Dopo la nostra attenzione dedicata, nell’edizione di lunedì scorso al nuovo film di Paolo Sorrentino (vedi “Key4biz” del 30 aprile, “‘Loro 1’ ed ‘Escobar’ tra sesso e potere al botteghino vince ‘Avengers’”), non potevamo deludere la legittima aspettativa dei nostri quattro lettori, e quindi eccoci a raccontarvi in anteprima cosa accade nella “seconda parte” di “Loro” (che esce in sala giovedì 10 maggio): anzi, abbiamo posto al regista delle domande, come inviati di “Key4biz”.
Se “Loro 1” sembrava un film quasi “a-politico” (alfa privativa…), centrato sulla personalità malata di un arrampicatore sociale di bassa cultura, media intelligenza, nessuna moralità – così viene rappresentato Gianpaolo Tarantini – che cerca di raggiungere il suo “dio”, utilizzando la sessualità mercenaria, “Loro 2” è un film nettamente politico.
Nonostante il regista neghi, è un film ideologico, finanche partigiano.
Non abbiamo ancora letto la recensione di Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” (siamo sicuri che, pur non essendo un recensore, dedicherà attenzione al film, che crediamo non gli dispiacerà), ma l’ultima opera di Sorrentino è uno strano “J’accuse”: il regista invoca la libertà artistica, evoca la fantasia creativa (il film “narra di fatti verosimili o inventati”), e sostiene che sarebbe giochetto stupido andare a cercare “chi” si cela dietro la maschera istrionica. Sarebbe un mero “racconto di finzione”, anzi – precisa – “in costume” (!).
Scrive Sorrentino nelle note di regia: il film “ambisce a raccontare alcuni italiani, nuovi e antichi al contempo, anime di un purgatorio immaginario e moderno, che stabiliscono, sulla base di spinte eterogenee, quali ambizione, ammirazione, innamoramento, interesse, tornaconto personale, di provare a ruotare intorno ad una sorta di paradiso in carne e ossa: Silvio Berlusconi. Questi italiani, ai miei occhi, contengono una contraddizione: sono prevedibili, ma indecifrabili. Una contraddizione che è un mistero. Un mistero nostrano”.
I “nomi” che ha utilizzato sono “di fantasia”, e ciò sarebbe confermato da una premessa giuridico-legale, un cartello lunghissimo (come forse non s’era mai visto nella storia del cinema), nel quale si enfatizza che si tratta di libera opera creativa, e che i riferimenti a fatti e persone sono stati utilizzati per la fantasia narrativa. Già soltanto questo cartello sembra porsi a mo’ di excusatio non petita: timore del produttore Nicola Giuliano (silente in conferenza stampa) della Indigo Film per il rischio latente di azioni legali pesanti e risarcimenti miliardari?!
Ed in proposito è interessante osservare cosa ha sostenuto l’avvocato di Gianpaolo Tarantini: il suo cliente potrebbe avere “ispirato” uno dei personaggi del film, ma “i fatti compiuti nel film da Sergio Morra non possono essere attribuiti a quelli posti in essere nella realtà” dall’imprenditore barese. Ha dichiarato l’avvocato Nicola Quaranta il 25 aprile, l’indomani rispetto alla prima uscita del film (della prima parte): “a seguito dei numerosi commenti espressi da ieri sui media sul film ‘Loro’ di Paolo Sorrentino, appare necessario invitare tutti alla cautela nell’accostare il mio assistito al personaggio Sergio Morra interpretato, nell’occasione, da Riccardo Scamarcio. Occorre infatti stigmatizzare che lo stesso Paolo Sorrentino ha ieri descritto il suo film (fonte ‘la Repubblica’) come ‘un racconto di finzione e costume che mette in scena fatti verosimili, o anche inventati, avvenuti in Italia tra il 2006 e il 2010’. Dunque, i fatti compiuti nel film dal personaggio Sergio Morra non possono essere attribuiti a quelli posti in essere nella realtà da Giampaolo Tarantini le cui condotte, divenute pubbliche a seguito dell’attenzione mediatica alle sue vicende processuali, pur avendo probabilmente ispirato il racconto di finzione, ne divergono sostanzialmente e sotto numerosi aspetti. Si ribadisce, quindi, che l’accostamento pubblico e mediatico della persona del mio assistito a tutti o ad alcuni fatti rappresentati nel film, che invece sono pura finzione e frutto della fantasia dell’artista, sarà portato all’attenzione dell’Autorità giudiziaria costituendo condotta diffamatoria ai danni di Gianpaolo Tarantini”. Sarà divertente vedere se altri reagiranno con cotanto distacco: in primis l’ex Ministro poeta Sandro Bondi…
Andiamo per ordine: “Loro 1” appare veramente come una sorta di prologo a “Loro 2” (come qualche collega aveva ipotizzato).
