Rafforzare il ruolo delle donne nei settori dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e delle tecnologie low-carbon per dare maggiore impulso al processo di transizione energetica. È l’obiettivo dell’accordo di collaborazione ‘Clean Energy Education and Empowerment’ (C3E) che la IEA (Agenzia Internazionale dell’Energia) ha siglato con Italia, Canada, Finlandia e Svezia.
A rappresentare il nostro Paese l’ENEA, che è presente nel comitato esecutivo ed è leader della task force per la raccolta dati e la formulazione di indicatori per individuare le barriere che ostacolano le donne nell’accesso e nella progressione di carriera.
A livello italiano, la quota delle donne in posizioni apicali in politica e in particolare nei ministeri legati al settore energetico è aumentata rispetto agli anni ‘70 e ’80, soprattutto nelle posizioni di viceministro e di sottosegretario, anche se siamo ancora lontani da una rappresentatività equa.
“I dati finora rilevati – ha evidenziato in una nota Tania Giuffrida dell’ENEA – non sono in linea con quelli sulla formazione universitaria, che dovrebbe essere alla base del percorso di carriera. In Italia, infatti, nel 2014 la percentuale di donne laureate nei settori tecnico-scientifici, definite anche STEM, è stata pari al 53%, contro il dato del 58% relati vo al totale delle lauree”.
“Le ragazze tendono quindi a raggiungere un livello elevato di formazione e sarà interessante monitorare negli anni quale effetto avrà, considerando anche che a livello mondiale attualmente l’occupazione femminile nella green economy è maggiore nei settori amministrativo e gestionale con il 46% e il 32% della forza lavoro, mentre risulta ancora bassa in ambito tecnico attestandosi al 28%”.
Un ulteriore dato è quello relativo al livello decisionale raggiunto dalle donne nelle Commissioni parlamentari coinvolte sui temi energetici, come attività produttive, ambiente, cultura e scienze, infrastrutture e trasporti.
Attualmente le donne sono poco rappresentate nelle posizioni apicali – capo (13%) e vice capo (19%) – mentre la percentuale sale se si considera la posizione di segretario (44%) e sul totale dei membri delle commissioni (31%).
Passando al settore imprenditoriale, la legge 120 del 2011 ha introdotto importanti cambiamenti che hanno favorito la crescita della rappresentatività femminile. Infatti, nelle società quotate in borsa il Consiglio di Amministrazione deve essere composto almeno da un terzo di donne: una misura che ha fatto sì che in dieci anni la presenza delle donne sia passata dal 5% del 2007 al 30,9% nel 2017, anche se la percentuale che ricopre il ruolo di amministratore unico è ferma all’8%.
Focalizzando l’attenzione sugli organi di amministrazione e controllo delle principali società attive nel settore produttivo e di distribuzione dell’energia, la posizione di presidente è coperta dal 43% di donne ma nessuna ricopre il ruolo di amministratore unico.
Nei consigli di amministrazione, invece, la percentuale è pari al 35% – superando il valore osservato nelle società quotate – ma per quanto riguarda nei board la percentuale di donne scende al 16%.
Poi, se si considera il particolare settore delle Associazioni di Industriali che operano nel settore dell’energia, non ci sono presidenti donna e solo il 19% delle posizioni di vertice è occupato da donne e la quota rosa nel management è pari al 9%.
Andando ad analizzare il settore della ricerca pubblica in campo energetico, anche in questo contesto non ci sono presidenti donne, mentre per le altre posizioni apicali si raggiunge il 25% e la percentuale scende al 16% nei Consigli di Amministrazione, a differenza dei gruppi di management, come le direzioni di dipartimento, i laboratori e le unità speciali, dove le donne coprono circa il 22% delle posizioni di responsabilità.