Olimpiadi: Londra incentiva il telelavoro. E in Italia? Ancora troppi ostacoli ‘culturali’

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Nel nostro paese ancora troppe resistenze culturali a un modello che permetterebbe alle aziende di risparmiare e ai dipendenti di lavorare in rete, da qualunque luogo e in qualunque orario, senza dover fare i salti mortali per seguire la famiglia.

Italia


Telelavoro

I Giochi Olimpici in corso di svolgimento a Londra hanno sconvolto non poco la vita degli abitanti della metropoli britannica, che però ha anche dato ulteriore prova dell’innato pragmatismo anglosassone scegliendo di adottare massicciamente il telelavoro per evitare un eccessivo intasamento del traffico e dei trasporti pubblici.

 

Già dal 21 luglio e fino al 9 settembre, quando termineranno anche le Paralimpiadi, i dipendenti della pubblica amministrazione possono scegliere di lavorare da casa. Flessibilità concessa anche da circa la metà delle aziende private.

Un sistema win-win, in cui tutti guadagnano qualcosa, con ricadute positive sulla vivibilità della città, che permetterà anche ai dipendenti di sperimentare un sistema di lavoro che consente di conciliare famiglia e lavoro e alle aziende di risparmiare senza perdere produttività.

 

Ma in Italia si potrebbe anche solo pensare una cosa del genere? Secondo Linda Gilli, amministratore delegato di Inaz, società italiane che si occupa di software e servizi per l’amministrazione del personale e la gestione delle risorse umane, nel nostro Paese il telelavoro “stenta ad affermarsi” per diversi motivi, che sono più culturali che tecnologici.

Primo fra tutti, la mancanza di fiducia tra azienda e lavoratori: “Molti datori di lavoro non riescono a fare a meno della presenza in ufficio e della timbratura del cartellino per controllare il dipendente”, ha affermato la Gilli che, pur riconoscendo l’importanza del rapporto faccia a faccia, ha sottolineato che ormai esistono le tecnologie atte a misurare la produttività anche a distanza.

“Anche quando si lavora a distanza è necessario programmare, in modo accorto e costante, una serie di incontri diretti in sede, indispensabili per organizzare il lavoro, per valutare i progetti in corso e per non perdere mai il contatto personale che è alla base di ogni rapporto sereno e produttivo. Ma oggi abbiamo tanti strumenti che possono fare del telelavoro un’opzione praticabile: dai software per rilevazione presenze, anche su dispositivi mobili, a soluzioni come il Portale del Dipendente con cui i lavoratori hanno sempre un filo diretto con l’azienda. Così il lavoro da remoto può essere una scelta vincente”, ha affermato Gilli.

 

Secondo i dati di una ricerca Isfol Plus del 2008, le aziende italiane che prevedono il telelavoro sono il 4,3%. Sarebbero quindi 770mila dipendenti che in teoria potrebbero lavorare da remoto, “ma solo 55mila adottano realmente questo sistema”, ha aggiunto l’ad di Inaz.

Eppure i vantaggi, per aziende e lavoratori, sono molti: le prime risparmierebbero sui costi di gestione delle sedi e aumenterebbero l’efficienza grazie alla flessibilità; i secondi sarebbero in grado di lavorare in rete, da qualunque luogo e in qualunque orario, senza dover fare i salti mortali per seguire la famiglia.

Senza contare gli effetti positivi su traffico, inquinamento e trasporti per i pendolari.

 

È bene ricordare, ha spiegato Stefano Fabiano, responsabile Centro Studi e Formazione di Inaz, che il telelavoratore “ha le stesse garanzie e gli stessi diritti che spettano a chi lavora nella sede aziendale per quanto riguarda retribuzione, carriera, carichi di lavoro, formazione, salute e sicurezza professionale” e che la Legge di stabilità 2012 (art. 22, c. 5), prevede misure di incentivazione per le aziende intenzionate a percorrere la strada della flessibilità. (a.t.)

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