Il nostro Paese è sempre più diviso: un Nord che va verso l’Europa e un Sud che lentamente si sta desertificando. Non una desertificazione in termini climatici, o almeno non ancora, piuttosto uno svuotamento in termini sociali, culturali ed economici.
Il Sud si sta svuotando insomma.
Tra il 2008 ed il 2015, il saldo migratorio netto è stato di 653 mila unità: 478 mila giovani di cui 133 mila laureati, con le donne in misura maggiore rispetto agli uomini. A questi si accompagna una perdita di popolazione di 2 mila unità nella fascia di 0-4 anni, in conseguenza al flusso di bambini che si trasferiscono con i genitori.
Nel biennio 2016-2017, il nostro Meridione ha visto partire altre 150 mila persone, secondo l’ultimo Rapporto Svimez: “è come se sparisse da un anno all’altro una città meridionale di medie dimensioni”.
Complessivamente, negli ultimi 16 anni, hanno lasciato il Mezzogiorno circa 1.883.000 residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. Quasi 800 mila non sono tornati.
Il Rapporto stima che, se non si interviene in maniera radicale, nei prossimi 50 anni il Sud Italia potrebbe veder andar via più di 5 milioni di abitanti.
Perché accade e cosa fare? La risposta a questa domanda è lunga, ampia e articolata, ma possiamo sintetizzarla in tre parole: lavoro, infrastrutture e servizi.
In una condizione di “Cittadinanza limitata”, come la chiamano i ricercatori dello Svimez, a venire meno è proprio la tenuta sociale dei territori, perché viene a mancare tutto in termini di vivibilità dell’ambiente, di sicurezza, di adeguati standard di istruzione, di idoneità dei servizi sanitari e di cura per la persona adulta/anziana e per l’infanzia.
L’elettricità non è continua ovunque, la rete idrica è malridotta e senza adeguata manutenzione, le risorse si sprecano, internet non arriva ovunque, le aziende faticano ad investire in innovazione per tentare di rimanere competitive con il resto d’Europa, giusto per ricordare qualche altra criticità locale.
In un articolo pubblicato sul proprio account LinkedIn, Stefano Pileri, CEO di Italtel, avanza una riflessione molto interessante e ben centrata sul ruolo delle città, dei centri urbani di ogni dimensione, ma soprattutto dei più piccoli, che sono la maggioranza nelle Regioni del Sud e che possono, come i più grandi, rappresentare il vero motore dell’economia locale e dell’innovazione sociale.
Pileri propone di concentrarci sul concetto di smart city.
“La vera sfida è trasformare in città intelligenti i centri minori e contrastare lo spopolamento che colpisce molte nostre città, soprattutto al Sud. E’ possibile proporre un nuovo modello, la “città intelligente del Sud”, che grazie a tecnologie di sanità digitale, scuola digitale e smart working possa mantenere i giovani nei luoghi dove sono nati e cresciuti ed eviti la necessità dello sradicamento, dell’emigrazione”.
Un modello urbano come questo, innovativo, efficiente, a misura d’uomo, sostenibile e vivibile, è l’unico che possa contrastare non solo il fenomeno dello spopolamento, ma anche l’inquinamento, il degrado, la disoccupazione di massa, che poi si trasforma in manodopera per la criminalità organizzata, e molti altri aspetti negativi.
Pileri affronta tre aspetti strategici per una buona qualità della vita: servizi sanitari efficienti, una scuola che funzioni e un mercato del lavoro accessibile e rinnovato.
“Oggi la diffusione della banda ultralarga è più estesa al Sud che al Centro-Nord (grazie ai finanziamenti europei) e questo contesto favorevole va sfruttato. Le soluzioni di smart city possono così dare un senso – di rilevanza sociale e collettivo – a questi investimenti”.
Partendo dalla sanità, dalle strutture e le prestazioni: “La cosiddetta “migrazione sanitaria” provoca 750 mila ricoveri in un anno fuori dalla regione di appartenenza (rapporto Censis 2017). Di poco inferiore (650mila) è il numero dei famigliari che si muovono per assistere il paziente. Il fenomeno è più evidente tra le regioni del Sud, in primis Campania, Sicilia, Calabria e Puglia”.
In questo caso, non sono le soluzioni tecnologiche a mancare: “Al Sud – ha spiegato il CEO Italtel – non mancano macchine diagnostiche di ultima generazione, grazie a recenti finanziamenti, in alcune strutture all’avanguardia. Connettendo le macchine diagnostiche alla rete, è possibile rendere disponibili servizi di diagnostica o consultazione a distanza anche nei centri medici minori, quegli stessi che qualche anno fa si pensava di chiudere e che oggi invece diventano preziosi presidi territoriali. Bisogna dotare questi centri di apparati di telepresenza e di dispositivi medici indossabili con cui fare teleconsulti a distanza”.
Lo stesso discorso si può fare per l’istruzione e la formazione: “banda ultralarga, strumenti di collaboration, anche interattivi, per le lezioni, esami in telepresenza: tutto questo è già possibile. Si possono collegare le università più frequentate, del Nord, perché i loro corsi possano essere seguiti dalle città del Sud. E alla fine dare crediti e titoli con lo stesso valore legale”.
Idem per il mondo del lavoro, la soluzione per Pileri è sempre la smart city estesa ai centri più piccoli: “Possiamo immaginare anche persone che vivono al Sud e lavorano con aziende del Nord. Anche in questo caso, le soluzioni tecnologiche sono la telepresenza, gli strumenti di collaboration. Le città da parte loro dovrebbero dotarsi di luoghi di co-working attrezzati in questo modo, con servizi e spazi adeguati. È forse anche questo il futuro dello smart working”.