I dati quando accessibili a tutti, soprattutto in rete, senza alcuna restrizione o limitazione di natura regolatoria e legislativa, si definiscono aperti, perché liberamente consultabili, utilizzabili e riproducibili. Questi dati aperti o open data sono una risorsa eccezionale sia per gli enti pubblici che per quelli privati.
La Pubblica amministrazione (PA), in particolar modo, rilascia questi dati aperti a tutta la popolazione, perché di fatto appartengono alla comunità stessa, da cui sono originati, offrendoli liberamente ad organizzazioni e aziende sul territorio, a liberi professionisti e cittadini comuni, affinché possano essere sfruttati per migliorare la qualità della vita e dei servizi, la conoscenza del territorio in cui ci muoviamo e l’efficacia delle nostre azioni.
Più dati in circolazione significano più informazioni utili ai cittadini, agli enti pubblici e alle imprese, con tutti i vantaggi che questo comporta: aumento della conoscenza collettiva, trasparenza di un ente pubblico o privato e non ultimo maggiore stimolo all’economia, permettendo alle aziende di riutilizzare i dati e offrire servizi avanzati.
Un libero bacino di dati aperti consente alle organizzazioni di un determinato territorio di placare la grande sete di informazioni, crescente ormai a tutti i livelli, per trasformare la conoscenza in impresa.
Conoscere, ad esempio, quanti rifiuti sono prodotti ogni anno dal singolo cittadino, sia in termini complessivi, sia di singola tipologia di rifiuto, può essere utile per ideare un percorso formativo teso a stimolare comportamenti virtuosi tra la popolazione, per offrire un servizio di raccolta, trattamento e gestione dei rifiuti più efficace, più vicino alle esigenze dei cittadini, rivolto alla valorizzazione economica degli stessi e alla promozione dell’economia circolare.
Per questo gli open data sono considerati complessivamente una risorsa economica strategica per ogni singola città o nazione. In Europa l’economia dei dati ammontava nel 2016 a oltre 300 miliardi di euro. Attuando le giuste misure legislative e politiche, tale valore potrebbe arrivare entro il 2020 a 739 miliardi di euro, vale a dire il 4% del PIL.
Questo significa anche nuovi posti di lavoro, circa 100 mila in più nel 2020 secondo l’European data portal.
Ulteriori vantaggi per la PA europea sono la riduzione della spesa, calcolata per il periodo 2016-2020 attorno a 1,7 miliardi di euro, (la PA tedesca, ad esempio, potrebbe tenersi in cassa circa 300 milioni di euro), e una maggiore produttività generale (invece di sprecare mediamente 2.600 ore l’anno in tutta l’Unione europea per cercare parcheggio, i dipendenti potrebbero lavorare e quindi generare guadagni).
In Italia gli open data si stanno progressivamente affermando come leva per la crescita e l’innovazione. Ne ha dato conferma l’ultimo Report del Portale europeo dei dati, “Open Data Maturity in Europe 2017”, che ha visto il nostro Paese guadagnare diverse posizioni rispetto al 2016, collocandosi tra i trendsetters (mentre lo scorso anno figurava tra i followers, gli inseguitori), cioè i Paesi ‘guida’ che sono stati in grado di implementare una politica di open data strutturata.
La rilevazione è stata effettuata sia in termini di open data readiness, guardando agli impatti delle politiche open data, sia in termini di maturità ed evoluzione del portale open data nazionale.
A supporto delle azioni di raccolta, utilizzo e promozione dei dati aperti in Italia abbiamo il Piano Triennale per l’informatica nella PA, nel più ampio contesto della strategia che accompagna la trasformazione digitale del Paese, e il rilascio della nuova versione del portale nazionale Dati.Gov.it avvenuta a febbraio 2018 in occasione della prima Settimana dell’amministrazione aperta.
Legando gli open data alla crescita e l’innovazione, l’Unione europea (Ue) ha annunciato una serie di misure per favorire la disponibilità di dati e il loro utilizzo, integrandoli con l’intelligenza artificiale (IA). Il mercato unico digitale, infatti, sta rapidamente prendendo forma e senza dati non riusciremo ad avvalerci appieno dell’intelligenza artificiale, del calcolo ad alte prestazioni e di altri progressi tecnologici, per continuare sulla strada della digital transformation.
L’Ue, tra l’altro, vorrebbe aumentare gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione per l’IA di almeno 20 miliardi di euro entro la fine del 2020.
Le istituzioni avranno quindi il compito di creare un ambiente favorevole agli investimenti. Poiché i dati costituiscono la materia prima per la maggior parte delle tecnologie di IA, la Commissione ha proposto una legislazione per consentire il riutilizzo di volumi maggiori di dati e nuove misure per semplificare la condivisione dei dati.
Tra questi, al momento, vi rientrano i dati provenienti dai servizi pubblici e quelli relativi all’ambiente, oltre ai dati della ricerca e della sanità.