Mentre il “box office” cinematografico degli Usa registra un evidente segno positivo (+ 7 % di incassi, con quasi 12 miliardi di dollari statunitensi), il “botteghino” italico – secondo le prime stime relative all’anno solare 2018 – conferma le preoccupazioni di molti operatori ed osservatori: dati sconfortanti, considerando un calo degli incassi nell’ordine del 5%, con una stima di 555 milioni di euro (erano 585 nel 2017), a fronte di 86 milioni di spettatori, ovvero più esattamente di “biglietti venduti” (erano 92 milioni), con un calo di biglietti del 7 % rispetto al 2017.
Lo scenario è pessimo: un disastro, inutile infiocchettare diversamente.
Al punto tale che la tradizionale conferenza di metà gennaio, nella quale le associazioni dell’industria cinematografica presentano una sorta di pre-consuntivo dell’anno trascorso non si è tenuta, e soltanto ieri, 10 gennaio, sono state diramate le stime elaborate da Cinetel (società di rilevazioni statistiche che si ritiene misuri un 95 % dell’intero mercato) ed una serie di commenti dei presidenti degli esercenti Anec ed Anem e dei produttori dell’Anica.
Come i lettori di questa rubrica sanno, talvolta gli aspetti “coreografici” sono importanti non meno degli aspetti “sostanziali”: è quindi interessante osservare quel che è avvenuto nei giorni scorsi, in questa strana “fenomenologia” comunicazionale.
Il 2 gennaio 2019, l’appassionato ed accurato Robert Bernocchi, “columnist” (ovvero “Data and Business Analyst”) del sito specializzato Cineguru.biz – Cinema 2.0 (nonché “Story Editor & Data Analyst” di Pepito Produzioni, la società fondata dall’ex Dg Rai Agostino Saccà), ha proposto una sorta di “scoop”, anticipando alcuni dati delle stime di Cinetel: “2018: male il botteghino generale, meglio il cinema italiano”.
Un livello di biglietti venduti nell’ordine di 86 milioni è impressionante: record negativo nella storia tutta dell’industria cinematografica italiana? No, ma ci siamo quasi! Nel 1992, il totale dei biglietti venduti è stato di 83,5 milioni, e quell’anno è in assoluto il peggiore nella storia economica del cinema italiano.
Si ricordi che l’anno di picco positivo del “box office” è stato il 1955, con ben 855 milioni di spettatori… ma la “televisione” non era ancora arrivata in Italia.
Nel 1980, i biglietti cinematografici erano a quota 242 milioni, e si scende sotto “quota 100” nel 1988, e questa soglia (con una sua valenza finanche “simbolica: quasi una sorta di “linea Maginot”) viene risuperata soltanto nel 1997, con 104 milioni di spettatori.
Dal 1997 ad oggi, la soglia dei 100 milioni di biglietti è stata sempre superata.
Quindi, per la prima volta nell’arco di vent’anni, nel 2018 si scende sotto “quota 100”: il secondo peggior risultato di tutta la storia del cinema italiano! 86 milioni di biglietti venduti, a fronte degli 84 milioni del 1992.
Una perdita di quasi 20 milioni di biglietti venduti, tra il 2016 ed il 2018, evidenzia la gravità estrema della situazione.
Procediamo con ordine: Bernocchi propone il suo “scoop” mercoledì 2 gennaio, e due giorni dopo le associazioni del settore reagiscono con un “comunicato stampa congiunto”, che precisa che “i dati definitivi del box office del cinema in Italia sono in elaborazione e, come ogni anno, verranno comunicati ai media nel corso della prossima settimana”. La nota diramata venerdì 4 gennaio da Anica, Anec, Anem (cui si associano due altre sigle “minori”, gli esercenti dei cinema d’essai, ovvero la Fice, e delle sale parrocchiali dell’Acec) precisa, un po’ acidamente polemica: “è dunque una novità che si voglia tracciare dei bilanci senza disporre di informazioni complete” (nota nostra: “informazioni complete”?! ma quando mai in Italia, in questo settore???).
La ricaduta stampa è notevole, anche se le associazioni propongono “interpretazioni” e non “dati”.
In particolare, lunedì 7 gennaio, il “Corriere della Sera” spara la notizia in prima pagina, con una titolazione inequivocabile: “Il declino del cinema in Italia. Mai così male negli ultimi anni”. Ampio spazio, nelle pagine interne, a firma di Paolo Mereghetti e Laura Zangarini: “2018 Botteghini in crisi”. La collega Fulvia Caprara, sempre attenta, scrive sul quotidiano “La Stampa”, che (titola) “Il cinema italiano si ribella agli allarmi. Segnali di ripresa negli ultimi mesi”, sempre lunedì 7 gennaio.
