Cyber war: gli Stati Uniti lanciano la corsa agli armamenti digitali

di Alessandra Talarico |

Per il generale Keith Alexander, il governo deve ‘studiare quello cosa fare per fermare gli attacchi – per stopparli prima che avvengano. Per difenderci – ha aggiunto - dobbiamo studiare anche misure offensive”.

Stati Uniti


Keith Alexander

“Correre ai ripari non basta”, ha affermato il generale Keith Alexander, direttore dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (NSA) e numero uno del Cyber Command, riferendosi alla necessità di migliorare le capacità di difesa americane di fronte al crescendo di attacchi informatici contro le infrastrutture sensibili nazionali.

 

Lo scorso fine settimana, la Casa Bianca ha rivelato di essere stata oggetto di un cyberattacco diretto contro il White House Military Office. L’incidente è stato confermato dallo staff del presidente Barack Obama che ha però assicurato che non sono state violate informazioni coperte da segreto di Stato.

Si sarebbe trattato di un ‘caso isolato’ di spear pishing a una rete non classificata, è stato comunicato da Washington, che ha fatto sapere che questo tipo dio attacchi è frequente e vi sono in essere misure di attenuazione.

 

“Se la nostra difesa consiste semplicemente nel cercare di parare gli attacchi non potrà essere efficace”, ha affermato il generale Alexander, secondo cui il governo deve “studiare quello cosa fare per fermare gli attacchi – per stopparli prima che avvengano. Per difenderci – ha aggiunto – dobbiamo studiare anche misure offensive”.

 

Per il generale, ogni attacco informatico dovrebbe seguire le stesse regole d’ingaggio di un attacco militare ‘classico’: “bisogna discutere di questo tema”, ha dichiarato.

 

Secondo il World Economic Forum, un serio collasso dell’infrastruttura informatica potrebbe costare fino a 250 miliardi di euro, e c’è fra il 10 e il 20% di possibilità che questo accada nei prossimi 10 anni, anche se – ha spiegato l’Ocse – la minaccia di un cyber attacco in grado di causare una catastrofe globale è un’eventualità possibile, ma solo se si verificasse in concomitanza con un altro disastro di scala mondiale.

 

 

Il ‘risiko’ del cybercrime è iniziato ‘ufficialmente’ nel 2007, quando i siti delle autorità nazionali e dei principali media estoni sono vittime di un’aggressione cibernetica, dietro la quale – si è sospettato immediatamente – potrebbe esserci stata la Russia. Nel 2008 è toccato, dunque, alla Georgia, dove – dopo la guerra ‘reale’ in Ossezia del Sud – è scattata una battaglia cibernetica con il blocco per settimane dei siti del primo ministro e del governo. Sospettato numero uno, anche in questo caso, la Russia.

Nel marzo 2009, la fragilità dei sistemi informatici mondiali appare in tutta la sua evidenza in seguito a un attacco cha ha mandato in tilt i network di 103 paesi, compresi i server di governi e sistemi industriali, da cui sono stati estratti dati sensibili.

A giugno dell’anno scorso, per finire, è stato scoperto il virus Stuxnet, capace di spiare programmi industriali, diffuso soprattutto in Iran. Dietro il virus si pensa potrebbe celarsi Israele o gli Stati Uniti, che però hanno sempre negato di essere implicati dietro il cyber attacco.

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