Salta il trilogo e si rallenta, per non dire rischia di non concludersi, l’iter per l’approvazione della riforma del copyright nell’Unione europea. Il trilogo, il negoziato interistituzionale tra Europarlamento, Commissione e Consiglio Ue, avrebbe dovuto tenersi oggi per trattare la riforma del copyright, ma è stato rimandato, perché un gruppo di 11 Paesi membri (Italia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Finlandia, Slovenia, Polonia, Svezia, Croazia, Lussemburgo e Portogallo) hanno informato la presidenza rumena di non poter appoggiare il mandato negoziale aggiornato. Questi undici Stati vorrebbero la modifica o la cancellazione degli articoli più discussi della riforma: l’11 e il 13, “perché non tutelano sufficientemente i diritti degli utenti”, dicono in coro, nonostante gli articoli 11 e 13 rientrano negli emendamenti approvati il 12 settembre scorso dalla maggioranza del Parlamento europeo alla proposta di riformare il diritto d’autore nel mercato unico digitale. “Sono molto deluso di questo ritardo. Penso che non dovremmo perdere di vista i grandi risultati che sono già in gran parte concordati”, ha dichiarato Andrus Ansip, il vicepresidente della Commissione Ue responsabile del mercato unico digitale.
“Prendiamo atto del fatto che il Consiglio ha bisogno di più tempo per finalizzare la propria posizione” negoziale, ha detto il portavoce capo della Commissione Europea Margaritis Schinas, durante il briefing con la stampa a Bruxelles. “La proposta di riforma del copyright è un file prioritario e una riforma fondamentale per i cittadini europei, come per il settore creativo e quello della stampa. Il nostro obiettivo è portare benefici tangibili ai creativi, ai giornalisti, e aprire un potenziale di creatività per chiarire il diritto d’autore e renderlo adatto all’era digitale. Qui alla Commissione continueremo il nostro duro lavoro come mediatori onesti, per raggiungere un accordo il prima possibile”, ha concluso il portavoce.
Perché l’Italia è contraria
La posizione del Governo gialloverde sul tema è stata indicata da Luigi Di Maio a giugno scorso: Internet che ha modificato per sempre le nostre vite ora “sta correndo un grave pericolo r il pericolo arriva direttamente dall’Europa e si chiama riforma del copyright. Vogliono mettere il bavaglio alla rete inserendo la cosiddetta link tax, ovvero un diritto per gli editori di autorizzare o bloccare l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni”. “E soprattutto – aveva aggiunto Di Maio – vorrebbero garantire un controllo ex ante sui contenuti che i cittadini vogliono condividere. Praticamente deleghiamo a delle multinazionali che spesso nemmeno sono europee, il potere di decidere cosa debba essere o meno pubblicato”.
“Ci opporremmo con tutte le nostre forze, a partire dal Parlamento europeo. Siamo anche disposti a non recepire la direttiva se dovesse rimanere così com’è”, aveva concluso il vicepremier Di Maio.
Gli articoli 11 e 13
Gli undici Stati contrari agli articoli 11 e 13 la pensano come i giganti di Internet, specialmente Google (leggi anche Riforma Copyright nell’Ue, perché continua la lobby di Google?): gli Over the Top non accettano affatto la riforma del copyright, che fornirebbe agli editori, come prevede l’articolo 11, un vero diritto d’autore sulle pubblicazioni giornalistiche, paragonabile a quello in vigore per le opere letterarie e musicali, che sarebbe un’arma negoziale in più per trattare con la multinazionale californiana accordi di licenza con gli editori.
Dunque l’articolo 11 propone l’introduzione di un nuovo diritto connesso, grazie al quale editori di giornali, giornalisti e autori di contenuti protetti dal copyright hanno il diritto di ricevere “un equo compenso” dai Big del web. Il 13 prevede per Google, Facebook, YouTube, ecc… la responsabilità (non l’obbligo di filtri) per impedire la condivisione illegale di contenuti protetti sulle proprie piattaforme.
A Google questi due articoli, così come sono stati scritti, non vanno giù, perché una volta in vigore gli imporrebbe di pagare per i contenuti in Rete di editori, autori e proprietari del copyright, finora utilizzati, principalmente, gratis. Rischia di perdere introiti ingenti e una parte del valore di Borsa.
La replica degli editori: ‘Non perdere tempo’
Gli editori europei invitano le istituzioni Ue a non “perdere tempo” sulla riforma della direttiva sul diritto d’autore e sottolineano che Google “ha intensificato la sua campagna allarmistica sul possibile impatto di un nuovo diritto di vicinato per gli editori della carta stampata”, mostrando come diventerebbe Google Search nel caso in cui gli editori cerchino accordi di licenza con il colosso californiano. Gli editori, riuniti nella Emma (European Magazine Media Association), Enpa (European Newspapers Publishers’ Association), Epc (European Publishers Council) e Nme (New Media Europe), sottolineano che “Google preferisce fornire un cattivo prodotto piuttosto che smettere di parassitare il lavoro dei giornalisti e degli editori”. E, se Google decidesse di reagire limitando l’offerta, scrivono ancora gli editori, allora “perderebbe utenti a vantaggio di altri servizi, aumentando la concorrenza. In questo caso, la direttiva avrebbe ottenuto un buon risultato, offrendo un maggiore pluralismo nel servizio della ricerca di notizie”.
“E, in più – proseguono gli editori – respinti da una cattiva esperienza con Google, gli utenti andrebbero direttamente nelle homepage degli editori, il che vorrebbe dire che i lettori avrebbero una relazione molto più diretta con le testate, un altro effetto positivo della direttiva, che potrebbe anche migliorare i ricavi pubblicitari degli editori”.
Cosa può succedere, la riforma salta?
Sta ora alla presidenza romena decidere come procedere, anche se il tempo rimasto è molto poco: “potrebbe esserci tempo per un altro trilogo prima delle elezioni di fine maggio”, scrive Julia Reda, del partito pirata europeo (Ppeu), uno dei parlamentari che si batte contro gli articolo 11 e 13 della proposta di riforma del copyright. “La riforma potrebbe essere approvata solo con la cancellazione dei due articoli”, fa sapere Reda. Dunque una volta che i governi avranno trovato un accordo sul testo definitivo da inviare al trilogo, servirà un accordo tra le istituzioni, e poi il Parlamento Ue dovrà esprimersi entro aprile, prima del suo scioglimento per le europee.
Molto probabilmente salterà tutto e la riforma sarà uno dei temi della campagna elettorale delle europee. Così Google potrà ancora continuare a fare business con contenuti (non suoi) protetti dal copyright è maggiore di quello generato dai titolari dei diritti e non devono sorprendere e ingannare i dati forniti da Big G per l’occasione: dichiara di aver versato, complessivamente, 800 milioni di euro ai proprietari di contenuti di YouTube nell’Ue negli ultimi 12 mesi e pagati 1,5 miliardi di euro all’industria discografica nell’ultimo anno e generati dagli annunci pubblicitari. Spiccioli rispetto agli oltre 9 miliardi di utili netti generati da Alphanet solo nel 2018.