Europa
Google spera di giungere a un accordo con il governo francese entro Natale per quanto riguarda il contenzioso fiscale. Secondo il fisco d’oltralpe, la web company si sarebbe sottratta al pagamento di 1 miliardo di euro di tasse.
Appare, invece, molto più difficile che si riesca ad arrivare a un’intesa con gli editori, riconoscendo alla stampa una sorta di diritto d’autore per i contenuti indicizzati dai motori di ricerca, sebbene il governo francese abbia anche proposto di nominare un arbitro per dirimere la controversia (Leggi Articolo Key4biz). Un’ipotesi, quest’ultima, che ha comunque trovato il sostegno della divisione francese (Leggi Articolo Key4biz).
“Abbiamo avuto un buon confronto e mi aspetto che si raggiunga un accordo da qui alla fine dell’anno”, ha commentato il presidente esecutivo di Google, Eric Schmidt alla stampa americana.
Situazione molto diversa, invece, per le tasse, anche se l’azienda ha tenuto a sottolineare che “investe massicciamente” in Francia dove sono già stati iniettati 150 milioni di euro: “Contribuiamo all’ecosistema francese, attraverso il sostegno alle PMI e alle start-up, attraverso l’istituto culturale europeo che la compagnia ha aperto a Parigi”.
L’atteggiamento di Google è probabilmente dovuto al fatto d’essere sottoposto, come gli altri OTT, a una pressione crescente da parte di diversi governi, che hanno cominciato a mobilitarsi per chiedere ai giganti della rete di pagare le tasse nei Paesi dove producono e vendono servizi.
L’ultimo in ordine di tempo è la Gran Bretagna. La Commissione bilancio del Parlamento di Londra ha, infatti, convocato i rappresentanti di Google e Amazon per chiedere chiarimenti sulle loro strategie fiscali, che gli consentono di pagare pochissime tasse a fronte di profitti miliardari.
Nel 2010, la società di Mountain View ha versato all’erario inglese appena 238 mila sterline di tasse a fronte di un fatturato di 175 milioni di pound. Mentre Amazon ha pagato 517 mila sterline di imposte su 147 milioni di profitti.
Ovviamente non c’è nulla d’illegale in tutto ciò. Si tratta semplicemente si fruttare le lacune delle varie legislazioni per spostare i capitali nei Paesi dove la tassazione è più vantaggiosa. Spesso si adotta la cosiddetta strategia del “doppio irlandese con panino olandese” (Double Irish With a Dutch Sandwich), che consiste nel trasferire i denari verso le sussidiarie irlandesi e olandesi, per poi traghettare il tutto ai Caraibi.
Anche Facebook e Apple seguono la stessa logica. Il social network di Mark Zuckerberg ha pagato al Fisco britannico appena 396 mila sterline su 15,2 milioni di fatturato nel Regno Unito mentre Apple, nello stesso esercizio, ha fatturato poco meno di 69 milioni di pound, versandone all’Agenzia delle entrate di Londra appena 6 milioni.
Sulla stessa linea anche eBay che ha versato 1,2 milioni di sterline su un giro d’affari di 800 milioni.
E ieri, la denuncia della BBC riguardava Apple che, stando ai documenti della SEC, paga meno del 2% delle proprie tasse fuori dagli Stati Uniti (Leggi Articolo Key4biz). Risulta, infatti, che l’azienda di Cupertino ha pagato solo 713 milioni di dollari al 29 settembre (chiusura dell’anno fiscale in America) su profitti extra-Usa pari a 36,8 miliardi di dollari, corrispondenti a un’aliquota dell’1,9%. Negli USA sarebbe del 35%.
Apple veicola la maggior parte del suo business in Europa attraverso una società con base in Irlanda, dove le tasse sulle imprese sono più basse che in Gran Bretagna: il 12,5% rispetto al 24%.
“Sono davvero preoccupato per la situazione attuale“, ha ammesso il cancelliere, George Osborne, che ha promesso leggi più severe per evitare che le aziende internazionali spostino su conti esteri i loro utili per sottrarsi al pagamento delle tasse.
E anche qui serve una maggiore cooperazione tra Stati europei. La Gran Bretagna e la Germania hanno già iniziato a collaborare per colmare le lacune di un sistema tributario che, al tempo d’internet, fa ormai acqua da tutte le parti.
Di questo s’è parlato anche al G20 dei Ministri delle finanze in Messico, dove Osborne e il collega tedesco Wolfgang Schauble hanno esortato gli altri Paesi a lavorare unitamente all’OECD per individuare i gap esistenti nelle legislazioni tributarie.
“Vogliamo che la Gran Bretagna resti un Paese aperto alle aziende straniere e che spinga società globali a continuare a investire e portare lavoro qui, ma vogliamo anche che le compagnie internazionali paghino le imposte”.
E il modo migliore per farlo, secondo Osborne, è attraverso un’azione internazionale che assicuri standard forti, ma senza tagliare fuori questi Paesi dai mercati mondiali.
Osborne ha informato d’aver avviato un processo con la Germania e Schauble, dalla sua, ha aggiunto che spera che altri Paesi si uniranno in questa battaglia.
Nel nostro Paese, Franco Bernabè, presidente di Telecom Italia, è stato uno dei primi a far suonare il campanello d’allarme contro gli OTT, sottolineando la necessità di trovare una rapida soluzione.
“In questi anni di crisi – ha detto in una recente intervista Bernabè – i quattro monopolisti che operano in rete, ossia Amazon, Google, Facebook e Apple, sono arrivati a capitalizzare mille miliardi di dollari contro i circa 200 miliardi di dollari di capitalizzazione delle società telefoniche europee, che occupano però 1,2 milioni di dipendenti”.
“Sottolineo due cose su cui riflettere: le società internet fatturano in Italia diverse centinaia di milioni di euro ma pagano le tasse in un altro Paese senza creare occupazione qui da noi. Secondo, le società che lavorano in rete possono profilare gli utenti internet e sono soggette a regole sensibilmente più flessibili di quelle vigenti in Europa. È giusto tutto ciò?”.
Il presidente di Telecom Italia ha anche commentato che “Francia e Germania stanno decidendo di far pagare le notizie a Google (…), ma il dibattito sugli over-the-top e sul loro utilizzo della rete e dei dati è aperto in tutto il mondo, lo posso assicurare come presidente dell’organizzazione internazionale degli operatori di telefonia mobile (Gsma)”.
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