito non certo dei più facili dal momento che i nativi digitali usano diversi dispositivi contemporaneamente e quindi il loro coinvolgimento è molto limitato.

Di conseguenza, sottolinea lo studio, “usano i media per regolare il loro umore: appena sono stanchi o annoiati, rivolgono la loro attenzione a qualcos’altro”.

A casa, i più giovani tendono a non staccarsi mai dai loro device: il 65% li porta con sé da una camera all’altra, contro il 41% degli adulti, e raramente stanno a più di un braccio di distanza dal loro smartphone.

Più della metà (54%) dei nativi digitali dice “preferisco mandare un messaggio più che parlare a una persona”, contro il 28% degli adulti. Un messaggio chiaro, quindi, per i pubblicitari che vogliono avvicinarsi a questa generazione.

 

Emerge quindi dallo studio che mentre “gli immigrati digitali sono intuitivamente lineari – vogliono, cioè,  vedere l’inizio, la metà e la fine di una storia – per i nativi, le storie hanno ancora bisogno di un inizio, di una metà e di una fine, ma loro li accetteranno in qualsiasi ordine”.

“I nativi digitali passano inconsciamente da una piattaforma all’altra e sono in grado di raccogliere diversi pezzi di una storia da mezzi diversi in qualsiasi ordine”, sottolinea Carl Marci, CEO e Chief Scientist di Innerscope Research.

 

Durante le 300 ore di monitoraggio, nativi digitali e immigrati digitali hanno indossato cinture biometriche che misuravano il loro coinvolgimento emotivo lungo tutto l’arco della giornata mentre attraverso l’uso di telecamere è stato monitorato quale medium o piattaforma stavano usando e quando hanno modificato la loro attenzione visuale.

 

Lo studio, sottolinea infine Marci, “indica una forte trasformazione nel tempo trascorso, nei modelli di attenzione visiva e nelle conseguenze emotive del moderno consumo dei media. Trasformazione che sta ‘ricablando’  è il cervello di una generazione come mai prima d’ora”.

“Scrittori e pubblicitari in questa era digitale dovranno affrontare un ambiente sempre più complesso e impegnarsi in maniera del tutto nuova per coinvolgere il pubblico di giovani consumatori”, ha concluso.

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