Le atmosfere rallentate del primo film (ovvero della prima parte del film) vengono qui ribaltate, e qui si respira certamente cinema, con ritmo narrativo sostenuto: buon cinema, insomma.
I due protagonisti confermano eccezionali doti d’attori di altissimo livello: Elena Sofia Ricci, nel ruolo della ex moglie, e Toni Servillo, nel ruolo di Silvio Berlusconi.
Se nel primo film, “il male” alias “la corruzione” era incarnata soprattutto da Tarantino alias Riccardo Scamarcio, il secondo film è senza dubbio Berlusconi-centrico.
Silvio Berlusconi viene rappresentato come maestro della “vendita”, una persona così affascinata dal proprio ego di eccezionale “venditore” da trarre soprattutto da questa attività (soltanto da questa?!) un intimo godimento, estremo, malato, perverso.
Nella seconda parte del film, “il sesso” è meno presente (meno ostentato, comunque) rispetto alla prima parte.
Anche le allegre cene ed i riti priapici con le “olgettine” sono rappresentati in modo quasi casto, delicato, finanche tenero.
E qui emerge un concetto che il regista ha tirato fuori durante la affollata conferenza stampa (quasi piena una sala di The Space Cinema a Roma), tre o quattrocento giornalisti in sala: “tenerezza”. Un “tono” che Sorrentino così definisce (nelle note di regia): “un tono che oggi, giustamente, viene considerato rivoluzionario” (testuale!).
Paolo Sorrentino ha sostenuto che “comprendere” significa “essere comprensivi” (una sua soggettiva interpretazione della semantica della lingua italiana): essere “comprensivi” significa andare oltre una lucida comprensione razionale, significa integrare la comprensione con la passione, o comunque con il pathos. Con la “pietas”, come ha sostenuto a chiare lettere Elena Sofia Ricci.
Il film rappresenta Berlusconi come un uomo che utilizza il potere per soddisfare anzitutto il proprio ego di venditore: questa lettura appare semplice, semplicistica, superficiale e banale, soprattutto perché Sorrentino aveva annunciato – durante la lavorazione – di voler scavare nella psiche del Cavaliere, per andare oltre alle apparenze. Eppure ci sembra che il regista scavi assai poco, e proponga invece una lettura piuttosto superficiale e banale. Berlusconi sarà anche quel che Sorrentino ci propone, ma Berlusconi è sicuramente anche altro, ed anche oltre questo stereotipo.
Il Berlusconi sorrentiniano è un leader politico di moralità tendente a zero ed un imprenditore animato da naturale vocazione corruttiva, un venditore pervertito (o un pervertito venditore?!): nelle fiction Mediaset, lavorano attrici amanti di politici amici, e il Parlamento è luogo di mercimonio; se non si ha la maggioranza, si cerca di comprarla corrompendo i parlamentari, ovvero con un “do ut des” di danaro e benefici correlati (sesso incluso). Il dialogo iniziale tra Berlusconi ed il suo amico Ennio Doris (interpretato dallo stesso Servillo) rappresenta l’ideologia del potere (economico e politico che sia) che vede la politica come “mercato” nel quale vince il concorrente più aggressivo, spregiudicato, amorale.
Il film disegna un Berlusconi più malato che maligno: un uomo irrisolto, sostanzialmente solo e triste e malinconico, animato da una vocazione alla corruzione non intesa come degenerazione perversa bensì quasi come energia naturale della vita.
