I nostri quattro lettori sanno che spesso ci appassiona seguire, e commentare in salsa agrodolce, accadimenti “alti” ed iniziative “basse”: riteniamo infatti che talvolta eventi minimi possano stimolare riflessioni sui “massimi sistemi”.
Tra le notizie importanti, potremmo segnalare che il 16 aprile fa è stato pubblicato (con data 15 marzo 2018) il Decreto Ministeriale di “riparto 2018” del nuovo Fondo per lo Sviluppo degli Investimenti nel Cinema e nell’Audiovisivo.
A seguito dell’entrata in vigore, a pieno regime, della novella “legge cinema e audiovisivo” (la legge n. 220/2016, tanto voluta dal Ministro Dario Franceschini e dal Sottosegretario Antonello Giacomelli), in Italia il sostegno pubblico al cinema è stato “sganciato” dallo storico Fondo Unico per lo Spettacolo (da cui l’acronimo “Fus”), istituito dal Ministro socialista Lelio Lagorio nel lontano 1985. La strumentazione del fondo autonomo ovvero il “Fondo per lo Sviluppo degli Investimenti nel Cinema e nell’Audiovisivo”, intende garantire risorse stabili e sicure all’industria cinematografica: il fondo è alimentato direttamente dagli introiti erariali già derivanti dalle attività dell’intera “filiera” del cinema e dell’audiovisivo (dalla produzione alla distribuzione in sala, dalla programmazione in tv alla diffusione “online”) e, almeno nelle intenzioni del legislatore, provoca un virtuoso meccanismo di “autofinanziamento” del settore. Da rimarcare che le risorse pubbliche destinate al settore crescono di ben il 60 % rispetto all’anno precedente.
Il nuovo Fondo ammonta a 400 milioni di euro, che sono stati così ripartiti (per la prima volta):
- 226,9 milioni di euro per gli incentivi fiscali di cui agli articoli da 15 a 20 della legge n. 220/2016, ripartiti tra produzione (inclusi 4,5 milioni per i videogiochi, 58 milioni per le opere cinematografiche, 60 milioni per le opere audiovisive non cinematografiche e non videoludiche), distribuzione (11 milioni), 20 milioni per gli investimenti delle imprese di esercizio, 12,5 milioni per le industrie tecniche e della post-produzione, 26 milioni per la programmazione delle sale cinema a potenziamento dell’offerta (art. 18 della legge);
- 50 milioni per i “contributi automatici”;
- 32,8 milioni per i “contributi selettivi”
- 38,1 milioni per la promozione;
- 12 milioni per le finalità di sviluppo della cultura cinematografica nelle scuole;
- 30 milioni per il piano straordinario per il potenziamento del circuito di sale;
- 10 milioni per la digitalizzazione del patrimonio cinematografico e audiovisivo.
Si tratta, se non di una vera e propria “manna”, di una indubbia “ri-ossigenazione” del sistema audiovisivo nazionale: la ripartizione “infra-settoriale” provoca una qualche perplessità, ma, su un tema così… “macro”, sarà bene tornare presto con la necessaria attenzione analitica e critica. Sullo specifico ruolo della “nuova” Cinecittà-Luce, ci siamo già espressi criticamente su queste colonne (vedi “Key4biz” del 2 febbraio 2018: “Le perplessità sulla ennesima ‘Cinecittà Futura’”).
Il Ministro Dario Franceschini ha allargato alla grande i “cordoni della borsa” a favore della cinematografia (e dell’audiovisivo in generale), mentre il Fondo Unico per lo Spettacolo – che ormai interviene soltanto a favore dello “spettacolo dal vivo” (forse anche la denominazione dovrebbe essere modificata…) rimane sostanzialmente stabile, ovvero cresce un po’: dopo una sostanziale tenuta nel biennio 2014-2016, che ha posto termine alla stagione di “tagli” cominciata nel 2009, nel 2017 il Fondo Unico per lo Spettacolo è cresciuto di quasi 6 milioni di euro, risorse che vengono ulteriormente incrementate dalla nuova “legge sullo spettacolo dal vivo” con 19 milioni di euro per i prossimi due anni e 22,5 milioni di euro dal 2020.
In sostanza, se il Fus era nel 2016 a quota 407 milioni di euro (cinema incluso), nel 2017 il finanziamento pubblico allo “spettacolo” tout-court (“spettacolo dal vivo” + “cinema”) salta a quota 734 milioni di euro ed a 741 milioni di euro nel 2018, ma a beneficio soprattutto giustappunto del cinema.
Nei giorni scorsi, due o tre notizie “piccole” – che sono rimaste per lo più all’interno del sistema informativo dei professionisti del settore – hanno provocato una riflessione che crediamo importante, perché indicano come il sistema stia continuamente alla ricerca di nuove soluzioni che incontrino i repentini cambiamenti del mercato e le mutate esigenze del consumatore. In aggiunta, a complicare le cose, intervengono le relazioni tra mondo fisico e virtuale, tra sale e supporti da una parte e rete dall’altra. Si tratta di un processo che sta costringendo tutti (piattaforme, sale, supporti e rete), e a tutte le latitudini, a un ripensamento del rapporto tra prodotto e mercato.
