La Francia continua a inciampare sull’Africa. Lo fa da decenni. A incespicare è ora Vincent Bollorè, trattenuto in stato di fermo dall’autorità giudiziaria francese.
La notizia ha fatto il giro delle Borse e delle redazioni ed è rimbombata negli ambienti finanziari internazionali. All’origine della misura cautelare, un’indagine condotta dalle autorità francesi su due presunti casi di corruzione di cui sarebbe stato artefice il gruppo guidato dal finanziere bretone nel 2010: due casi di corruzione generati dal sostegno a politici locali in Togo e Guinea, per favorire il controllo delle attività nei nodi portuali dei due paesi.
L’imprenditore bretone non gode certo della simpatia dell’opinione pubblica o della comunità finanziaria, ha sempre assunto il piglio dello spaccone della finanza, mascherando il tutto con toni da grandeur francese e spesso ammantando le proprie iniziative internazionali con elementi di “ragion di Stato” o di allineamento all’Eliseo non sempre corrispondenti al vero.
Insomma, un generale solitario abituato a cannibalizzare concorrenti e nemici, un Bokassa della finanza capace di far di tutto pur di raggiungere il proprio obiettivo.
Eppure, quanto accaduto non può non generare una smorfia di disappunto.
Con precisione da consumata orologeria svizzera giunge la notizia del fermo di Bollorè giusto poche ore prima dell’inizio dell’Assemblea di Telecom Italia oggi TIM, dove si gioca una partita per niente provinciale, a giudicare dal peso dei contendenti: Vivendi e Bolloré da una parte, Fondo Elliott e Paul Singer dall’altra. E verrebbe voglia di aggiungere anche che la partita potrebbe avere delle prevedibili ripercussioni sul sistema mediale italiano, date le relazioni Telecom Italia–Vivendi–Mediaset.
Dopo tutto, se dopo ben 8 anni riemerge dal nulla una vicenda di corruzione da parte di un imprenditore francese così in vista in due Paesi africani dove tutto, anche la richiesta di una birra in un bar, è sempre accompagnata da ordinarie pratiche di corruzione, vuol dire che qualcosa di poco chiaro c’è.
Va anche considerato che la vicenda di stamane di Vincent Bollorè segue di 3 settimane la vicenda di Nicolas Sarkozy, accusato di corruzione, per aver usato fondi illegali in occasione della campagna elettorale presidenziale del 2007. A fornire i fondi illegali sarebbe stato Muammar Gheddafi, con l’intento di condizionare la politica francese nell’area (qualche malalingua ha anche sottolineato che forse l’intera guerra di Libia lanciata da Sarkozy fosse stata orchestrata proprio per far fuori il più importante testimone della vicenda dei fondi neri libici a favore del Presidente francese…).
Il quadro che ne viene fuori è quello di uno scontro interno al capitalismo francese, una ristrutturazione dei gangli fondamentali del potere transalpino, caratterizzati (lì come altrove) da un cambio di passo oltre che da un avvicendamento generazionale.
Ora vedremo quello che succederà.
La vicenda Bollorè non potrà non avere ripercussioni sulla finanza italiana.
Resta da vedere se l’agenda sarà in mano solo ai francesi o se i vertici nazionali della nostra finanza avranno la capacità di interpretare un ruolo autonomo.
Come al solito occorre decidere se si vuol essere martello o se si è costretti a rimanere incudine.