Berlusconi viene disegnato come uomo profondamente insoddisfatto ed intimamente infelice, in contrasto totale con l’immagine pubblica solare che ha sempre proposta. Ma di questa tristezza, però, non sembra proprio avere autocoscienza, nemmeno quando la Ricci (Lario) gli sputa in faccia decenni di comportamenti impropri, di strumentalizzazione della “res publica” e della politica ad uso personale, ed il Cavaliere si limita a commentare “e tu cosa hai fatto, in tutti questi anni al mio fianco?!”.
Il film merita essere visto. Complessivamente è un bel film.
Non ci sono le evocazione felliniane della prima parte, se non in un bel gioco di metafora, con un Berlusconi rinchiuso in una uccelliera affollata di tantissime farfalle (e naturale il riferimento alle “farfalline” che usava regalare alle sue giovani amichette): insomma, nessun animale “fuori contesto” (la pecorella che entra nella villa e muore stecchita per una climatizzazione polare; il rinoceronte che va per le vie di Roma… che ci sono nella prima parte).
“Key4biz” ha posto al regista un paio di domande: “non crede che sia un film fortemente ideologico e schierato, che invece poco scava nella psiche di Berlusconi, contraddicendo i suoi annunciati intenti?”. Sorrentino ha risposto, con il suo tipo tono autoreferenziale: “non sono assolutamente d’accordo con la sua interpretazione: io non prendo posizione, né con Silvio né contro di lui, non parteggio per Veronica Lario, non entro nel merito della sua azione politica. Io indago semplicemente i sentimenti umani. Esploro la paura. La paura – della vecchiaia, nel caso specifico (ma ricordiamo il suo “Youth – La giovinezza” del 2015, n.d.r.), ma la paura in genere – è il sentimento che voglio studiare…”. Le nostre domande hanno stimolato una lunga risposta: “no, no, io non mi schiero, studio la paura e la tenerezza che c’è in Berlusconi e nel suo giro – persone umane, non esponenti politici – cerco di rappresentare i sentimenti di uno specifico contesto storico: l’Italia tra il 2006 ed il 2010, il vitalismo e la paura di quel periodo… Rappresento un universo in difficoltà (siamo tutti sempre in difficoltà…). Ho messo in scena, sono partito da una storia d’amore, che prende poi altre direzioni, forse troppe (e sorride ironico). È un film su sentimenti universali, la paura e l’amore… In quel periodo storico, si assiste a derive di comportamento degli Anni Novanta, che non sono mai stati molto esplorati”.
Un collega domanda se la scena finale (che è bene non anticipare ai lettori) si pone come piccolo cenno di speranza, ed il regista chiarisce: “esistono anche italiani altri, che si comportano in modo eroico: nel Paese, non c’è soltanto spregiudicatezza e degenerazione…”.
Sorrentino non ci convince: colpisce pesantemente ma sostiene di non voler colpire, ha un approccio morale (moralistico, sosterranno i fan di Berlusconi) ma sostiene di avere un approccio estetico. Insomma, lancia il sasso e nasconde la mano. Cerca di rilanciare alla grande, evocando i sentimenti universali. Una domanda maligna e perversa: che Sorrentino abbia paura egli stesso (quella “paura” che tanto ha enfatizzato durante la conferenza stampa) della propria capacità di graffiare, di fare male, di rappresentare con durezza e finanche violenza la banalità del male (di arendtiana memoria)?!
Sarà interessante leggere le reazioni della stampa di famiglia e dei “media amici”.
Alla fin fine si tratta, volens nolens, di un film molto politico, seppure il regista ribadisca che non è politico.
La citazione del motto sessantottino-femminista viene qui come il cacio sui maccheroni: “il personale è politico”.
Ed il “personale” qui rappresentato evidenzia una presa di posizione (ideologica) netta e chiara, per quanto semplice e banale, del regista. Alla faccia della… complessità di indagine infra-psichica annunciata!
Sorrentino resta un grande regista: certamente non è Orson Welles né Michelangelo Antonioni, ma purtroppo quest’ultima sua opera certo non raggiunge i picchi poetici di alcuni suoi precedenti film.
Attendiamo un film su Beppe Grillo, “la persona” prima che “il politico”: anche lì c’è materiale in abbondanza…
Per approfondire