Sky Italia ha messo in onda (su Sky Cinema Uno Hd, il 16 aprile, e poi disponibile su Sky On Demand), per la prima volta, un film destinato al “prioritario” (almeno in termini temporali) sfruttamento nelle sale cinematografiche, bypassando le altre tradizionali forme di fruizione: si tratta del film “Come un gatto in tangenziale”, per la regia di Riccardo Milani, con Paola Cortellesi ed Antonio Albanese. Inoltre, il passaggio diretto in “pay per view” ha anticipato l’“home-video” ed ogni altra “finestra” di sfruttamento di solito antecedente. Il film è prodotto da Wildside (gruppo Fremantle) con Vision Distribution, in collaborazione con Sky Cinema. Rispetto ad altri titoli distribuiti da Vision Distribution (la joint-venture tra Sky e diverse società di produzione nazionali: Cattleya, Wildside, Lucisano Media Group, Palomar e Indiana Production), va segnalato che questo film, uscito in sala il 28 dicembre 2017, rappresenta il titolo italiano di maggior successo dall’inizio dell’anno, con 9,5 milioni di euro di incasso e 1,4 milioni di spettatori.
Sul tema, l’Anec (l’associazione degli esercenti cinematografici dell’Agis – Associazione Generale Italiana Spettacolo), ovvero più esattamente l’Agis Lazio, ha inviato il 18 aprile una lettera al Presidente della Sezione Distributori dell’Anica (l’associazione dei produttori e distributori cinematografici), manifestando il proprio rammarico e contrarietà sulla dinamica e sottolineando il richiamo presente e futuro del film (con riferimento alle “programmazioni estive”, uno dei drammi del sistema italiano), oltre alla necessità di rispettare “la centralità della sala”, anche in considerazione della fase di flessione del mercato “theatrical” (vedi “Key4biz” del 10 gennaio 2018, “Il 2017 ‘annus horribilis’ per il cinema italiano”).
Generalmente in Italia, i film destinati alla prioritaria utilizzazione cinematografica, dopo l’uscita nelle sale, seguono una serie di tappe ovvero le cosiddette “window”: a distanza di circa 4 mesi dalla proiezione nei cinema un film può essere distribuito su supporto fisico e, quasi contemporaneamente, reso disponibile su servizi “tvod”, come iTunes, Google Play, Chili, tramite i quali è possibile noleggiare o acquistare in digitale il singolo titolo. Seguono le “pay tv” e i canali in chiaro, rispettivamente dopo 9 e 12 mesi dall’uscita cinematografica. La successiva “window” prevede l’offerta sui servizi “svod” come Netflix, Infinity e Tim Vision, in cui l’utente paga un canone mensile per accedere “on demand” all’intero catalogo: qui i titoli arrivano generalmente dopo 24 mesi dalla pubblicazione, fatta eccezione per le produzioni originali e quelle oggetto di accordi particolari.
Il lettore meno addentro alle economie (alchimie?) dell’audiovisivo ricordi come si sciolgono alcuni esoterici acronimi dello slang settoriale: “svod” e “tvod” ed “avod” rappresentano tre diversi modelli che rientrano nella macro-categoria “video on demand”, ossia del “vod”:
- lo “svod” è il “subscription”: un canone fisso mensile che consente di accedere all’intero catalogo offerto senza altri costi (è il modello di Netflix, ma anche di Sky On Demand, di Mediaset Infinity e di Tim Vision).
- il “tvod” ovvero “transactional vod”, è la “pay-per-view”: si compra ogni singolo contenuto (è il modello di iTunes di Apple e di Chili Tv).
- l’“avod”, dove la “a” sta per “advertising”, è il servizio gratuito per gli utenti e basato sulla pubblicità (è il modello di You Tube, ma anche quello dei portali web dei “broadcaster” dove si possono rivedere online i programmi già andati in onda).
Altra “strana” notizia, sintomatica anch’essa del processo di “disrumption” in corso, anche nell’economia audiovisiva italica: per la prima volta, un film che – in teoria?! sulla carta?! secondo natura?! secondo tradizione?! – avrebbe dovuto trovare il suo naturale sbocco nella sala cinematografica è stato offerto su una piattaforma di “video-on-demand”, qual è Netflix.
