L'accordo

Web tax. Boccia (PD) ‘Lavoro OCSE è vittoria culturale, l’impianto è lo stesso della norma italiana del 2013’

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Boccia: “Il pagamento delle imposte dei giganti del web è semplicemente giustizia fiscale. Resta la soddisfazione di vedere come sia stato utilizzato lo stesso impianto e concetto di base della norma che il Parlamento italiano aveva varato già nel 2013”

Due giorni fa, 127 Paesi aderenti all’OCSE hanno votato un accordo di principio per l’introduzione dal 2020 di regole comuni per tassare i big dell’economia digitale. È quanto emerso dalla riunione di Parigi degli Stati facenti parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che dopo anni di confronto tra le parti hanno messo a punto un nuovo dispositivo per la web tax.

Il principio guida, su cui l’assemblea dell’OCSE tornerà a discutere a metà febbraio, è che questi grandi gruppi, specializzati in attività immateriali (e che per questo possono più facilmente ricorrere ai paradisi fiscali) siano tassati là dove realizzano effettivamente fatturato e utili.

Per calcolare le tasse che dovranno pagare si andrà oltre la sede ufficiale, prendendo in considerazione altri parametri, come ad esempio l’identificazione dei consumatori, la geografia dei consumatori e la localizzazione.

Le nuove regole OCSE dovranno ora essere approvate dai dirigenti del G20 (i Paesi più ricchi del pianeta più l’Ue), per poi essere adottate da ognuno dei 127 Stati aderenti all’Organizzazione.

Una vecchia idea che l’Unione europea vagheggia da tempo (senza mai trovare però un punto di sintesi), che ora potrebbe trovare nuova applicazione nella tassazione dei cosiddetti GAFA, acronimo inglese che sta per Google, Amazon, Facebook, Apple.

Commentando il risultato raggiunto in sede Ocse, il deputato del Partito Democratico, Francesco Boccia, ha espresso soddisfazione per l’accordo di principio: “Sulla proposta di web tax è stato fatto un ottimo lavoro, condiviso finalmente dalla stragrande maggioranza dei Paesi aderenti all’organizzazione, oltre che dai Paesi più popolosi e influenti a causa dei business digitali correlati come USA, Cina e la stessa India”.

Aggiungendo che il principio di base attorno a cui i 127 Paesi OCSE hanno trovato l’accordo, è lo stesso che stava alla base della norma votata dal Parlamento italiano nel 2013: “Resta la soddisfazione di vedere come sia stato utilizzato lo stesso impianto e concetto di base della norma che il Parlamento italiano aveva varato già nel 2013 per poi essere purtroppo fermata: le multinazionali del web devono pagare le tasse nei paesi in cui fanno business o erogano servizi. È una vittoria culturale”.

Su questo tema dopo anni di battaglie culturali e legislative siamo sul rettilineo finale e spero che l’Italia possa essere in prima linea indipendentemente dai colori politici della maggioranza. Il pagamento delle imposte dei giganti del web è semplicemente giustizia fiscale”, ha precisato Boccia.

La proposta italiana del 2013 era stata promossa proprio da Boccia.

La web tax prevista dal Governo Conte assume la forma di un prelievo pari al 3% sulle imprese che registrano ricavi complessivi non inferiori a 750 milioni e ricavi derivanti da servizi digitali superiori a 5,5 milioni. La tassazione si ottiene applicando il 3% all’ammontare dei ricavi tassabili realizzati in ciascun trimestre.

Una misura molto simile a quella che è stata definita nella Legge di Bilancio 2018  web tax transitoria, cioè l’opzione volontaria di accordi di tipo fiscale tra i colossi dell’economia digitale e il Fisco italiano

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