In sostanza, cosa è accaduto: un analista del settore anticipa dati (acquisiti evidentemente in anteprima da Cinetel), questi dati sono assai critici (senza dubbio alcuno), e le associazioni reagiscono (piccate), dapprima con un lunghissimo comunicato di analisi di impostazione cerchiobottista (“c’è crisi, sì…” ma “anche no”, un po’ à la Veltroni), e poi diramando i dati “ufficiali” (sempre di fonte Cinetel), soltanto dopo una settimana, ed accompagnandoli con novelle lunghe e dotte dissertazioni. Da segnalare che, per la prima volta, in queste strategie (?!) di comunicazione delle associazioni dell’industria, entra in campo un’agenzia di relazioni pubbliche discretamente nota, qual è la Open Gate Italia, fondata da Tullio Camiglieri (già dirigente a Sky Italia). Risultato?! Una discreta confusione.
Con quale coraggio, le associazioni firmatarie delle tesi del 4 gennaio sostengono comunque che “il bilancio degli ultimi 12 mesi non è affatto negativo” non è ben chiaro.
Senza ricorrere alla solita metafora di Trilussa ed i suoi polli, è evidente che “la matematica non è un’opinione” è un’affermazione paradossalmente… falsa (ovvero falsificabile!), dato che, nel calderone dei dati, possono sempre essere attinte informazioni positive ed informazioni negative.
Ci sembra che la reazione di Anica ed Anec ricordi un po’ quella tipica del politico di professione, che, registrando un’amara sconfitta alle elezioni, prende spunto da qualche dato positivo (secondario), per sostenere – in sostanza – che è andata… male, sì, ma, suvvia… nemmeno tanto (vedi supra), dato che… poteva andare peggio! Poteva piovere!!!
Rimandiamo il lettore appassionato a leggere le lunghe analisi diramate dalle associazioni: del comunicato del 4 gennaio, colpisce comunque un punto specifico – il quarto – che propone: “è tempo di legare sia i numeri economici che quelli delle visioni dello spettacolo cinematografico alle nuove realtà”. In sostanza, Anec ed Anica lamentano che “non è sano che le piattaforme web” (ovvero Netflix in primis, e poi Amazon) “non pubblichino i loro dati. Non si conosce il numero dei loro abbonati in Italia. Non si conosce il numero di visualizzazioni di un prodotto” (domanda che sorge spontanea: ma se ne accorgono oggi soltanto?!). E concludono: “è tempo che le regole della trasparenza valgano per tutti, così i valori, produttivi ed artistici, economici, del numero di spettatori, potranno essere valutati in modo razionale e coerente”.
Bene, bravi, bis!
Piccolo dettaglio: non ci risulta che fino ad oggi le succitate associazioni si siano date granché da fare nel richiedere o proporre analisi di scenario e ricerche di mercato significative (approfondite accurate trasparenti…), su queste materie.
Con quale coraggio si invoca… “trasparenza”, allorquando da anni vengono proposte analisi superficiali come quelle denominate “Tutti i numeri del cinema italiano” (curate da Anica e Direzione Cinema del Ministero), che propongono un set di dati assolutamente incompleto, parziale, frammentario (lo abbiamo denunciato tante volte: vedi da ultimo “Che fine ha fatto il corposo ‘Rapporto’ della Fondazione Ente dello Spettacolo?” su “Key4biz” del 29 maggio 2018) ed anche “Il 2017 ‘annus horribilis’ per il cinema italiano”, su “Key4biz” del 10 gennaio 2018, in occasione della conferenza stampa dell’anno scorso): per esempio, se è vero che ormai in Italia vengono prodotti oltre 200 (duecento!) lungometraggi all’anno, non è pubblico un elenco completo ovvero statistiche che indichino con precisione costi di produzione, finanziamento pubblico, intervento dei broadcaster, box office e audience televisiva, etc. …
Da anni ed anni, lamentiamo i tanti deficit del “sistema informativo” del cinema e dell’audiovisivo italiano, ma nemmeno l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) ci sembra si sia mai data molto da fare, in materia.
A proposito di “trasparenza” invocata e di conseguenti “valutazioni razionali e coerenti” auspicate…
Le tante pagine di considerazioni stilate dalle associazioni sembrano un vero e proprio tentativo di… arrampicamento sugli specchi: la crisi è in verità dura, grave, profonda. Certamente ci sono segnali positivi, nel disastro complessivo, ma con quale coraggio si propongono tesi come (testuale): “il nostro cinema va giudicato sia per gli incassi che per la qualità di prodotti alla trasmissione del contenuto, e non solo ai risultati di botteghino”. Ma che c’azzecca, questa “excusatio non petita”?!