Si tratta di “Rimetti a noi i nostri debiti” di Antonio Morabito, che è il primo film italiano che esce direttamente su Netflix (dal 4 maggio). Anche se lo sbocco inizialmente previsto dal produttore Amedeo Pagani (la produzione è firmata da La Luna con Lotus Production – alias Marco Belardi – e RaiCinema) era quello… tradizionale, ovvero… la sala: “Netflix lo ha scelto tra i moltissimi titoli che stava visionando e ci ha fatto l’offerta. È un grande riconoscimento per un film che non è una commedia, ma un dramma che affronta un tema universale. Sarà visto in 90 Paesi e sottotitolato in 23 lingue”. Interpretato da Claudio Santamaria, Marco Giallini e Jerzy Stuhr, è ambientato nel mondo del “recupero crediti”. Il regista Antonio Morabito ha dichiarato: “Sono cresciuto guardando i film in sala, ma la verità è che negli ultimi vent’anni distributori ed esercenti non hanno più il coraggio di rischiare. E tra uscire in 10 sale o in 90 Paesi non c’è dubbio alcuno”. Come dire?! Meglio con Netflix che “sparire” in 10 sale cinematografiche… Ha aggiunto Amedeo Pagani: “I distributori si muovono con cautela, ma questo è comunque un film con due attori importanti. Il vero problema è che non ci siamo trovati d’accordo sulla formula, con importanti distributori. Oggi, molti tentano di tutelarsi in modo tale che finisci a dover distribuire tu il film, attraverso una sorta di ‘service’ mascherato. Usano una formula per cui quello che il film incassa lo ridistribuisce, prendono una commissione, e, qualunque sia l’esito del film, loro hanno guadagnato. Quando è arrivata l’offerta Netflix l’abbiamo presa al volo”.
Notizia anch’essa interessante e correlata: a metà aprile, Tim e Vision Distribution hanno definito un accordo che consentirà alla piattaforma “streaming” in abbonamento Tim Vision (il servizio “on demand” di Tim) di rendere disponibili film italiani a 4 mesi dall’uscita in sala, abbattendo la “finestra” della “pay per view” e della “prima tv”. È stato anche annunciato che le due società collaboreranno inoltre alla produzione di titoli originali. Il primo titolo in arrivo sulla piattaforma Tim, che conta oltre 1,5 milioni di abbonati, sarà giustappunto “Come un gatto in tangenziale”, reso disponibile dal 16 aprile.
Queste tre notizie sono sintomatiche importanti, perché pongono quesiti essenziali nella de-strutturazione dei paradigmi classici dell’economia cinematografica, e quindi nella ri-strutturazione di un’architettura la cui nuova economia (e semiologia) non ci sembra sia oggetto di particolari approfondimenti.
Naturale sorge il quesito: di fronte a questi radicali sconvolgimenti, come opera la legge Franceschini-Giacomelli?!
Si ricorderanno le polemiche degli ultimi anni: i “liberisti” hanno accusato il titolare del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (Mibact) di aver imposto una “mano pubblica” troppo pesante ed invadente, non soltanto aumentando in modo consistente il sostegno dello Stato alla cinematografia, ma imponendo troppi obblighi di trasmissione e produzione di cinema nazionale ai “broadcaster” televisivi…
Il fatto che un film “cinematografico” sostenuto dallo Stato non trovi la naturale distribuzione nelle sale cinematografiche, ma si veda costretto (prendendo per buona la tesi del produttore) ad essere offerto da una piattaforma “on demand” …è questione veramente delicata.
Ci si domanda se i tecnici che hanno lavorato alla “legge Franceschini”, così come i rappresentanti dei “player” del settore hanno pensato ad alcuni effetti paradossali dell’impianto normativo che è stato costruito…
Gli “attori” sono stati anzitutto i produttori, perché è stata la confindustriale Anica – dapprima presieduta da Riccardo Tozzi e poi da Francesco Rutelli – “magna pars” nella gestazione della legge ed applicazione della stessa (22 decreti attuativi), insieme ai maggiori broadcaster – Rai e Mediaset – con un ruolo marginale dell’Anec-Agis, ed un coinvolgimento minore e comunque tardivo delle associazioni dell’anima creativa del settore, come Anac e 100autori e Wgi…
Ha senso che danari pubblici vadano ad alimentare l’offerta di un gigante multinazionale come Netflix?! La risposta è complessa.
Ma subito sorge un altro quesito: la nuova legge cinema ed audiovisivo ha dedicato adeguata attenzione alla promozione internazionale del nostro cinema?! Non ci sembra proprio. Ed allora naturale (certamente comprensibile) è il senso di gratitudine del produttore, che, accolto nella grande “offerta” di Netflix, ha il piacere di vedere il proprio film “in 90 Paesi e sottotitolato in 23 lingue”. Certo, in perdurante totale scandalosa assenza di una “agenzia internazionale” per la promozione del “made in Italy” audiovisivo…
L’intervento di Netflix si pone come effetto paradossale dell’intervento della mano pubblica nel settore (Federico Pontiggia, su “il Fatto”, ha commentato: “destino beffardo”), un effetto perverso che sembra confermare alcuni dubbi che sono stati avanzati rispetto alla reale innovatività strategica della nuova legge cinema ed audiovisivo.