Nel maxi-emendamento alla Legge di Bilancio il Governo ha inserito la Web tax. Si legge che l’imposta sui servizi digitali si ottiene applicando l’aliquota del 3% all’ammontare dei ricavi tassabili realizzati in ciascun trimestre e si applica alle imprese che nel corso di un anno solare realizzano congiuntamente:
- Un ammontare complessivo di ricavi ovunque realizzati non inferiore a 750 milioni di euro.
- Un ammontare di ricavi derivanti da servizi digitali realizzati nel territorio dello Stato non inferiore a 5,5 milioni di euro.
Perché ribattezzata ‘Ott tax’?
Dunque la web tax all’italiana punta a colpire i giganti del web, gli Over the Top (le cosiddette società GAFA: Google, Apple, Facebook e Amazon) e non tutte le imprese che offrono servizi digitali, per questo motivo nel Movimento 5 Stelle c’è chi l’ha ribattezzata “Una vera e propria Ott Tax”, come Mirella Liuzzi, deputata M5S e Segretario di Presidenza alla Camera dei Deputati. La stessa Liuzzi ricorda che la tassa “è sulla scia della proposta francese”, dove infatti è stata annunciata giorni fa dal ministro dell’Economia Bruno Le Maire: “la nuova tassa potrebbe essere in vigore dal 1^ gennaio 2019”. Mentre i dettagli devono ancora essere pubblicati, la misura, inserita dal Presidente Emmanuel Macron per finanziare il piano destinato ad aumentare il potere d’acquisto dei cittadini, mira a tassare le vendite digitali legate alla pubblicità e alla cessione di dati personali e punta a un gettito pari a circa 500 milioni di euro nel 2019 per le casse pubbliche francesi. La legge non è stata ancora approvata. Il governo francese presenterà al parlamento la proposta per la nuova tassa destinata alle vendite digitali dei GAFA.
A chi si applica?
L’imposta sui servizi digitali, è scritto nell’emendamento, si applica ai ricavi derivanti dalla fornitura dei seguenti servizi:
- Veicolazione su un’interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti delle medesima interfaccia.
- Messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi.
- Trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale.
Per le imprese interessate è previsto il versamento della tassa entro il mese successivo a ciascun trimestre e alla presentazione della dichiarazione annuale dell’ammontare dei servizi tassabili prestati entro 4 mesi dalla chiusura del periodo d’imposta.
E i soggetti non residenti, senza una stabile organizzazione in Italia?
Il Governo con la web tax vuole colpire anche i soggetti non residenti in Italia, privi di una stabile organizzazione, che rientrano nei requisiti per pagare l’imposta. Queste imprese devono, è scritto nel testo, fare richiesta all’Agenzia delle Entrate di un numero identificativo per il pagamento della tassa.
Web tax all’italiana quando potrebbe scattare?
Se i cugini d’Oltralpe sperano di incassare con la tassazione ai giganti del web circa 500 milioni nel 2019, il Governo italiano ne ha previsto 150 milioni per l’anno prossimo e poi 600 milioni sia nel 2020 sia 2021. Questa forbisce forse nasca dal fatto che l’imposta sui servizi digitali non scatterebbe subito dal primo gennaio, ma se approvata dal Parlamento con la Legge di Bilancio poi dovrà attendere per la piena operatività il decreto attuativo del Mef, di concerto con Mise–Agcom-Garante Privacy e AgID, che secondo la bozza dell’emendamento dovrebbero emanarlo entro 4 mesi dall’entrata in vigore della legge di Bilancio. E, si legge ancora nel testo dell’imposta, le disposizioni si applicano a decorrere dal 60esimo giorno successivo alla pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale.
Dunque se tutto procede spedito la ‘Ott tax’ potrebbe debuttare in Italia a metà 2019.
La reazione di Anitec-Assinform: ‘Rischio effetti su Pmi italiane che vendono online i prodotti’
“La scelta del Governo di aumentare le entrate inserendo una imposta sui servizi digitali preoccupa perché, sebbene si applichi soltanto a grandi imprese globali, rischia di ripercuotersi anche sulle piccole e medie imprese italiane che utilizzano i servizi digitali per promuoversi o vendere i propri prodotti. Come settore siamo consapevoli che sia necessario regolare fiscalmente il settore ma abbiamo espresso la necessità di attendere una normativa almeno europea e auspicabilmente OCSE uniforme per non penalizzare la competitività italiana che sconta un livello impositivo già molto alto. Inoltre la modalità di inserimento nel maxi emendamento, senza proficuo confronto con le categorie e con gli operatori che conoscono il settore, come invece avviene in sede Europea, rischia di produrre una norma sbilanciata e dalle coperture quanto meno incerte. Le entrate ipotizzate dal Governo sembrano infatti molto superiori rispetto alle stime del mercato. Mantenere i saldi di bilancio ad un livello prudenziale è essenziale per la stabilità del Paese ma aumentare la tassazione ulteriormente sulle imprese partendo dell’innovazione non è mai una buona scelta e produce, nel medio periodo, un danno a crescita e lavoro. Siamo comunque disponibili, come Associazione e con le imprese interessate, a sederci e confrontarci con Mef, Mise e Autorità indipendenti competenti per contribuire a definire le regole attuative della norma ed evitare che abbiamo effetti sistemici su tutto il settore produttivo e sulla spinta a innovare e digitalizzare”, ha dichiarato Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform, l’Associazione di Confindustria che rappresenta le aziende dell’ICT.
Confindustria Digitale: ‘Non c’è che una sola via quindi: accelerare al massimo il lavoro già in corso in sede Ue, la cui definizione è attesa per i prossimi mesi’
Sulla stessa lunghezza anche Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale: “Ci risiamo. Puntualmente nelle more di manovre economiche alla ricerca di risorse si presenta l’opzione web tax, con soluzioni di difficile applicabilità e rischio di diventare un boomerang per le imprese italiane. Soprattutto per le aziende manifatturiere e dei servizi che utilizzano le piattaforme digitali per vendere, crescere e competere sui mercati nazionali e internazionali”.
“Non è difficile prevedere”, ha concluso il presidente di Confindustria Digitale, “l’impatto sui consumatori italiani sotto forma di aumento dei prezzi di beni e servizi, anche quelli tradizionali, ma comprati sulle piattaforme digitali, così come sullo sviluppo tecnologico, sulla possibilità per nuove società innovative di emergere e, in generale, sull’export”. Non c’è che una sola via quindi: accelerare al massimo il lavoro già in corso in sede Ue, la cui definizione è attesa per i prossimi mesi”.
Fieg: ‘Sconcerto per la nuova imposta, penalizza aziende italiane del settore già tassate’
“Sconcerto e stupore per la nuova imposta sui servizi digitali proposta dal Governo. Una imposta che colpisce i ricavi anche delle aziende italiane del settore già soggette al prelievo ordinario, con una nuova tassa che rischia di deprimere ulteriormente i bilanci delle imprese.
La web tax dovrebbe essere uno strumento per il riequilibrio della concorrenza dei diversi operatori nel mercato digitale e per far pagare le tasse a chi oggi non le paga in Italia, ma non può costituire un alibi per una forma generalizzata di nuova tassazione sulle imprese italiane del settore con il rischio di riduzione degli investimenti e della occupazione”, ha commentato Andrea Riffeser Monti, presidente della Fieg.