La collega Francesca D’Angelo, su “Libero”, scrive a chiare lettere, il 7 gennaio (in un articolo scherzosamente intitolato “Cara Anica, la crisi si batte con gli incassi”): “Quei zuzzurelloni dei giornalisti: si sono permessi di discettare sul 2018 del cinema italiano senza aspettare l’annuale conferenza organizzata, ogni gennaio, dalle associazioni di categoria. Così quest’ultime sono insorte, e, armate di comunicato ricordano, che ‘non è il caso di interpretare i dati sempre in negativo’”.
Ma, di grazia: “sempre in negativo”… quando?! Questi dati del 2018 sono oggettivamente negativi assai, al di là di ogni ardito tentativo di interpretazione… in positivo! Certo, volendo vedere il bicchiere “mezzo pieno”, la quota di mercato dei film italiani è cresciuta, rispetto ad un pessimo 2017 (si passa dal 17 al 22 %), così come il loro incasso (da 102 a 124 milioni di euro), ma questo dato positivo appare magra consolazione (ed influenzato da non poche variabili “contingenti”), allorquando è il “box office” totale a scendere in modo così pesante.
Ribadiamo e rimarchiamo il dato essenziale e sintetico: meno di 86 milioni di biglietti venduti nel 2018, a fronte dei più di 92 milioni di biglietti del 2017, con un calo del consumo nell’ordine del 7 per cento in 1 anno soltanto. Il bicchiere non è mezzo pieno, è mezzo vuoto, anzi… qual è il bicchiere?!
Senza dubbio, questi dati riportano a galla i nodi storici del settore: lo strapotere di alcune associazioni nell’economia politica del settore e soprattutto l’assenza di una “vision” organica e strategica. In molti sostengono (a bassa voce) che è stata l’Anica a “dettare” all’ex Ministro Dario Franceschini le linee-guida di una legge di riforma (quella di fine 2016) che tarda ad andare a regime, sia per la complessità genetica sia per la farraginosità procedurale (troppi decreti e troppa burocrazia, in assenza di un sistema informativo digitalizzato all’altezza della bisogna).
Questa legge ha senza dubbio non pochi difetti, ma ha il merito incontestabile di aver incrementato in modo finalmente significativo il sostegno pubblico al cinema ed all’audiovisivo, garantendo un flusso di sostegno nell’ordine di 400 milioni di euro l’anno.
Il problema di fondo resta però l’allocazione strategica di queste risorse pubbliche: la ripartizione tra produzione, distribuzione, esercizio, promozione, esportazione, formazione, tra intervento diretto ed indiretto, senza entrare nel merito dei finora mai valutati seriamente effetti del tanto decantato “tax credit”.
Quel che è sicuro – e lo abbiamo dimostrato anche su queste colonne – è che, dati erratici a parte, nessuno può in Italia “certificare” (anzi soltanto valutare) in modo serio lo stato di salute della nostra cinematografia, sia in termini economico-strutturali sia in termini estetico-espressivi.
Il dataset fa acqua da ogni parte, e nessuna “valutazione di impatto” è stata finora portata a termine.
Da osservatori attenti del settore, non possiamo che ri-segnalare ancora una volta che lo “stato di salute” del settore non appare però esattamente eccellente, anche se – ad essere onesti – esso è sostanzialmente… ignoto!
Esistono infatti soltanto indicatori fragili, frammentari, incompleti: lo stato dell’arte del “sistema informativo” del cinema italiano è semplicemente tragico.
Paradossalmente, lo stesso Ministro grillino Alberto Bonisoli e la Sottosegretaria delegata leghista Lucia Borgonzoni sono costretti a… navigare a vista, fidandosi “ciecamente” delle analisi delle associazioni industriali del settore, che indubbiamente hanno un comprensibile preciso interesse: che la legge Franceschini e la manna che essa ha avviato non venga toccata, dato che i pubblici danari finora arrivati ed in arrivo consentono il mantenimento dello “status quo”. Danari pubblici che si corre il rischio vadano ad alimentare – in assenza di adeguati controlli e valutazioni – processi sostanzialmente conservativi.
Le associazioni dei piccoli produttori tacciono, e la voce dei distributori indipendenti non s’ode, così come quella degli esercenti piccoli piccoli (le cosiddette “monosale”, che pure ancora hanno – dovrebbero avere! – una valenza sociale, se non economica)…
E che dire del silenzio assordante, anche in questi giorni, di tutte le associazioni dell’anima creativa del settore?!
Da Anac ai 100autori, passando per la Writer Guild Italia (le tre principali associazioni degli autori), senza dimenticare la Fidac (che rappresenta le categorie professionali e tecniche): silenzio tombale, se non per la una reazione del Presidente dell’Anac, Francesco Ranieri Martinotti, che ha indirizzato una lettera al “Corriere” (pubblicata l’8 gennaio), nella quale dichiara che “la recente riforma del settore è priva di visione organica” (clicca qui, per leggere il testo integrale della presa di posizione di Martinotti). Giusto, giustissimo.
Ieri 10 gennaio, le associazioni industriali del settore (le succitate, guidate da Anica ed Anec-Anem) hanno diramato un documento con i dati Cinetel “ufficiali”.
Si conferma quel che Bernocchi ha anticipato ad inizio anno: e nuovamente vengono riproposte simpatiche interpretazioni… “in positivo”.
Per rendere meno sconfortante la lettura dei dati italiani, ci si appella ora anche a dati “comparativi” di alcuni altri mercati: la Germania registrerebbe nel 2018 un 16 % di calo nel “box office”, a fronte del – 4 % della Francia e del – 2 % della Spagna… Curioso che in passato questi “confronti” non venissero quasi mai evocati! Ma si omette simpaticamente – per esempio… – di ricordare che la stessa Francia può vantare oltre 200 milioni di biglietti cinematografici venduti ogni anno, a fronte degli ormai meno di 90 dell’Italia…
Ancora una volta, numerologie… partigiane, e di comodo.
Che consentono al Presidente dell’Anica Francesco Rutelli di sostenere ieri, con retorica incredibile, che “il Cinema è più vivo e interessante che mai, con giganteschi investimenti internazionali nei contenuti e un alto e sempre nuovo interesse del pubblico”… Ed il neo Presidente dei distributori dell’Anica, Luigi Lonigro (RaiCinema/ 01 Distribution), scrive di “un ottimismo che ha basi solide, avendo l’industria risolto, negli ultimi mesi del 2018, alcune delle storiche criticità del nostro mercato. Palinsesto estivo, multiprogrammazione e window sono stati i primi tre goal messi a segno grazie al lavoro congiunto di Distributori, Produttori ed Esercenti, e, che unitamente ad altre importanti iniziative, consentiranno al 2019 di essere ricordato come l’anno del cambiamento”. Francamente, non capiamo da dove attinga questo ottimismo Lonigro, così come l’affermazione che problematiche come “il palinsesto estivo” siano state risolte, ma forse il presidente dei distributori ha assistito a “goal” di una “partita” invisibile ai più.
Abbiamo voluto attendere la rassegna stampa di oggi, all’indomani del secondo comunicato “delle associazioni” di ieri: i giornali non si sono certo lasciati entusiasmare, e le titolazioni ed i contenuti sono sostanzialmente neutri. Citiamo per tutti lo scrupoloso Andrea Biondi, sul confindustriale “Sole 24 Ore”: “Cinema, incassi in caduta ma bene i film italiani”. E Francesca D’Angelo, sempre su “Libero”, scrive: “Il cinema italiano, più fa flop, più riceve soldi”, titolo che ricorda le lontane campagne di Vittorio Feltri, su “il Giornale” di qualche anno fa, contro il sostegno pubblico alla cinematografia… Sempre la solita storia: neo-liberisti versus paleo-assistenzialisti?!
Nel mentre, permane incredibile il silenzio – totale – della stampa e dei media (web incluso) rispetto al “congelamento” della vicenda della riconferma o meno di Nicola Borrelli alla Direzione Generale del Cinema del Mibac: il suo contratto è scaduto il 21 dicembre 2018, e le voci sulla sua riconferma o meno alla guida del cinema italiano sono ormai… impazzite.
I “bookmaker” del cinema italico lo danno comunque saldo sulla sua sella al 60 %, mentre per il 40 % si prospetta uno “scambio” di poltrone tra lui e Marina Giuseppone: Borrelli andrebbe a guidare la Direzione Organizzazione del dicastero (retta fino al 21 dicembre da Giuseppone), e Giuseppone subentrerebbe a Borrelli alla Dg Cinema. Anche questa surreale incertezza conferma le criticità del settore. In argomento, poi, stupisce che della questione si siano interessate soltanto tre testate tre: “Key4biz” in primis (ed in anteprima assoluta, il 21 dicembre) ed “Articolo 21” e “Diari di Cineclub”. Anche su questo strano silenzio della “stampa specializzata” italiana, si potrebbe avviare una acuta riflessione…
- Clicca qui, per leggere il report Cinetel “Box Office 2018 – Relazione”, diramato il 10 gennaio 2019.
- Clicca qui, per leggere il report Cinetel “Box Office 2018 – Tabelle”.
- Clicca qui, per leggere il report Cinetel “Il cinema in sala – Commenti”.
- Clicca qui, per leggere il “comunicato congiunto” diramato da Anica, Anec, Anem, Fice, Acec del 4 gennaio 2019.